Numero 19/2017
9 Maggio 2017
Hibu: l’agribirrificio con il cuore in Brianza
Hibu è sinonimo di genuinità, artigianalità, passione, lungimiranza, ottimismo, territorio ed innovazione. Così mi piace sintetizzare la storia, la filosofia produttiva e l’intraprendenza di questo birrificio, nato nel 2007 in Brianza e che è stato capace di distinguersi in pochi anni per una dinamicità davvero fuori dal comune. Oggi, infatti, accanto al rinnovato stabilimento di brassatura a Burago di Molgora, si è sviluppata un’azienda agricola che permette la produzione diretta di buona parte delle materie prime. Per questo, più di altre birre artigianali, quelle dell’agribirrificioHibu sono davvero espressione del Made in Italy.
Personalmente, sono stato molto colpito dall’entusiasmo e dalla passione con cui il mastro birraio Raimondo Cetani mi ha descritto la nascita del progetto e ancora di più mi ha stupitola capacità imprenditoriale che ne ha consentito una così rapida evoluzione di successo. “Abbiamo un approccio aperto alle nuove tendenze – mi ha spiegato Cetani – ciò significa che non stiamo mai fermi, siamo sempre in giro, ci confrontiamo spesso con altri colleghi lavorando anche a quattro mani. Ne sono un esempio le recenti collaborazioni con Michele Anzolin della norvegese Haandbryggeriet o con lo svizzero Reto Engler. Insomma, ci teniamo attivi, curiosi, ricettivi”.
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Come e quando è nato il progetto Hibu? Quali sono state le leve di successo che hanno permesso l’espansione del mercato? Quali le principali tappe di crescita del birrificio?
Hibu nasce da un’idea di Raimondo Cetani, informatico in cerca di altre vie in cui esprimere la propria creatività e la propria passione per la vita. Oltre a fare l’allenatore di calcio per una piccola squadra di ragazzi ed amare i viaggi da cui inizia a trarre ispirazione per le cotte, Raimondo sul finire degli anni Novanta fa la birra in casa. Inizialmente per sé e per i propri amici. Un hobby che ben presto diventa qualcosa di più grande del suo impiego da informatico. Così nel 2007 lascia il mitico posto fisso e inizia a brassare per professione. Alla ricerca di una bevuta adatta a qualsiasi occasione e persona. Ecco perché il campionario è vasto – 25 etichette in carta – e va da sé, variegato. “Abbiamo fatto grandi passi da quando realizzavo le cotte nel garage di casa – rammenta il mastro birraio in un incedere che riconosceresti fra mille e che molto ricorda i personaggi di Tolkien – oggi abbiamo un nuovo stabilimento a Burago di Molgora in cui stiamo continuando ad investire in tecnologia, con un laboratorio chimico per le analisi interne e macchinari sempre più evoluti. Perché il piacere dell’artigianato va sostenuto con la tecnologia, in modo da realizzare un prodotto stabile per una clientela in crescita e come noi sempre più esigente”. A tal proposito il mercato italiano di Hibu è in forte espansione, con un fatturato 2016 di circa 1 milione di euro, in espansione del 30% rispetto all’anno precedente. Tendenza che l’azienda brianzola sta replicando anche all’estero, dove esporta in Gran Bretagna, Finlandia, Olanda, Francia, Russia e persino Belgio. Senza contare la Danimarca dove addirittura Cetani e soci la scorsa estate hanno aperto “Il Locale”, punto di aggregazione per gli amanti del bere bene italiano alle porte della Penisola Scandinava.
Perché la scelta di produrre direttamente parte delle materie prime? Perché la localizzazione prima in Basilicata, poi in Brianza? Evoluzioni future?
Dalle materie prime coltivate direttamente e dalla selezione di altri ingredienti di altissima qualità, Raimondo Cetani, mastro birraio di Hibu, crea numerosissime birre. Al momento sono venticinque quelle brassate e, mentre mi accompagna nella degustazione, Raimondo mi descrive le peculiarità e la filosofia delle sue scelte agricole: “Inizialmente optai per terreni in Basilicata le cui caratteristiche ambientali fanno sì che vi cresca uno dei migliori orzi italiani. Là abbiamo circa 15 ettari coltivati a orzo e frumento che si vanno ad aggiungere agli oltre 20 dietro lo stabilimento in Brianza – spiega Cetani che insieme a Lorenzo Rocca e Tommaso Norsa forma il nucleo decisionale di Hibu – l’idea è quella di arrivare all’autoproduzione della materia prima. Ma staremo a vedere, la strada è molto lunga. Nel frattempo l’Università di Parma sta portando avanti per noi una ricerca sui luppoli autoctoni lombardi, in modo da poterne coltivare direttamente le varietà più idonee al nostro clima. Ma anche per questo se ne riparlerà fra non meno di tre, quattro anni”. Insomma, a quanto pare i nostri amici sono alla caccia di un’identità sempre più marcata di made in Italy.
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Ma come si struttura la gamma di birre Hibu? Qual è la filosofia produttiva che le accomuna?
