Numero 30/2018
24 Luglio 2018
La filosofia ed i progetti a Km 0 del Birrificio 32 – Via dei Birrai nell’intervista a Fabiano Toffoli
Fabiano Toffoli è il birraio e il responsabile di produzione del birrificio 32 – Via dei Birrai di Pederobba (TV). In questi ultimi anni ha introdotto nelle sue ricette alcuni ingredienti italiani, come il coriandolo, il miele del Monte Tomba, il Farro marchigiano e, last but not least, il luppolo di Monfumo (TV).
La filiera corta del luppolo locale, in particolar modo, ha visto Fabiano protagonista e promotore del progetto del Distretto del Luppolo e del Farro, che mira a coinvolgere gli agricoltori di Pederobba (e comuni limitrofi) nella fornitura di materie prime al birrificio.
Ho richiesto un incontro a Fabiano per saperne di più. Lui ha gentilmente accettato di fare una chiacchierata, nonostante stesse ultimando una cotta di Nebra con l’altro birraio, Bano.
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Fabiano, sei uno dei promotori del “Distretto del Luppolo e del Farro”, che mira sia ad avvicinare il birrificio ad ingredienti coltivati nelle zone circostanti, sia a differenziare il reddito degli agricoltori della pedemontana veneta.
Ci spieghi un po’ il progetto del Distretto e i progressi ottenuti dopo mesi di lavoro e di incontri con gli agricoltori?
Circa cinque anni fa, con la collaborazione di diversi agricoltori nei colli asolani, abbiamo cominciato a coltivare il luppolo, in maniera biologica, e i risultati sono stati soddisfacenti. Ci siamo detti “Perché non fare di più? Perché non trovare altri coltivatori che vorrebbero diversificare il loro reddito?”.
Nel progetto del Luppolo e del Farro in cima alla piramide c’è l’agricoltore, visto che parliamo di Piano di Sviluppo Rurale. La figura principale è chi coltiva, ma occorre anche qualcuno che compri questo luppolo, cioè il birraio.
Dicendo questo, mi riferisco direttamente alla Normativa. Infatti le leggi riguardo all’utilizzo del luppolo dicono che o te lo autoconsumi, o devi farlo analizzare in un centro di certificazione a Parma, oppure fai un contratto Coltivatore-Birrificio, che è quello che abbiamo fatto noi.
Il competitore del luppolo nella nostra area è il Prosecco. Secondo me il nostro maggiore vantaggio è che fino ad ora abbiamo coltivato Bio senza fare troppi sforzi. I due incassi dopo il raccolto sono paragonabili (luppolo e uva per Prosecco DOC, ndT), ma quando parliamo di Utile penso che tra qualche anno, quando gli agricoltori saranno diventati bravi, ciò che distinguerà i due Fatturati sarà il numero di trattamenti.
Nel luppolo si tratta molto meno, quindi è lì che l’agricoltore deve andare a fare i calcoli.
C’è un legame con il territorio, per fare Made in Italy, per controllare le materie prime e anche per passione.
Il Distretto è un progetto a lungo termine, ma c’è qualcosa già in essere, nel senso che 32 – Via dei Birrai sta già usando il luppolo di Monfumo (Comune limitrofo al birrificio, ndT) per fare la Curmi.
Nella Curmi c’è anche farro biologico Dicocco o Grande (spelta), proveniente dalle Marche.
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Il Distretto del Luppolo e del Farro è un progetto destinato a fornire luppolo e farro solo a 32 – Via dei Birrai oppure nel presente o nel prossimo futuro qualche altro birrificio interessato potrà piantare, ad esempio, il luppolo, farlo lavorare dopo la raccolta dal Distretto o, in alternativa, acquistarlo dal Distretto?
Inizialmente si vorrebbe rifornire prima di tutto 32 – Via dei Birrai, anche se l’esigenza di farro non è sufficiente per dare un reddito a diversi agricoltori. Noi utilizziamo meno di 10 tonnellate all’anno di farro quindi non è giustificato fare un investimento notevole in quel senso.
Si vorrebbe investire in una linea di decorticatura del farro, confezionamento e conservazione a temperatura adeguata, in modo da non aver problemi dati da animali infestanti. Varrebbe la pena investire su una linea di decorticatura del farro se si lavorasse un Tot numero di tonnellate all’anno.
Sono stati coinvolti diversi Comuni e nelle sale consiliari la popolazione è stata informata di questo progetto e della possibilità di partecipare alla creazione di un’area in cui si coltivino luppolo e farro allo scopo di creare un piccolo centro di trasformazione che sia redditizio.
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Premesso che il “KM zero” è un concetto che, come quello di “birra artigianale” non è sempre positivo a prescindere, ma si abbisogni comunque di una selezione, poiché, alla fine della fiera, un prodotto alimentare deve essere buono.
Se in Veneto si coltivassero solo cipolle probabilmente non si farebbe una birra con questo ingrediente. Sarebbe una forzatura.
Nella tua diretta Facebook intitolata “Birra e Territorio” del 09 luglio scorso (Link) parlando di KM zero, hai citato le due malterie industriali italiane presenti ad oggi (da Latina in giù) e di una terza destinata a nascere per servire il Nord Italia.
