Numero 15/2016
12 Aprile 2016
Intervista a Agostino Arioli, mastro birrario del Birrificio italiano – parte 1
In occasione del ventesimo compleanno del Birrificio Italiano abbiamo incontrato Agostino, fondatore e mastro birraio di questa splendida realtà del panorama italiano ed internazionale. Pioniere del mondo brassicolo di casa nostra e tra i primi associati in Unionbirrai, ha raccontato a www.giornaledellabirra.it la sua storia e le sue esperienze.
Come mai un giovane della provincia di Como, nell’Italia degli anni 80 dove tutti o quasi si accontentavano di “una bionda per la vita”, va in cerca di qualcosa di più?
Questo, secondo me, deriva dalla mia passione per la birra innanzitutto come bevitore. Nel 1981 avevo sedici anni e con gli amici cominciai a girare i locali della provincia di Como, a volte spingendoci fino a Milano, per assaggiare birre diverse e nuove. Dietro questa ricerca c’era probabilmente la voglia di uscire dal seminato, di fare qualcosa di nuovo, qualcosa di mio. In casa mia, infatti, la birra non esisteva. Per me andare a scovare della birre era una piccola personale rivoluzione, un modo per trovare la mia strada.
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In me inoltre c’è sempre stata quella che chiamo “la scintilla dell’artigiano”: un concetto difficile da definire, ma che, se guardo indietro, ho ben presente. Da piccolo, per esempio, mi sono costruito una fotocamera: era semplicemente un box di legno dove infilavo dei fogli di carta sensibile, con un forellino per imprimerli. Poi sviluppavo da solo queste rudimentali fotografie. Ho sempre tenuto l’orto, quando studiavo all’università ho anche provato a fare il formaggio in casa, quando andavo a pescare mi costruivo da solo le esche a mosca. Tutte cose che hanno a che fare con la manualità, che per me è un imprinting, è il mio modo di essere. Aggiungi a questo l’amore per la birra e il gioco è fatto.
Ad un certo punto mi è venuto in mente di provare a farla a casa e, siccome sono capoccione, sono riuscito a trovare consigli, informazioni utili e materie prime per poter produrre la birra in maniera decente. In questo mio padre è stato di grande aiuto: è stato lui a mettermi in contatto con persone che lavoravano nell’industria birraria, e qualcuno di loro poi ha cominciato a darmi preziosi consigli pratici. Io all’epoca avevo trovato solo un librettino su come fare la birra in casa che era assolutamente meno che rudimentale. Poi le cose hanno preso la loro piega, mi sono a tal punto appassionato che ho deciso di fare della birra il mio lavoro e, più o meno dal 1989, non ho fatto altro che rompere le scatole a chiunque col progetto di aprire un birrificio. Ero determinato al punto che sono riuscito a convincere il mio professore dell’università di tecnologie delle bevande alcoliche a farmi fare una tesi sulla birra. Alla fine anche lui si era talmente entusiasmato al progetto da volerci entrare personalmente: quando abbiamo fondato la società si è proposto spontaneamente per prenderne delle quote.
La passione per la birra è stata per me forse anche un po’ invadente: mi sono tanto focalizzato su questo progetto da dedicarci una grandissima parte della mia vita… però ne sono contento!
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Cosa è rimasto, nelle birre del Birrificio Italiano, di quello che facevi nella cantina dei tuoi genitori?
Quello che c’è di più vicino a ciò che facevamo allora, devo usare il plurale, perché ho iniziato da solo, ma poi si è aggiunto il mio amico Mario, che adesso lavora dietro le spine del “Birri” ( il “Birri” è come viene affettuosamente chiamato il pub a Lurago Marinone), è la ricetta della Amber Shock. Questa birra (dal colore ambrato carico e dai profumi maltati e agrumati) discende in linea diretta dalla birra che facevamo in casa. A differenza di tutti gli homebrewer, io ho sempre fatto, quasi, solo una birra. Questo lo dico per far capire quanto io sia tendenzialmente paranoico e precisino: il mio interesse non era provare a fare mille birre diverse, ma farne una e farla bene, perfezionandola, cesellandola e rifinendola continuamente. La Amber Shock di oggi ovviamente è cambiata, come è cambiata la Tipopils, rispetto a quella che producevamo nel 1996. Sono diventate birre molto diverse, che, evolvendosi, hanno seguito i tempi: credo che il bello sia anche questo. Una grande attenzione alla costanza, alla pulizia e all’eleganza della birra con un approccio metodico e scientifico: questo è l’atteggiamento che mi sono portato qua, nella produzione professionale, direttamente dalla mia cantina di casa e che contraddistingue ancora oggi il Birrificio Italiano.
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I clienti, invece, sono cambiati?
I consumatori di birra in Italia sono cambiati rispetto al 1996 anche se, per quanto riguarda il nostro locale, il cambiamento forse non si percepisce così tanto. Il bello del Birri è che la clientela non è fatta da, come vengono definiti oggi, “Beer Nerd”, “BeerEnthusiast” o “BeerGeek”, che conoscono tutte le birre, i birrifici e le etichette. Da noi viene ancora gente che semplicemente si gode le nostre birre, tranquillamente, senza pensarci troppo sopra, in maniera assolutamente “easy”. Forse è il nostro locale ad essere cambiato meno rispetto al panorama generale che invece è stato proprio rivoluzionato, nel bene e nel male. Il bene è che l’entusiasmo è sempre più grande: oggi c’è un fermento che vent’anni fa potevamo solo sognare. Birra artigianale ovunque, locali che vorrebbero il nostro prodotto dappertutto, giovani che si appassionano alla birra e chiedono di fare stage nel birrificio, un sacco di persone ci vengono a trovare e noi abbiamo la possibilità di incontrale tutte… Il brutto è che adesso c’è una schiera di esperti, o, occorre dirlo, sedicenti tali, che chiede sempre di che stile è la tua birra. Domanda assurda: a noi del Birrificio Italiano questo interessa ben poco.
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Non ho mai bevuto né prodotto birre per stile. Alcuni dei nostri clienti (intendo locali che si riforniscono da noi) ci vengono a chiedere la birra senza avere idea di che cosa sia la birra artigianale, ma solo perché si sentono in dovere di averla, senza la minima formazione per poterla raccontare e proporla ai loro clienti. Quando vendi alle persone sbagliate, non hai fatto un buon affare. Le darai in mano a qualcuno che, nonostante ti paghi regolarmente, le rovinerà, non le saprà raccontare, e non saprà trasferire il filo di passione che parte da qua. Bisogna stare un po’ attenti oggi, Proprio perché il mondo della birra è cambiato un casino…
Anche il gusto della birra logicamente è cambiato. In certi anni abbiamo toccato punte molto forti, quasi un po’ grottesche, nella produzione di birre dal gusto amaro, attraverso un uso sconsiderato di luppoli. Oggi questo atteggiamento riguarda più le birre acide. Spesso devono essere acide ad ogni costo: non importa che siano buone o no, basta che siano acide. Questo porta a birre urlate, eccessive, che non reggono la presenza alle spine di un qualsiasi locale per più di una settimana, perché sono troppo estreme. Non mi pare che né io, né il meraviglioso team che lavora qua, ci siamo piegati più di tanto a questo andazzo. Ogni tanto facciamo birre nuove, quelle che io chiamo “birre moderne”, ma credo comunque che queste birre debbano essere assolutamente originali e sempre equilibrate. Io preferisco birre raccontate, quasi sussurrate, birre che forse emozionano di più e ti toccano nel profondo.
Leggi la seconda parte dell’intervista, pubblicata giovedì 14 aprile!