Numero 14/2023
4 Aprile 2023
Birrificio Rebeers: il successo della vision 100% Made in Puglia
Trasformare la passione per la natura e per l’homebrewing nella realizzazione di un birrificio capace di valorizzare i prodotti del territorio è un’ambizione di molti birrai, ma la cui realizzazione richiede caparbietà, molta competenza e soprattutto tantissima dedizione e passione. Caratteristiche condensate nella figura di Michele Solimando e nelle sue birre che, tra i campi e la sala cotta del Birrificio Rebeers, ha coronato sfide davvero innovative nella scena craft pugliese e anche nazionale.
Sfide che Michele ha voluto far conoscere oltre i confini della sua terra e che sono state qualificate da numerosi e prestigiosi riconoscimenti in concorsi di alto livello, tra cui i recentissimi successi al Beer&Food Attraction di Rimini.
Siamo ritornati a Foggia, ospiti del mondo di Michele, per scoprire in dettaglio i progetti futuri di Rebeers. Abbiamo già avuto, infatti, la possibilità di scoprire il birrificio in una recente intervista, nella quale abbiamo scoperto la storia e le peculiarità del progetto: Alla scoperta del Birrificio Rebeers e della vision 100% Made in Puglia – Giornale della Birra
Michele, partiamo dagli ultimi successi al BFA 2023: quali sono state le birre vincitrici e quali le sensazioni vissute a Rimini?
Il passaggio a Rimini di quest’anno è stato particolarmente emozionante, per diverse ragioni. Si è aggiudicata una medaglia d’argento la Sweetly blonde ovvero la mia primissima birra prodotta da birraio e nel mio primo birrificio nel lontano 2014. Ciò mi ha riportato con la mente e col cuore a quei momenti, ai miei esordi e agli anni ancora romantici di un’attività cominciata a livello hobbistico e che oggi si è trasformata in mestiere, in professione esclusiva, in ragione di vita. Una ventata di ricordi che alimenta quella fiamma di passione originaria e sincera che ancora arde. L’altra medaglia, sempre argento, se l’è riconquistata Fovea. Qui la soddisfazione direi che è almeno tripla: perché trattasi del mio contributo più originale al mondo birra; perché per il terzo anno consecutivo – ovvero dalla sua prima apparizione – è sempre sul podio; perché anche questo risultato comincia a farne non più solo e semplicemente una singolarità nel panorama brassicolo mondiale ma qualcosa che (forse) ha davvero il suo perché.
Il tuo progetto è strettamente legato al territorio pugliese ed al concetto di filiere locali: come pensi stia evolvendo la percezione del consumatore su questa particolare tematica, finora piuttosto sottovalutata nel contesto della birra artigianale?
Il consumatore è certamente sempre più sensibile alle produzioni locali, sia intese come semplicemente prodotte in loco sia come produzioni che contemplano materie prime locali. Le nostre birre di grano, Fovea e Puella Apuliae, vanno in questa direzione. Riprovevole trovo, invece, il tentativo di suggestionare il consumatore – al solo fine di lucrare – con denominazioni che rimandano ad una origine del prodotto evocando località con cui il prodotto stesso non ha nulla a che vedere e che, perciò, ritengo abbastanza vicine alla frode in commercio piuttosto che ad un “omaggio al territorio”. Se sapremo arginare questo fenomeno non rischieremo di legare la percezione di territorio al nulla.
La Puella Apuliae, la tua birra 100% Made in Puglia è stata frutto di un lungo processo di studio, sperimentazione e concertazione. Quali sono le difficoltà che hai dovuto superare per raggiungere la brassatura di questa referenza? E quali i riscontri dal mondo dei distributori e dei consumatori?