Parliamo di orzo e KM zero. L’orzo, non essendo deperibile come il luppolo appena raccolto, non necessita necessariamente di un centro di trasformazione il più vicino possibile al campo. Data la vostra attenzione per il prodotto locale (vedasi l’utilizzo di miele del Monte Tomba in Nectar), 32 – Via dei birrai ha mai pensato di fare coltivare anche l’orzo vicino al birrificio, oltre al luppolo, per poi farlo maltare da qualche parte, magari in una delle micro malterie presenti nel Nord d’Italia (come Birrificio Cascina Motta, Malteria Monferrato o La Vallescura)?
Diversi anni fa avevo già organizzato un incontro per fare una malteria assieme ad altri birrifici.
Collaborare in Italia è molto difficile… Già allora tutti mi dicevano “Beh Fabiano, quando hai notizie facci sapere!”. Quindi il progetto era “cascato in acqua”.
32 – Via dei Birrai desidera lavorare a questo progetto, anche se non in maniera immediata. Abbiamo già 10 birre e se dovessimo andare a fare un malto particolare sarebbe per caratterizzare una nuova birra. Abbiamo già avuto dei colloqui con persone interessate e, dato che la birra è alla moda, tutti quelli che trattano cereali si chiedono “C’è una opportunità, si o no?”.
Sarebbe anche un passo utile per un eventuale passaggio a birrificio agricolo. Anche questo è da valutare. Ci stiamo informando e stiamo facendo delle valutazioni.
Più che altro mi piacerebbe per passione dato che mentre studiavo come birraio ho anche studiato come maltatore. Quindi è più un desiderio riferito alla passione che all’utilità economica.
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Voi avete già usato il luppolo coltivato qui vicino per la vostra Curmi e l’avete utilizzato da amaro. Il valore di alfa-acidi (resine del luppolo che cedono amaro in bollitura, ndT) è cambiato molto durante questi primi anni di coltivazione?
Premetto che inizialmente abbiamo fatto degli errori. Abbiamo messo a dimora piante di tante varietà. Adesso per me la soluzione è il luppoleto mono-varietale.
All’inizio non riuscivamo, per motivi economici a misurare gli alfa-acidi di 26 varietà, messe in prova. Ora le abbiamo calate, diminuite e selezionate.
Le varietà per Curmi sono state analizzate più frequentemente e per quanto riguarda la sua varietà di luppolo da amaro abbiamo notato una certa stabilità negli anni.
Posso parlare solo di una varietà, per quanto riguarda le altre non sono in grado.
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Oggi in Italia in molti iniziano a coltivare il luppolo, siano essi birrifici o meno. Tuttavia regna un po’ di anarchia non essendoci, come dicevi nel video di Facebook, né un centro di trasformazione unico, né una commerciale unica che possano stabilire un prezzo giusto e normalizzato per tutti gli attori della filiera.
Il “Cascade”, da quello che mi è parso di capire, è una varietà abbastanza inflazionata.
Dato che una ricetta di una birra può cambiare negli anni per esigenze di mercato, o addirittura scomparire, e dato che il luppolo è una pianta che dura diversi anni (circa come la vite, ndT), c’è un modus operandi per l’agricoltore italiano per compiere una scelta della varietà di luppolo da piantare, che sia svincolata da una ricetta?
Sarebbe molto difficile per un agricoltore scegliere la varietà da trapiantare senza già avere un cliente. Questo ci permette di mettere in risalto il significato della Normativa ed è proprio quello che vuole fare il Distretto del Luppolo e del Farro. Bisogna sapere che ancor prima della scelta della varietà e della messa a dimora, il propagatore deve fornirti le piantine. Il birraio dice all’agricoltore “Voglio questa varietà”, l’agricoltore ordina la piantina al propagatore. Passano sei mesi/un anno prima della messa a dimora, e poi passano un anno e mezzo/due anni per il raccolto.
Ci vuole gente con le idee chiare ed è un progetto a lungo termine.
Quindi l’unica soluzione, secondo me, è che ancora prima di scegliere una varietà presso il fornitore di piantine l’agricoltore debba fare un contratto con il birraio.
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La responsabilità è del birraio, quindi? È il birraio che si impegna a non cambiare la ricetta e a non “abbandonare” l’agricoltore?
Sì, anche se per il momento non è proprio in linea con la moda delle Tap Room in cui ogni volta che vai trovi una birra diversa.
Non è il modo di fare di 32 – Via dei Birrai, che ha 10 birre (che sono anche tante secondo me) e cerca di migliorarle costantemente.
32 – Via de birrai è più comodo (per una partnership, ndT) per un coltivatore di luppolo, rispetto a quei birrifici che immettono nel mercato costantemente birre diverse. Poi, l’agricoltore deve trovare un birrificio di una certa dimensione. La dimensione media di un birrificio italiano è piccolissima, di conseguenza il consumo di luppolo è altrettanto ristretto.
Maggiori informazioni sul Birrificio 32 – Via dei Birrai al sito web ufficiale dell’azienda www.32viadeibirrai.it