Numero 39/2016
27 Settembre 2016
Birrificio Sagrin: da una passione nata sui banchi di scuola, ad eccellenza del Monferrato
Il Birrificio Sagrin ha già nel nome una forte assonanza dialettale, che ne testimonia la fortissima connotazione territoriale: nasce infatti a Calamandrana, nel cuore del Monferrato, zona vitivinicola d’eccellenza del Piemonte. E della tradizione enologica porta con sé una parte del proprio DNA, non solo nell’esperienza e nella dedizione dedicata da parte dei due fonatori, Giuseppe Luci e Matteo Billia, ma anche nella sostanza.
Il birrificio, seppur inaugurato ad inizio del 2015, affonda le proprie radici su di un’esperienza di lunga data nell’homebrewing del mastro birrario Matteo, detto Billy, che ci ha ospitato nella cantina di brassatura, per presentarci al meglio il birrificio e le sue creazioni.
Billy, le tue birre “non sono nate ieri”, anzi l’intero progetto del birrificio nasce da un “seme” gettato da un tuo professore delle superiori. Puoi descriverci più in dettaglio la storia del Sagrin?
Il progetto del birrificio vero e proprio è nato solamente un paio di anni fa, tuttavia ogni homebrewer che si rispetti ha l’ambizione e l’idea che il proprio hobby si possa trasformare in fonte di sostentamento, un po’ come un bambino che sogna di fare il calciatore da grande!
Iniziammo ai tempi del liceo, come hai anticipato: il nostro professore di biologia, prima ci spiegò la fermentazione e il lavoro dei lieviti, quindi provammo a farla dapprima in kit, quindi, scoprendo tecniche più interessanti, arrivammo all’all-grain. Tutto questo accadeva nel ’99! Erano produzioni estremamente ‘domestiche’, con i vari pentoloni e fuochi da conserve della zia, attrezzatura recuperata e tanta buona volontà. La svolta avvenne quando decidemmo di produrre il nostro primo impianto semi-automatico: era costituito da due tini, ammostamento/filtratura più una pentola per la bollitura/whirpool, con controllo dei tempi/temperature del mash mediante plc e resistenza elettrica. Negli anni ne abbiamo poi realizzati altri 2 fino ad una capacita di 75 litri a cotta, con la possibilità di concatenare doppie cotte.
Era un hobby, ma che comunque ci impegnava molto, sia a livello birrario, tanto che eravamo arrivati a produrre oltre 3 ettolitri l’anno, che a livello progettuale, con la continua ricerca per migliorare gli automatismi e le efficienze dell’impianto. In piemontese c’è una parola che serve per descrivere lo stato d’animo che hai quando hai un pensiero, un cruccio in testa che non ti passa, quasi non ti fa dormire, “sagrin”. Mai nome non fu più azzeccato!
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L’homebrewing è una passione che affascina moltissimi dei nostri lettori. Tu, peraltro, hai vinto numerosi premi in concorsi dedicati ai domozimurghi. Quanto ritieni importante l’esperienza maturata da hobbysta nella formazione delle competenze e della creatività di mastro birraio? Usi ancora l’impianto domestico per sperimentare nuove birre, testare gli ingredienti o sviluppare nuove tecnologie di brassatura?
L’esperienza da homebrewer la ritengo fondamentale! Ovviamente non sufficiente per diventare un birraio di professione, tantomeno un ‘imprenditore’ che apre un’attività artigianale, dove forse l’ultimo dei problemi è fare birra. Tuttavia l’estro, l’inventiva, e l’esperienza maturata dai birrai italiani – la maggior parte ricordiamo che ha un trascorso da homebrewer – senz’altro hanno influenzato la scena italiana. Anzi, l’handicap italiano relativo alla poca cultura e tradizione birraria e stato sopperito alla grande, direi, dall’inventiva e dalla libertà di sperimentazione che spesso uno stile ti toglie. E chi più di un homebrewer può sperimentare e osare? Io personalmente sono orgoglioso nel definirmi un homebrewer e trovo spesso spiacevole che si definisca una birra artigianale scadente come ‘da homebrewer’: ho assaggiato diverse produzioni casalinghe che supererebbero senza troppa fatica la maggior parte dei birrifici italiani. Noi in birrificio abbiamo ancora il nostro ultimo impiantino e ci è servito per sviluppare le cotte e magari ci servirà in futuroper le nuove idee. Purtroppo ormai il tempo scarseggia, ma la voglia di testare e sperimentare è sempre viva!
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Molto interessante il vostro impianto produttivo: interamente nato da un progetto sviluppato insieme a Giuseppe. Quali sono le sue peculiarità?
Si, è stata una bella scommessa. Principalmente noi cercavamo un impianto da 10hl molto semplice e lineare, in cui il mosto non facesse troppi giri o spostamenti, sulla falsa riga dell’esperienza maturata nell’ingegnerizzazione dei tre impiantini più piccoli. Commercialmente ci sono impianti parecchio validi ma magari automatizzati, per cui con dei costi maggiori, o più piccolini, con una capacita produttiva limitata. Ci siamo affidati a dei professionisti molto seri nella lavorazione dell’acciaio e ci siam fatti fare le vasche e i collegamenti a nostro piacere. È stato un po’ un salto nel buio, perché non è mai stato ne testato, nè avevamo mai avuto esperienze con volumi del genere, ma direi che e andata più che bene!
Nella gamma delle birre prodotte, spicca la Samos, aggiunta di mosto di moscato che la caratterizza in modo inconfondibile: oltre alla validità tecnologica di tale ingrediente, quale significato di legame con il territorio assume questa scelta per il Birrificio Sagrin?
La Samos ha una lunga storia e, “diamo a Cesare quel che è di Cesare”, è nata da un’intuizione di Giuseppe, che ha creduto fin da subito al connubio birra-vino. Ha avuto trascorsi travagliati, ha visto nascere e morire dei progetti che comunque ci han permesso di levarci alcune soddisfazioni, ed è stata la prima ricetta a cui abbiamo pensato dopo l’apertura del birrificio: un qualcosa che collegasse il territorio, le nostre origini, ai nostri prodotti. Io considero le IGA il futuro e il cavallo di troia che ha l’Italia per fissare la propria presenza nell’olimpo della birra: il primo stile riconosciuto a livello internazionale! Lavoreremo senz’altro ancora in questa direzione, abbiamo già alcune idee in mente per collaborazioni con alcuni produttori tra Langhe, Monferrato e Roero.
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Come vedete il futuro delle tue birre in un mercato sempre più globalizzato? Quanto ritieni importante il legame con il territorio locale, anche attraverso l’uso oculato di materie prime tradizionali e locali nella caratterizzazione delle birre Made in Italy?
Sarò sincero, noi ad oggi non usiamo materie prime italiane. Essendo un’attività appena avviata, il cambio di una sola materia prima modifica sensibilmente una birra, sia sotto il profilo aromatico, che sotto quello tecnologico (rese, limpidezza ecc..), senza contare che alcune materie prime, i luppoli in particolare, non possono venire sostituiti molto facilmente, essendo una coltivazione strettamente legata al terroir di provenienza. Attualmente ci troviamo bene con il nostro fornitore, ma in futuro quando le nostre produzioni saranno sufficientemente stabili, non è detto che non si provino strade nuove, dove sicuramente, un progetto di filiera italiana è in pole position.
Maggiori informazioni sul Birrificio Sagrin sono reperibili sul sito web aziendale www.sagrin.it