“La nostra esigenza è quella di offrire un prodotti di alta qualità alla convivialità di chiunque. Ecco perché nella nostra gamma il consumatore troverà birre più o meno amare, da intenditori o anche da semplici amanti di una bevanda dissetante leggermente alcolica – spiega il mastro birraio – Tutto parte dalla mia passione per i viaggi e per la tavola che è ancora più piacevole se condivisa con gli amici. Da qui la serie di birre Perenni, dieci in tutto, che non escono mai di produzione. Quindi le Stagionali che invece vanno dietro alle temperature e alla voglia di scoprirsi che ne deriva. A queste si aggiungono le Fugaci, sei cotte tenute in produzione non oltre i due mesi, anch’esse influenzate dalla stagionalità. E per finire le Speciali con cui salutiamo specifiche ricorrenze come la Pasqua, il Natale e quest’anno il nostro compleanno”. Infatti Hibu a maggio festeggia il decennale, e lo fa con una tre giorni di eventi costruiti attorno allo stabilimento di Burago di Molgora. Dal 12 al 14 maggio si alterneranno una corsa campestre (che come definiscono qua è “poco seria e molto ludica”), visite guidate gratuite al birrificio, concerti serali, cibo artigianale di qualità, foodtrucks e ovviamente tanta birra Hibu. Tra queste la “TenYearsAfter”, una American Brown Ale nata appunto per fissare nella memoria questa importante meta a due cifre, i 10 anni di vita di Hibu. Occasione per sperimentare anche la prima birra di casa in lattina, la cui effigie viene come sempre disegnata dall’illustratore Giuseppe Ferrario che in un improbabile Rocco (il personaggio alla cheerleader in perizoma e ponpon, con tanto di baffi e pronunciata peluria sul petto) identifica le caratteristiche della bevuta ma anche della circostanza di grande divertimento.
Continuiamo l’incontro con una discussione sul futuro della birra artigianale italiana. Il 2016 ed il 2017 appaiono come anni di svolta: finalmente la politica sembra prendere consapevolezza dell’importanza dei micro birrifici nel panorama delle produzioni agroalimentari italiane, vi sono prospettive positive per la riduzione delle accise, in merito alla possibilità di avviare coltivazioni di luppolo e cereali a livello locale. Raimondo Cetani ribatte alle mie osservazioni, esponendomi il suo punto di vista: “Il settore artigianale sta vivendo ormai da anni una forte espansione. Stiamo però andando verso una fase di maturità e di consolidamento. Il crescente interesse della grande industria per il nostro settore finirà inevitabilmente per condizionare i consumatori e per creare delle novità importanti. Un segnale di svolta da parte delle istituzioni è arrivato con l’approvazione della legge che la scorsa estate ha definito le caratteristiche della birra artigianale. Questo è stato un primo passo al quale dovranno seguire interventi mirati per il sostegno del settore, ad esempio sulla disciplina delle accise”.
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Il Birrificio Hibu, però, oltre alla forte italianità della propria filiera produttiva, guarda oltre confine ed, in particolare, alle situazioni di maggior svantaggio dell’Africa. Dalla sensibilità del team di Hibu, infatti, è nata l’idea di brassare una birra per sostenere un progetto solidale, di cui ancora una volta Raimondo Cetani ci fornisce tutti i dettagli.“La recentissima Jumbo Beer è una AfricanIpa nata con lo scopo di raccogliere fondi insieme a Doc Roma a favore di Amref ed uno dei suoi progetti umanitari in Africa. Nello specifico – aggiunge Raimondo Cetani – concorrerà nella raccolta fondi per il progetto Acqua è Vita che Amref ha attivato in Kenya, nel distretto di Kitui, in un’area rurale a forte rischio di desertificazione. In queste zone il 90% della popolazione vive in campagna e solo il 28% di loro ha accesso a fonti d’acqua potabile raggiungibili nel raggio di 2 chilometri. Il resto degli abitanti percorre anche 13 chilometri prima di raggiungere acqua non sia nociva per la salute”. Nell’Africa a Sud del Sahara la dipendenza da fonti di acqua non protette e la bassa copertura igienico-sanitaria hanno degli effetti devastanti sulle condizioni di salute della popolazione e rappresentano ancora oggi le cause di morte fra i più piccoli: un bambino africano ha una probabilità 520 volte maggiore di morire di diarrea rispetto ad un bambino europeo. Bambini appena nati muoiono in seguito a infezioni causate dall’assenza di acqua pulita e da ambienti insalubri, la ricerca e il trasporto dell’acqua spesso impedisce alle donne di prendersi cura dei figli e alle bambine di andare a scuola, mentre le malattie connesse all’igiene continuano a debilitare e uccidere milioni di persone ogni anno. “Ecco – conclude il mastro birraio Hibu – noi vorremmo dare il nostro, seppur piccolo, contributo al miglioramento delle condizioni di vita di queste persone. Ci piace pensare che la nostra birra possa trasformarsi in acqua, e dunque vita, per qualcun altro”.
Maggiori informazioni sul Birrificio Hibu sono disponibili alla pagina web www.birrificiohibu.it