Numero 34/2016
25 Agosto 2016
Collezionisti si nasce: intervista a Michele Airoldi
Michele Airoldi fin da ragazzo si dedica al collezionismo. Ora, che è – almeno per l’anagrafe – un po’ meno ragazzo, racconta la sua lunga esperienza di cultore di cultura birraria. Il suo volume “Antiche birrerie italiane” è una miniera di vicende, immagini e rarità. Locandine, cartoline, bicchieri, sottobicchieri, manifesti, documenti ricordano che la birra, anche in Italia, ha una lunga storia.
C’è un oggetto che ha fatto scattare la voglia di collezionare?
Più che un oggetto una situazione molto particolare. Tutto è iniziato con un annuncio trovato, per puro caso su un giornale, dall’amico Cesare Ajmassi. Un Club genovese di collezionisti di lattine di birra “Il Barattolo” aveva pubblicato un appello per cercare nuovi soci.
Essendo entrambi collezionisti di “nascita” (sostengo che collezionisti si nasce), rispondiamo subito con entusiasmo e, nel 1982, organizziamo un Raduno Nazionale al parco di Monza che ottiene un incredibile successo e fa decollare il Club che ormai vanta 36 anni di vita. Tutte le domeniche ci si ritrovava in un bar periferico di Monza, si parcheggiavano le auto sui due lati del viale, si apriva il portabagagli, esponendo scatoloni pieni di lattine sul cofano, e si cominciava lo scambio. Dopo un paio d’ore di andirivieni fra un’auto e un’altra tutti se ve andavano via con il loro piccolo tesoro, frutto di questi scambi. È stata mia moglie Franca invece a farmi scoprire gli altri oggetti pubblicitari, in particolare la bellezza dei bicchieri, un amore che abbiamo condiviso insieme trascorrendo stupende domeniche rovistando fra le bancarelle dei mercatini dell’antiquariato.
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Che paletti si pone alla sua collezione?
Domanda molto opportuna! Quando si inizia una collezione occorre avere le idee ben chiare per non trovarsi in pochi mesi con la casa invasa da paccottiglie. Mi posi subito un “paletto” importante. Avrei collezionato solo oggetti vecchi, belli e rari come dovrebbe fare ogni buon collezionista. Fu una scelta facile perché mi resi quasi subito conto che l’oggettistica pubblicitaria realizzata con una cura particolare era stata prodotta fra fine Ottocento e gli anni ’60. Gli oggetti prodotti in questo lasso di tempo sono quasi sempre oggetti di grande valore artistico. Creati dai più grandi illustratori e grafici pubblicitari attivi in Italia nei primi decenni del Novecento. L’impressione che se ne ricava osservandoli attentamente è che siano stati creati pensando più all’aspetto artistico che non all’uso cui erano destinati. Non si spiegherebbe altrimenti la cura posta nella realizzazione, per esempio, dei bicchieri destinati a rompersi o nelle etichette e sottobicchieri destinati a venire buttati nel giro di pochi mesi.
I pezzi della mia collezione si riferiscono tutti al periodo storico suddetto.
Il suo è un intento “museale”, raccoglie cioè per una migliore documentazione e fruizione sulla storia della birra, o è solo un interesse personale?
Inizialmente fui preso dal sacro fuoco del collezionismo. Mi importava solo trovare nuovi pezzi. Poi, dopo anni di affannose ricerche, mi resi conto che ciò era limitativo e cominciai a pensare che fosse opportuno arricchire la mia passione introducendo l’aspetto culturale. Iniziai col realizzare i cataloghi dei bicchieri prodotti dalla Birrerie Moretti e Peroni, per poi dedicarmi alla ricostruzione della storia di vecchie birrerie che pubblicavo sul Giornalino del Club Il Barattolo. Fino a quando mi senti pronto per realizzare un’opera importante. Nel 2001 pubblico il volume, unico nel suo genere, dal titolo “Birrerie storiche d’Italia” che va esaurito in poco tempo. Ha fatto poi seguito un secondo volume edito nel 2014.
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Ha mai scambiato oggetti o si affeziona alle cose che colleziona?
Comprato purtroppo spesso perché è la strada principale da percorrere per arrivare a possedere una bella collezione, Sono però riuscito anche spesso a vendere (ovviamente pezzi doppi) per contenere l’esborso spesso non indifferente. Lo scambio non l’ho mai amato molto perché complesso. Comporta infatti che due collezionisti attribuiscano pari valore sia al pezzo che intendono cedere sia al pezzo che chiedono in cambio. E ciò succede raramente. Molto più semplice comprare e vendere. Ovviamente non ho mai venduto pezzi della collezione.
Qual è il pezzo che gli è più caro? Perché?
Potrei raccontare storie curiose, incredibili e piene di umanità intorno ad ogni ritrovamento, descrivere perché un particolare oggetto ha un valore storico e artistico o semplicemente ha un significato speciale per me. Ma il pezzo che, in assoluto, mi è più caro è uno stupendo bicchiere della Wuhrer prodotto negli anni 30. Perché il pezzo che mi è più caro? Per due importanti motivi: il logo è stato dipinto nientepopodimeno che da Pietro Wuhrer Junior, a mio avviso il più grande birraio apparso in Italia. Un personaggio molto eclettico, grande birraio, grande scrittore, grande filatelico e ottimo disegnatore, mi è stato regalato da suo figlio Dottor Cesare, mancato purtroppo alcuni anni fa, che mi ha onorato della sua amicizia.
