Numero 43/2018
24 Ottobre 2018
Chiavari: borgo di mare, borgo di birra!
La Liguria è da sempre una delle mete preferite per trascorrere le vacanze: frotte di turisti, non solo d’estate, vivono gli spettacolari paesaggi marini e l’ameno entroterra per godere delle rilassanti spiagge e lasciarsi coccolare dall’accoglienza tipica della gente dei borghi.
Pur se un po’ in ritardo rispetto alle altre regioni del Nord Italia, oggi anche la Liguria vanta una capacità produttiva di birre artigianali che di certo può far invidia, soprattutto per ricercatezza e qualità: in particolare, trovano terreno fertile soprattutto i brew-pub, dove si concilia la produzione all’accoglienza degli avventori ed servizio di piatti genuini.
Nella giornata odierna, sfruttando questa coda di estate ormai fuori stagione, vi accompagniamo in uno splendido sopralluogo nella cittadina di Chiavari, nel cui centro storico si trova uno dei più apprezzati locali del Levante, grazie alla Birra Leo, ovviamente autoprodotta!
Ad accoglierci Fabrizio Leo, il birraio, che ha avviato al sua esperienza produttiva nel borgo ligure nel 2012, ma vanta una lunga esperienza nel settore.
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Fabrizio, essere “birraio di professione” è una bella impresa: come è nata la tua passione e quale la tua esperienza?
La mia formazione è iniziata nel 1998 e dopo aver conseguito a pieni voti il Diploma di Publican, presso la Università della Birra di Azzate del compianto Franco Re, ho iniziato a far pratica come apprendista, lavorando a bottega, in diversi microbirrifici in Germania.
Nel 2003 sono approdato a Berlino dove, arrivando sesto del mio corso, ho conseguito il Diploma di Mastrobirraio presso la Technische Universität e la VLB (Versuchs-und Lehranstalt für Brauerei), Istituto di Ricerca ed Insegnamento di Tecnologia di Produzione della Birra, che dal 1883 è tra le più antiche e prestigiose scuole per Mastribirrai della Germania.
Quest’anno sono 20 anni di “lavoro nella Birra” e penso di non aver ancora completato la mia formazione.
Produrre birra tra i carrugi di Chiavari è sicuramente un onore per pochi e, di certo, ci sarà qualche svantaggio logistico. Quali sono le peculiarità dell’impianto produttivo?
La Liguria è avara anche di spazi e quindi trovare un fondo che potesse coniugare, birrificio e pub oltre ai locali tecnici, è stata dura. Ma grazie anche al tipo di impianto compatto riesco ad avere una buona capacità produttiva e una cantina di 60hl in soli 45mq. E poi mi piace giocare a tetris.
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Hai un’idea molto chiara nella realizzazione delle tue birre: come descriveresti la tua firma brassicola?
“A compiacersi del semplice ci vuole un’anima grande” questa è una citazione, a mio avviso molto significativa, di Arturo Graf.
Semplicità è il mio mantra e penso che la “Scuola Tedesca”, come quella inglese sia una buona interprete di questa caratteristica.
La Pils è per antonomasia una “birra semplice” che però non perdona: se sbagli il bilanciamento oppure la pulizia si sente e non accetta errori.
Per fare questo stile devi essere preciso e dopo puoi compiacerti ad ogni sorso della sua “complessa semplicità”
Ma questo vale anche per la mia Helles Bock, la Benedictus, oppure la mia Dunkel Bock di Natale – Krampuss.
Oggi con la mia Josef Premium Pils, con malto floor boemo e luppoli bavaresi, penso di aver trovato una quadra alla mia “pils-mania”. Ho limato la mia ricetta per quasi 10 anni fino ad arrivare ad oggi in cui mi sento soddisfatto
Tradisco saltuariamente la Germania con l’Inghilterra e l’Irlanda, perché trovo in queste scuole birrarie la stessa semplicità di beva.
Malti e luppoli autoctoni delle regioni da cui provengono le tipologie, niente dryhopping, ma soprattutto bilanciamento.
Non mi piacciono le birre troppo spinte sul luppolo: sono sicuramente “ruffiane e accattivanti” ma alla lunga stancano. Non ho mai visto un Mass da litro pieno di American IPA
Birra Leo è anche un liquore: come nasce questa idea e come si colloca nelle occasioni di consumo?
Nasce dalla mia esperienza tedesca negli anni del mio apprendistato in Foresta Nera.
Qua ho avuto la fortuna di lavorare in un brewpub di fine 1700 con un impianto ancora a legna, che era anche distilleria e liquorificio.
Infatti “Cervo Nero” è un liquore in stile Foresta Nera (barricato 6 mesi) e sono orgoglioso di essere l’unico interprete di questo tipo liquore in italia.
E’ un ottimo fine pasto o accompagnamento ai dolci, ma in birrificio lo uso anche per cucinare, come nella nostra salsa bbq oppure nella marmellata di bacon.
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Avere l’opportunità di unire la produzione al rapporto diretto con gli avventori è un elemento importante per migliorare continuamente le ricette ed avere una percezione immediata delle nuove esigenze del consumatore: oltre al brew-pub dove è possibile assaggiare le tue birre?
Purtroppo non tengo conto degli avventori. Sono convinto che un Birraio abbia la “responsabilità” di educare i propri clienti, senza prosopopea e con umiltà rispettando anche chi “se ne batte il belino” della birra.
Faccio dei corsi in birrificio oppure mi dilungo al tavolo nella spiegazione delle birre, ma solo con chi è curioso o interessato.
Fare cultura non significa annoiare o imporre quello che pensiamo a chi ha solo voglia di bere in santa pace.
Alla fine se la Birra è buona e corretta, il più delle volte sarà lei a parlare per noi.
Il consumo è al 100% interno al Birrificio.
Come ritieni sia evoluto il consumatore locale e quali le prospettiva futura per le craft liguri secondo la tua opinione?
La Liguria è ancora fuori dal “mood” della craft beer italiana, le cui capostipiti sono Milano e Roma.
Trovo “la nevrosi di novità” che si instaura in un nerd della birra stancante e controproducente, anche per se stesso.
Mi spiego meglio.
Avere locali con 20 spine in heavy rotation è sicuramente divertente, ma ha un effetto “sveltina”. Non fa innamorare il cliente sia della tua birra che della tua filosofia.
Ho solo 3 spine, con una birra annuale (la Josef Pils) e 2 in rotazione ogni 2/3 mesi per circa 10/11 birre l’anno diverse.
Ho ricevute critiche perché l’offerta è bassa, perché oggi la normalità sembra quello di avere sempre una birra diversa ogni settimana.
Non è e non deve essere così soprattutto se sei un produttore.
Bisogna “innamorarsi” di una birra e godersela. Farla conoscere e raccontarla.
Passare da una birra ad un’altra senza averne capito il gusto (che può piacere oppure no ci mancherebbe) mi sa di “bulimia birraria” che non soddisfa nessuno: cliente e birraio.
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Quale sarà il futuro delle craft in Liguria?
Non saprei cosa dire.
Di certo la produzione e la commercializzazione per me deve sempre rimanere “locale” per avere un maggior controllo di un prodotto comunque deperibile e che a volte trovi in giro non stabilizzato e quindi che perde valore e fa finire tutti nell’equazione artigianale=cattivo.
E questo lo dico perché per altri prodotti alimentari è così e quindi non vedo perché non possa valere per la birra artigianale.
Maggiori informazioni su Birra Leo al sito web: www.birraleo.com