Numero 19/2019
9 Maggio 2019
From Busto to Little Crosby: Intervista ad Andrea Lovati di Rock The Boat
Durante il Liverpool Beer Festival ho avuto occasione di conoscere Andrea Lovati, il giovanissimo birraio del microbirrificio Rock The Boat, con sede a Little Crosby, piccolo centro abitato alla periferia di Liverpool. Andrea è un ventitreenne di origini venete cresciuto a Busto Arsizio, che dopo una iniziale carriera universitaria nelle scienze statistiche ha trasformato in professione la sua passione per la birra. Rock the Boat è invece il birrificio fondato nel 2015 da David Barker. David, che in gioventù ha lavorato presso grossi birrifici nazionali, ha poi per molti anni svolto la professione di insegnante di matematica prima di tornare alla sua grande passione, la birra, fondando il microbirrificio Rock the Boat. E qui nell’ottobre del 2018 è giunto Andrea come birraio, iniziando a dare da subito una sua personale impronta ai prodotti del birrificio, in sinergia con il fondatore. Le loro birre, tutte improntate a un approccio birraio privo di fronzoli ed estremamente beverine, sono in prevalenza pale ale dal gusto secco, pulito e con luppolatura molto equilibrata, ma anche alcune interessanti bitter e dark ale. Abbiamo fatto alcune domande ad Andrea per cercare di capire attraverso la sua testimonianza, l’esperienza del venire a contatto come produttore con una realtà, quella dei bevitori inglesi, di certo molto diversa da quella dei consumatori italiani.
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Come ti sei avvicinato al mondo della produzione professionale della birra?
Il mio percorso di studi era inizialmente orientato verso tutt’altro, ho studiato per due anni alla facoltà di statistica della Bicocca.
La birra era comunque una grande passione, inizialmente solo come bevitore. A vent’anni infatti avevo fatto un interrail che mi ha portato in Belgio, Francia, Olanda , Germania e Repubblica Ceca. Questa esperienza è stata l’occasione per iniziare un percorso di avvicinamento a stili differenti dalle lager commerciali.
A un certo punto, insoddisfatto dal percorso di studi che stavo facendo e desideroso di dare una svolta alla mia vita incentivando la mia passione per la birra, ho fatto un corso della durata di un anno a Cremona, dove ho avuto la possibilità di apprendere, oltre che da Lorenzo Bottoni che del corso era l’ideatore, dall’insegnamento di personaggi come Simon Mattia Riva, Matteo Bonfanti di Carrobiolo, Flavio Boero. Inoltre, durante l’anno di corso era previsto uno stage presso il birrificio The Wall.
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Come sei approdato a Rock The Boat?
Concluso il mio percorso di formazione a Cremona mi stimolava l’idea (che mi era stata già suggerita da Daniele Martiniello di The Wall), di propormi come birraio ai birrifici britannici. Ho avuto più di un segnale d’interesse tra i vari birrifici cui mi sono proposto, prima di avere una risposta da David. Ho apprezzato comunque molto la sua spontanea cortesia nell’ avermi proposto di fare un colloquio con un suo amico che parla piuttosto bene l’italiano (Mike Broadhurst, il quale vive in Italia da vent’anni e si occupa di import – export di birra ) da lui debitamente istruito su quali erano i termini precisi dell’offerta lavorativa che mi proponeva. Dave insomma si è rivelato alla fine quello più seriamente interessato a farmi un’offerta collaborativa. C’è da dire inoltre che io ero alla ricerca di una dimensione come quella di Rock the Boat, su scala produttiva relativamente piccola (circa cinquemila litri di produzione mensile), in cui non solo il birraio partecipa direttamente a ogni singola fase del processo produttivo, inclusi i lavori più pesanti, e con un rapporto molto diretto tra artigiano esperto(Dave) e birraio apprendista(io) che mi consentisse di integrare il mio percorso formativo. Infatti la contropartita di lavorare in una situazione come questa è poter realizzare un discorso di crescita comune in cui, nonostante la mia giovane età e relativa esperienza, posso interagire in modo creativo e soddisfacente in ogni fase produttiva, e ciò ovviamente comporta anche il doversi prendere grosse responsabilità.
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Parlaci delle vostre birre, quali stili producete?
Produciamo quattro diversi tipi di pale ale: Liverpool Light, Yellow Submarine(birra che è una sorta di one shot, almeno in parte, perchè a ogni cotta manteniamo il medesimo grist di malti e ammostamento ma variamo la luppolatura), Fab Four e Dazzle; Abbiamo poi due golden ale, la Waterloo Sunset (birra ambrata dal gusto speziato, ripetutamente bevuta al festival e la mia preferita – N.d.A.) e la Mussel Wreck; la Bootle Bull, ambrata, che è il nostro best seller; Per finire, due birre scure: la Sittin’ on the Dock (una dark mild dai sapori complessi e avvolgenti, anch’essa apprezzata al festival – N. D. A.) e la Dragon’sTeeth, una chocolate stout
Tutte le birre traggono ispirazione per il nome da un riferimento alla città di Liverpool o la regione in cui ci troviamo (il Merseyside) .
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Sulla base della tua esperienza sul posto cosa hai notato di diverso, a parte la ben nota differenza di consumo pro-capite di birra, molto maggiore in Inghilterra, nel consumatore di birra rispetto a quello italiano?
Una cosa che ho notato è una certa estremizzazione dei consumatori. Per esempio, la realale ha caratteristiche di servizio (sia per quanto riguarda le tempistiche, il rilascio della CO2 e la temperatura) diverse spesso rispetto a quella che definiamo birra artigianale (che qui viene denominata craftbeer), Questo comporta che spesso il consumatore di realale beve solo questa tipologia snobbando le altre, e viceversa. Insomma ho notato una certa rigidità di pensiero da parte dei consumatori. Un’altra cosa da dire è che la resistenza del consumatore medio alla craftbeer dipende dal fatto che ha un costo maggiore rispetto alla realale, e questo contrasta con l’abitudine diffusa di bere molte pinte spendendo poco.