Ci presenti l’oggetto più antico, e quello più prezioso…
Le birrerie italiane hanno rivolto poca attenzione alla produzione dei boccali contrariamente a quanto accaduto in Germania dove la loro produzione è sempre stata molto diffusa e di alto livello qualitativo. Da noi i boccali erano prodotti in serie, destinati soprattutto alle osterie, con poche pretese artistiche Ritengo perciò che il pezzo più prezioso della mia collezione sia quello che propongo, realizzato a mano da un grande artista. Non escluderei possa trattarsi di un unico pezzo creato per omaggiare un personaggio importante in visita alla Birreria Forst. Con molta probabilità anche il più antico (fine 800?).
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La collezione è un modo per studiare la storia. Nel suo volume sono raccolte informazioni quasi sempre sconosciute al grande pubblico. Come ha condotto le sue ricerche? C’è qualche episodio o fatto relativo alle birrerie antiche che l’ha colpito più degli altri?
Per quanto riguarda le ricerche ho seguito, per oltre trent’anni, i canali più classici: incontri con i discendenti di antiche birrerie, visite alle biblioteche, documenti storici e volumi acquistati sui siti di vendita all’asta, camere di commercio. Per il secondo volume devo invece molto al Dottor Cesare Wuhrer che è stato la mia memoria storica. Quando ci incontravamo nella sua villa di Brescia o ci sentivamo al telefono non c’era domanda cui lui non sapesse rispondermi. Per quanto riguarda invece un fatto che mi ha colpito nel corso delle mie ricerche devo citare la “cattiveria” con cui le grandi birrerie rilevavano le piccole non per rilanciarle ma soprattutto per sopprimerle! Per comprendere questo fenomeno considerate che delle 151 birrerie esistenti a fine Ottocento, nel 1921 ne sopravvivono solo 58! Nel mio secondo volume riporto integralmente una lettera autografa del titolare di una birreria che racconta tutto il suo rammarico per aver ceduto la fabbrica con la promessa da parte dell’acquirente che l’avrebbe rilanciata per poi vederla smantellare appena acquisita. Cito testualmente un paragrafo di questo eccezionale documento storico: “Il titolare, essendo ormai in età avanzata, accetta una proposta di acquisto con la speranza di veder continuare la propria opera e cede, in buona fede, l’azienda a chi con insospettabili e insospettati intrighi e per pura esecrabile speculazione e avidità di lucro, proditoriamente meditava la soppressione di questa vecchia industria paesana.”
Sfogliando il suo libro si notano manifesti raffinati, ricercati e curiosi, in linea con il buon gusto dell’epoca. Che impatto ha il “manifesto” sul consumatore? Che tipo di investimento era, per un birrificio, quello grafico?
L’investimento era sicuramente molto importante dal punto di vista finanziario per diversi motivi: si ricorreva quasi sempre a grandi illustratori, il processo per la realizzazione di litografie era molto complesso e oneroso, c’era il costo dell’affissione sia come mano d’opera che come tasse. Per contro di sicuro impatto sul consumatore. Si consideri che nei primi decenni del Novecento i giornali erano ancora un privilegio riservato a pochi, la televisione non esisteva, Internet men che meno, la radio era agli albori e probabilmente non aveva neppure cominciato a trasmettere pubblicità per cui il manifesto era il messaggio più immediato e con un “audience”, come si direbbe oggi, molto elevata. A proposito di questo veicolo pubblicitario l’Italia può vantare una delle più importanti collezioni d’Europa. Lo dobbiamo al trevigiano Luciano Salce che ha dedicato la sua vita a raccogliere manifesti arrivando a 40.000 pezzi. La collezione è stata donata al Museo Bailo di Treviso che, purtroppo, la conserva nel magazzino. Solo occasionalmente vengono organizzate mostre tematiche.
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Guardando il proliferare delle tante nuove birre artigianali di oggi, nota qualcosa di interessante?
Quando, una quindicina di anni fa, sono apparse le prime birrerie artigianali ero molto scettico sul loro futuro. M i chiedevo come avrebbero potuto imporsi sul mercato presidiato dalle grandi birrerie industriali. Sono stato smentito e ne sono lieto. Proprio alcuni mesi fa la Birra del Borgo nata nel 2005 è stata acquisita dal colosso mondiale Ab-Inbev il maggior gruppo al mondo! La prova lampante che le birrerie artigianali hanno qualcosa da insegnare ai Grandi Gruppi. Come se non bastasse le birrerie industriali, ultimamente, stanno mettendo in atto strategie che sembrano orientate a contrastare, in qualche modo, il successo ormai indiscutibile delle birrerie artigianali. Si riscoprono i vecchi marchi come Poretti, Pedavena, Itala Pilsen. Si dedicano birre a chef, ad ex calciatori baffuti. Si riscoprono etichette di 50/60 anni fa.