Numero 40/2019
30 Settembre 2019
“Le donne e la birra”, una storia d’amore che dura da sempre
Iniziamo oggi una rubrica sul tema “Le donne e la birra” dedicata alle donne che hanno legato la loro vita e la loro professione alla birra.
Fin dai tempi della Mesopotamia, infatti, la birra è stata legata all’universo femminile: farla era un “lavoro da donne”, lavoro di cucina, tanto è vero che nel corredo della sposa mesopotamica non mancava mai il necessario a questo scopo. La birra poi è per sua natura legata alle messi, e quindi alla fertilità della terra: tanto è vero che tutte le divinità ad essa connesse, sia in Medioriente che in Egitto, erano appunto femminili, basti citare le celebri Ninkasi e Nidaba.
.
.
Anche nel mondo romano, che pur non amava un granché la birra, questa era legata alla dea Cerere – da cui il nome cerevisia: la controparte femminile di Bacco e del suo vino, dunque.
Andando avanti nel tempo, quando nel medioevo la produzione della birra fiorì nei monasteri,
.
.
non bisogna dimenticare che anche quelli femminili erano attivi in questo senso: tanto è vero che fu proprio una monaca, Hildegard von Bingen, a sistematizzare per prima gli studi sul luppolo.
Nelle campagne e nei villaggi, poi, la produzione continuava ad essere appannaggio femminile: tanto è vero che ancora in età moderna, nel 1700, circa l’80% delle licenze di birraio era in mano a donne, le cosiddette alewives, che però, curiosamente, dovevano avere un uomo a cui appoggiarsi per ottenerle.
.
.
Le donne comunque non erano solo produttrici, ma anche consumatrici: sin dall’antichità la birra è stata considerata bevanda corroborante in gravidanza e puerperio. Non a caso presso i coloni americani era d’uso, quando una donna rimaneva incinta, produrre la groaning beer – la “birra del lamento”, che sarebbe stata pronta per l’appunto nove mesi dopo. Consumatrici, comunque, anche per piacere: negli affreschi del palazzo di Cnosso, a Creta, sono stati rinvenuti dipinti che mostrano donne bere brùton (così era chiamata).
Con l’industrializzazione, la birra passò in maniera quasi totale in mano maschile (pur con qualche eccezione), sia nella produzione che, almeno nell’immaginario comune, nel consumo.
In realtà le cose non stanno proprio così: secondo una ricerca di Assobirra, oltre il 60% delle Italiane la consuma e la apprezza.
.
.
I birrifici artigianali, poi, hanno dato un notevole sprone anche all’imprenditoria femminile in questo settore, con donne mastro birraio o comunque coinvolte nella produzione, marketing, comunicazione e quant’altro.
Negli Stati Uniti alla fine degli anni ’90 grazie alla costante crescita della birra artigianale anche le donne sono tornate a fare la birra nonostante tutte le superstizioni ancora esistenti. Oggi l’associazione della “Pink Boots Society” riunisce negli Stati Uniti più di 2500 donne che lavorano nel mondo della birra.
.
.
.
Così anche in Italia negli ultimi anni sono nate associazioni di donne e associazioni create dalle donne per poter unire le loro forze nella promozione e valorizzazione della birra artigianale e aiutarsi a vicenda. In questo contesto è nata anche l’associazione “Le Donne della Birra”, fondata nel 2015 a Genova che conta ad oggi oltre un centinaio di socie, di cui più di venti birraie e di diverse altre professionalità.
.
.
Sempre da un gruppo di donne nel 2019 è stata fondata “Cerevisia” Associazione nazionale per la filiera brassicola e agroalimentare.