Puella Apuliae è l’ultima mia “ragazza” di cui temo di innammorarmi follemente. Vuole essere la mia “birra bianca di Puglia” nel senso pieno di questa espressione, cioè organoletticamente ispirata alle tradizionali blanche ma non più “imitativa” di tali birre nel processo produttivo, perché concepita e realizzata in Puglia e con la Puglia davvero in bottiglia. Mi spiego meglio. Intanto è prodotta con il 100% di materie prime pugliesi, ovvero con cereali (grano duro, grano tenero, orzo, avena e segale) coltivati e maltati in Puglia. Ancora, presenta anche luppolo coltivato nella mia azienda agricola in agro di Apricena, coriandolo dei Monti Dauni e scorza d’arancia del Gargano. Il lievito, poi, è quello di recupero della fermentazione di Fovea, perciò originatosi in birrificio. Nel processo produttivo, invece, ho voluto dare risalto al grano duro con il ruolo principe del “malto” e utilizzare l’orzo tal quale, quindi non maltato, ribaltando il paradigma birrario di sempre che vede l’orzo come protagonista assoluto e sempre sottoforma di malto. Questo l’aspetto più originale di Puella Apuliae, che vede nel grist di cereali anche uno spaccato della produzione cerealicola pugliese di sempre. Il suo nome, poi, è un omaggio alla memoria storica del “Puer Apuliae” Federico II di Svevia, il personaggio più importante di sempre per la Puglia intera e per Foggia in modo particolare, avendo eletto la città in cui ha sede il birrificio al rango di “regalis sedes inclita imperialis”, ovvero la sede prediletta del suo Impero, il Sacro Romano Impero del tempo. Federico II fu inoltre, e tra le tante altre cose, il “Re del grano” ante litteram e anche da qui il nostro omaggio all’Imperatore. Il riscontro di mercato è estremamente favorevole e le si riconosce in particolare una qualità su tutte: l’estrema bevibilità, a mio parere frutto proprio del particolare grist di cereali.
Birra craft: come pensi evolverà il settore nel prossimo futuro? Quali prospettive per la Puglia ed il livello nazionale?
Non sono un attento osservatore delle dinamiche del mio settore, sia perché non mi piace rincorrere le mode sia perché il condizionamento dall’esterno “distrae” da quelle che sono le proprie propensioni e ciò potrebbe addirittura impedirti di fare ciò che invece sta nelle tue corde e che ti consente di esprimerti al meglio e con originalità. Tuttavia osservo un duplice fronte: i birrifici più “evoluti”, che inseguono l’ultimo ritrovato tecnico/tecnologico per soddisfare le esigenze di standardizzazione e razionalizzazione dei processi e dei costi di produzione; i birrifici più “puristi”, del craft “della stretta osservanza” (cui apparteniamo) fedeli al non utilizzo di “scorciatoie” varie (chimica e biochimica ad abundantiam …) e dei “tempi dell’artigiano”, a prescindere. Fermo restando che è sempre la qualità, la sostanza e l’originalità nel bicchiere la stella polare che ci deve guidare – e che il numero, in un senso o nell’altro, per me non è discriminante – temo una deriva del prodotto “artigianale” verso un artefatto di tipo industriale, una (pseudo) birra artigianale tale solo nei piccoli numeri ma non molto diversa nella tecnica e nello spirito produttivo da quella industriale.
Infine, quali consigli ritieni utili per un appassionato di birra che voglia scoprire nuovi panorami brassicoli, oltre i grandi nomi del contesto craft?
Il consiglio che mi sento di dare è sempre lo stesso: unire al piacere di un viaggio la scoperta di piccole produzioni, per consumare in loco e assorbire l’atmosfera di quel produttore, possibilmente incuriosendosi rispetto alle “materie prime” e al processo produttivo, perché solo così si entra nell’intimo di un prodotto, capendolo a fondo, conoscendone al meglio i suoi “ingredienti”, materiali e immateriali. Lo sterminato mondo della birra, infatti, è un lunghissimo viaggio nel tempo e nello spazio, e non c’è modo migliore di scoprire (e scoprirsi …) che viaggiare.
Maggiori informazioni sul Birrificio Rebeers e sulle birre al sito web: Rebeers Home – Rebeers