Numero 46/2018
12 Novembre 2018
Niente nuovo logo (per ora) alle Beer Firm, la protesta dei birrai e le risposte di Unionbirrai!
Il nuovo logo lanciato recentemente da Unionbirrai a tutela dei birrifici indipendenti e della birra artigianale rappresenta sicuramente una delle novità più importanti degli ultimi anni nel mondo della birra artigianale del nostro Paese. Sebbene tale novità abbia raccolto nella maggior parte dei casi approvazione e consensi, il fatto che le beer firm non potranno fregiarsi di questo logo ha scatenato una serie di reazioni e commenti tra i birrai.
Grazie alla disponibilità di Vittorio Ferraris, d.g. di Unionbirrai, e di alcune beer firm, che ci hanno dato la loro opinione, cerchiamo di fare il punto sul dibattito che si è scatenato nel mondo della birra con i birrai ‘arrabbiati’ e ‘delusi’ per questa esclusione e l’associazione di categoria che difende la sua scelta, sottolineando che si tratta solo di un primo passo di un lungo percorso e che il tema delle beer firm non viene in alcun modo sottovalutato con l’obiettivo di tutelare l’intero comparto della birra artigianale.
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“Il ragionamento di base è molto semplice”, spiega proprio Ferraris, interpellato dal Giornale della Birra. “Il concetto con cui abbiamo deciso di rilasciarlo è che questo logo identifica contemporaneamente indipendenza e artigianalità del prodotto finale. Questo vuol dire che dobbiamo avere sia il produttore indipendente e sia la birra prodotta secondo i requisiti di artigianalità. La beer firm non è un soggetto produttore. E’ vero che il produttore affinchè la birra sia artigianale debba essere tale e infatti le beer firm possono tranquillamente utilizzare la denominazione di birra artigianale, ma non possono fregiarsene del marchio perche’ manca la titolarità del birrificio. Inoltre in alcuni casi diventerebbe abbastanza complesso verificare visto che è difficile avere una beer firm che produce birra in un solo birrificio”.
Tra le beer firm, però, il malcontento è evidente e diversi birrai pongono l’accento sul diverso atteggiamento nei loro confronti tanto che qualcuno lamenta un trattamento di ‘serie B’ rispetto ai birrifici.
“In generale tutte le volte che viene etichettato qualcosa io non sono mai stato entusiasta, a partire dallo scrivere anche solo birra artigianale. Penso per prima cosa che quello che faccia la differenza non sia tanto il marchio che ci viene posto sopra ma quanto quello che c’è nella bottiglia. Io lavoro in questo modo. Non ho il mio birrificio, ma seguo tutte le fasi della produzione”, afferma Pietro Tognoni di PicoBrew. Il fatto che le beer firm non possano fregiarsi di questo marchio, prosegue il birraio, “non mi stupisce. Ci avrei messo la firma. Non si è ancora sdoganato infatti il ‘tema’ delle beer firm, che vengono viste come un qualcosa di seconda categoria rispetto al birrificio vero e proprio. Ci tengono a sottolineare invece che per il mercato attuale della birra artigianale, non proprio alle prime armi, la nostra è anche una scelta produttiva oltre che commerciale. Tornando indietro rifarei tutte le scelte fatte in passato. I fatti dimostrano che riusciamo a mantenere una buona costanza produttiva. Questo grazie anche al fatto lavoriamo su impianti con un buon grado di automazione e che mi danno modo di dedicarmi al 100% a una lavoro che viene spesso sottovalutato in birrifici di piccole dimensioni come lo sarebbe il nostro: il controllo qualità. Nel modo in cui abbiamo scelto di lavorare riesco a realizzare prodotti dei quale sono soddisfatto indipendentemente da cosa c’è scritto sull’etichetta. Anche si ci fossimo potuti permettere di aprire un birrificio, nel 2016, non l’avremmo fatto“.
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“Spesso – conclude Pietro – sono gli operatori del settore per primi che ci etichettano come beerfirm e di conseguenza escludono da determinate situazioni. Altri casi di birrai che, a ragion veduta, hanno scelto di lavorare come noi ci sono ma sono pochi e ci vorrà ancora tempo perchè cambi qualcosa. Creare degli anticorpi contro la birra industiale è importante ma spesso lo è anche di piu’ spiegare al consumatore cosa c’è di diverso nel bicchiere. E’ li che fai la differenza. Il logo non va a discriminare la qualità del prodotto che poi per me è quello che conta”.
Per Ferraris però questo “non è un discorso di serie A e di serie B. Qui parliamo di diversità di imprese, di tipologia di operatore commerciale, ossia della natura giuridica del soggetto. Per l’approvazione del marchio siamo dovuti passare per dei regolamenti che l’Unione Europea stabilisce. Al momento dobbiamo andare per prassi e far sì che tutto venga riconosciuto subito nella maniera più semplice e possibile.”
