Numero 05/2017
3 Febbraio 2017
Cittavecchia: il birrificio storico di Trieste
Non sarà bora di quella cattiva, però il vento gela l’umidità sull’asfalto quando arrivo a Sgonico, a pochi km da Trieste. Meno male che le condizioni climatiche sono un po’ più amichevoli all’interno dello stabilimento di Cittavecchia, birrificio nato nel 1999, quando – eccettuati i brewpub – i birrifici artigianali italiani si contavano sulle dita non diciamo di una, ma di due mani o poco più. Il fondatore Michele Barro ha tenuto saldo il timone – e lo possiamo ben dire, trattandosi di una città di mare – fino all’estate del 2016; quando l’enologo Giulio Ceschin, desideroso di sperimentare anche le vie della birra, ha rilevato il birrificio insieme ad alcuni soci. Per Cittavecchia si sta dunque aprendo un nuovo corso: ripercorriamo, insieme a Michele e Giulio, le tappe già compiute e quelle che si profilano all’orizzonte.
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Michele, come è iniziata l’avventura?
In Friuli Venezia Giulia, negli anni Novanta, già erano nati alcuni brewpub: ed era infatti ad un brewpub che io e Valentina avevamo pensato, identificando un locale nella zona vecchia di Trieste – Città Vecchia, appunto – dove aprirlo. Poi diverse circostanze ci hanno portati a cambiare progetti e così, tra i pionieri in Regione – ma anche in Italia, perché all’epoca eravamo ancora in pochi – abbiamo scelto la strada del birrificio mantenendo il nome inizialmente pensato. Siamo partiti con un impianto da 5 ettolitri, e con due lager – chiara e rossa – e una weizen: Trieste ha una tradizione birraria mitteleuropea, e su questa ci siamo inseriti. Del resto, all’epoca andavano le birre semplici e poco amare, i tempi delle luppolature audaci erano ben al di là da venire. Facevamo birra per diversi locali, ma il primo successo di pubblico è arrivato con un chiosco sulla spiaggia a Sistiana, dove portavamo anche 30 fusti a settimana. Due anni più tardi è nata come birra di Natale la Formidable, ispirata alle birre d’abbazia e alle strong ale; che dato il successo – l’abbiamo portata a Pianeta Birra, quello che poi sarebbe diventato il Beer Attraction – abbiamo mantenuto anche al di fuori della stagione delle feste. Parallelamente abbiamo cominciato anche l’attività culturale e di divulgazione, le degustazioni ed altri eventi; e dopo diversi anni in cui siamo andati avanti con quattro birre si sono aggiunte la stout Carnera, la ipa Lipa – gioco di parole con la parola slovena “lipa”, tiglio – e la nuova natalizia, la San Nicolò. Anche come distribuzione siamo cresciuti: dal livello cittadino siamo passati a quello italiano, fino ad arrivare anche in Danimarca, negli Usa e a Parigi; attualmente esportiamo piccole quantità in Australia e Giappone.
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Come si è arrivati poi al passaggio?
Le soddisfazioni ottenute nel veder crescere così un birrificio, partito appunto tra i pionieri, sono state tante; però con Valentina ci siamo resi conto che il panorama era cambiato radicalmente rispetto a quando siamo partiti. Non basta più fare, genericamente, buona birra artigianale: servono capacità commerciali diverse, che per natura non avevamo, e abbiamo quindi concluso che qualcun altro meglio di noi potesse portare avanti l’attività. E qui si è inserito l’incontro con Giulio.
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Giulio, come sei arrivato alla birra artigianale?
Fino al 2013 ho condotto un’azienda vinicola, ma per svariate ragioni ho deciso di lasciare quell’attività. Mi ero interessato, con alcuni amici, alla birra: ma non avendo esperienza nel settore, partire a farla da noi sarebbe stato prematuro. Ho quindi saputo di Michele, e della sua volontà di passare l’attività a qualcuno con una sensibilità diversa sotto i profili che ha descritto: ci siamo incontrati, ci sono piaciute sia le birre che il modo di lavorare di Michele, e ci siamo ritrovati su un progetto per il futuro del birrificio. Ho chiesto a Michele di rimanere, anche se il birrificio è stato formalmente rilevato, e di partecipare ancora con noi all’avventura finché lo vorrà.
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Tu arrivi dal mondo del vino: che differenze hai trovato, e quali invece punti di convergenza?
Da un certo punto di vista, vino e birra sono due prodotti affini che però viaggiano su strade separate. Mentre il vino ha una sua cultura radicata negli anni e nel territorio, e anche dal punto di vista aziendale e imprenditoriale è un ambiente maturo, per la birra non è ancora così: il pubblico è per buona parte “generico”, e anche tra i birrai non sempre c’è la formazione adeguata sia sotto il profilo della produzione che della gestione aziendale. Certo, soprattutto con l’ingresso della birra nella ristorazione, si stanno aprendo nuove strade; e credo che per i birrifici artigianali il passo fondamentale da fare per imporsi su quelli industriali sia offrire servizi – dalle spine, ai bicchieri – e stabilità nel prodotto, strutturandosi meglio. Anche l’associazionismo tra produttori è un aspetto che deve ancora maturare, e non solo nel settore birrario: è necessario avere un gruppo coeso e un obiettivo comune, altrimenti è difficile per il singolo produttore superare il proprio ego.
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Che progetti ci sono dunque per il futuro di Cittavecchia?
Innanzitutto l’ampliamento: con l’attuale impianto da 20 hl, grazie a nuovi tank e fermentatori, puntiamo fino al raddoppio dell’attuale produzione di 1000 hl annui. Poi, al piano superiore dello stabilimento, stiamo allestendo un punto vendita e una sala degustazione da utilizzare anche per piccoli eventi. Inoltre ci stiamo rinnovando sotto il profilo del marketing e comunicazione. Le idee che bollono in pentola sono tante, e sicuramente il 2017 sarà un anno intenso.
Maggiori informazioni sul birrificio Cittavecchia sono disponibili al seguente link: www.cittavecchia.com