“Mi dispiace molto”, dichiara Giovanni Novembre della beer firm Birra Due Tocchi. “Anche se non ne faccio parte dagli albori, io mi sento parte integrante del movimento. La mia scelta nasce da una vera passione. Non lo nascondo, per 20 anni ho fatto il trasportatore e potevo tranquillamente continuare a fare questo lavoro, ma la mia è una vera passione. Il fatto di essere esclusi come beer firm perché la legge dice che tu non devi dipendere da nessuno, penso sia invalidante per le beer firm che fanno il loro lavoro con passione”.
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Inoltre, prosegue Giovanni, “non dimentichiamo che per le beer firm i margini sono quelli che sono. Devi farti un ‘mazzo quadro’ e io, per fortuna, sono riuscito a trovare una fonte di guadagno anche negli eventi. Faccio tante serate per far conoscere la mia birra, ma ovviamente attraverso la mia birra i clienti conoscono il mondo artigianale. E’ vero che ci sono molte beer firm costituite da soggetti che pensano solo ad un guadagno senza avere alcuna nozione tecnica, che anche a me fanno arrabbiare, ma non confondiamo queste pseudo beer firm con quelle che fanno il loro lavoro a seguito di un percorso brassicolo vissuto in prima persona. E’ vero l’impianto non è mio e non mi ritengo un mastro birraio, ma un home brewer che ha intrapreso un’avventura e che va a fare da altri le sue ricette ma datemi la possibilità di differenziare le mie birre da quelle industriali visto che la mia birra arriva da siti produttivi in piena regola. Vogliamo mettere cosa farebbero tanti birrifici senza le beer firm ? C’è anche chi campa solo di questo. Non siamo da escludere e ricordo che rappresentiamo una bella fetta del mercato” conclude Giovanni”.
Anche su questo argomento è pronta la replica di Ferraris: “non nascondo che per il mondo della birra artigianale le beer firm hanno una valenza importante, ma a mio avviso abbiamo un difetto di base della legge. E’ chiaro a tutti che la normativa attuale richiederebbe qualche piccolo intervento. Il marchio di indipendenza e artigianalità racchiude in se questi concetti del birrificio e della birra”.
“E’ vero che sono nate tante beer firm e che ci sono birrifici che fanno solo produzione per conto terzi. Non nascondo che in questi casi anche noi abbiamo molto dubbi sul concetto di indipendenza e artigianalità del prodotto. Parliamo praticamente in alcuni casi di centro di produzione veri e propri nati solo per il conto terzi. A mio avviso, comunque, se un produttore non ha almeno una linea di produzione sua allora in quel caso non dovremmo neanche parlare di produttore artigianale”.
“Siamo ovviamente consapevoli che diversi birrifici italiani sopravvivono solo grazie alle beer firm, ma questo non è un problema di valutazione giuridica”, evidenzia ancora Ferraris.
“Mi sembra una cavolata. Onestamente – conclude Ciro di Carlo della beer firm 7 Sensi – non capisco sulla base di cosa un operatore commerciale debba essere qualificato e un altro no. Stiamo dicendo ai consumatori che prodotti che escono dagli stessi impianti hanno tutele diverse. Stiamo dicendo che un giorno un azienda produce una birra artigianale e il giorno dopo, lo stesso impianto non produce birra artigianale. In questo modo si aumenta solo la confusione, favorendo i produttori mainstream che proprio nella confusione, stanno proliferando. Non credo che sia corretto escludere le beer firm che, tra l’altro, ricordo, fanno stare in piedi molti dei birrifici che ci sono in Italia. Così facendo non si tutela il prodotto ma si tutelano le aziende. Un conto è tutelare la specificità del prodotto e su questo sono d’accordo ma non capisco allora perchè escludere le beerfim. Nelle beerfirm c’è gente appassionata, che fa corsi, che ha studiato – esattamente come fanno i birrifici… su quale ragione li si discrimina? Onestamente non capisco. Il mio giudizio è negativo”.
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Ferraris, comunque, ci tiene a sottolineare che Unionbirrai non sta sottovalutando il tema per le beer firm e che l’iniziativa, come è stato pensata e strutturata ad oggi, rappresenta un primo e doveroso passo di un lungo percorso che magari potrà subire aggiustamenti e miglioramenti nel corso del tempo.
“La cosa che ci tengo a dire – conclude il d.g. di Unionbirrai – è che l’associazione non sottovaluta questo tema. Oggi finalmente, dopo anni di valutazioni di ogni tipo, abbiamo fatto partire un processo, che è molto complesso. E’ una cosa in evoluzione. Dobbiamo capire come muoverci per i non associati e per i marchi delle beer firm. Al momento e cosi’ ma poi si cercherà di trovare soluzione per il bene del comparto. L’importante era partire e poi piano piano vedremo di inserire tutto con la massima attenzione”.