Numero 38/2020
16 Settembre 2020
Nord relativo
Nord e sud sono concetti assoluti solo in un paio di punti del nostro piccolo pianeta. Tutto il resto è, decisamente, alquanto relativo. Se ci rivolgiamo ad un nostro connazionale, ad esempio, nell’uso del termine “nord”, senza ulteriori specificazioni, è probabile che noi si intenda fare riferimento alla parte settentrionale del nostro Paese, senza poi considerare che, tranne quei due punti del tutto inequivocabili, tutto il resto ha bisogno, per essere definito geograficamente, di un sistema di riferimento. Il nord dell’Italia può pertanto essere contemporaneamente il nord dell’Italia, ma anche il sud dell’Europa. E questo vale per ogni territorio, Calabria inclusa. Nell’immaginario italico, la Calabria è, comprensibilmente, sud. Lo è nei fatti, giacché oggettivamente posta a estremo presidio continentale verso sud della Penisola, e lo sarebbe anche se eleggessimo a sistema di riferimento l’Europa. Il sud del sud. Tuttavia, basta cambiare prospettiva, od anche semplicemente, sistema di riferimento, ed ecco che le nostre certezze geografiche prendono rapidamente a vacillare. E certo. Perché se il sistema di riferimento diventa quello regionale, piuttosto che quello nazionale o continentale, allora anche all’interno del territorio calabrese potremo facilmente individuare un sud ed un nord. Non che questa geografia relativa, sia chiaro, intenda o possa attribuire una qualche connotazione di merito (es. sud cattivo, nord buono, o viceversa). Quello che però va certamente rivendicato ed evidenziato è la superba diversità. Perfino in una realtà modesta e tutto sommato marginale come la Calabria, la diversità, tratto ricorrente e troppo sottovalutato del nostro Paese, si esprime in tutta la sua potenza. E questa diversità, senz’altro una forma di ricchezza assai trascurata, si manifesta ai più diversi livelli. Nord e sud della Calabria vantano un’incredibile diversità in quanto a clima, geologia, geomorfologia, flora, fauna, storia, agricoltura, paesaggio, cultura gastronomica, tradizioni religiose, lingua, architettura sacra, e così via. Non stupisca quindi, se tanta diversità finisce poi col riverberarsi sulle attività che gli esseri umani intraprendono in ciascuna area della regione. C’è un piccolo borgo in provincia di Cosenza, nel nord relativo calabrese, che si chiama Saracena. Un paesino di tremilaottocento anime, alle falde del massiccio del Pollino, capace di vantare una certa notorietà soprattutto tra gli appassionai di enologia, in virtù di una produzione viti-vinicola davvero particolare: il Moscato Passito al Governo di Saracena. Un passito, per chi non lo sapesse, prodotto vinificando uve Guarnaccia, Malvasia, Odoacra e Moscatello (un vitigno locale coltivato praticamente solo a Saracena). La proporzione tra le diverse uve può variare, sebbene solitamente prevalgano Guarnaccia e Malvasia, alle quali va effettuata una piccola aggiunta dell’aromatica Odoacra. Il mosto prodotto dalla pigiatura di queste uve viene poi ridotto di un terzo mediante bollitura. L’uva Moscatello invece, una volta raccolta, viene fatta appassire su graticci ombreggiati per concentrarne zuccheri e aromi. Ne viene poi selezionata la parte migliore e pigiata leggermente, a mano. Il mosto ottenuto viene unito a quello ridotto, per iniziare una fermentazione naturale che dura fino a due settimane. Travasi successivi, lungo un periodo di circa sei mesi, preparano il moscato all’imbottigliamento. Ne discende un vino splendidamente ambrato, intensamente profumato (note resinose, aromatiche, di fichi secchi, frutta esotica, mandorle, miele) ed elegante al palato (persistente, equilibrato, nota amarognola finale). Un caso da manuale: come una tradizione casalinga millenaria diventa Presidio Slow Food.
Mai e poi mai potresti immaginare che un distretto così profondamente legato alla tradizione enologica, possa improvvisamente dare i natali a persone che intendono pervicacemente seguire una strada bagnata dalla birra. Da dove prende origine questa magia che spinge finanche ad allontanarsi dalla più ortodossa tradizione per lanciarsi nel complesso universo della birra?
Cerchiamo di capirlo dalla viva voce dei fratelli Gagliardi. Arrivare a Saracena da Catanzaro Lido, non è esattamente una passeggiata, quindi partiamo per tempo. Giuseppe Fulginiti è puntualissimo, come al solito. Più avanti ci saranno altri innesti al ristretto corpo di spedizione. Giuseppe, ha frequentato lo storico Istituto Tecnico Agrario “V. Emanuele II” di Catanzaro (dove io stesso ho studiato e insegno da 23 anni), ha già messo in cascina una laurea triennale in Scienze Forestali, ed ora sta per conseguire la laurea magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari a Reggio Calabria. Ha già alle spalle una discreta esperienza da homebrewer e la birra potrebbe davvero diventare il suo lavoro, non appena finiti gli studi. Dopo un’oretta d’autostrada, usciamo a Rende e preleviamo Roberto Sia e sua moglie Stefania Salerno. Con alle spalle una considerevole esperienza birraria, Roberto sta per aprire una tap room nel paesino di San Fili dove vive da quando lui e Stefania si sono sposati. Stefania invece lavora in amministrazione all’Università della Calabria.
I fratelli Biagio e Guido Gagliardi sono lì puntuali ad attenderci, sulla soglia del birrificio De Alchemia. Classe 1987 Biagio, 1988 Guido, basta poco per intuire quanto profonde siano le differenze caratteriali tra i due fratelli. Guido appare da subito piuttosto timido, silenzioso, mentre Biagio, coerentemente con le sue responsabilità commerciali nell’azienda, appare più aperto e comunicativo. Condividono però una cosa importantissima da queste parti, la faccia pulita delle persone per bene. Studi milanesi per entrambi. Mentre Biagio concludeva gli studi economici, Guido, vuole la leggenda, si dedicava con maggior impegno alla pratica dell’homebrewing che non agli studi di Scienze Naturali. Prima con i kit, poi con un impianto da 50 litri autocostruito, quell’esperienza si è poi rivelata cruciale per intraprendere la strada del brassaggio professionale, assieme a numerose visite a birrifici italiani e stranieri, e, tra questi ultimi, in particolare diversi birrifici belgi.
La famiglia Gagliardi ha alle spalle una lunga esperienza nell’industria tessile e nella produzione di olio EVO di grande qualità. Il 2015 è l’anno della svolta professionale. Guido segue infatti un corso di produzione brassicola tenutosi presso l’azienda BBC Inox di Possagno (TV). Viene costituita la società tra i fratelli Gagliardi e Marco Giangreco di Lissone (MB), collega di Biagio alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano e proprietario con la famiglia del Dany Cafè, in zona Pirellone a Milano. Non passa molto che De Alchemia acquista l’impianto e dà inizio alle operazioni.
Oggi, Biagio sa bene che peserà su di lui il ruolo dell’anfitrione e quindi ci porta di buon grado a spasso per il birrificio.
In parte certamente lo si può intuire, ma per fugare ogni dubbio preferisco chiederlo. Cosa vuol dire il nome del birrificio?
Il nome deriva dal titolo di un libro medievale, il De Alchemia (riguardo l’alchimia) e intende sottolineare il legame tra il processo alchemico e il processo di produzione brassicola.
Da cosa è stata motivata la decisione di ritornare ed infine restare in Calabria?
Determinante è stato il forte legame di appartenenza alla terra di origine, ma anche la volontà di dare continuità alle storiche attività di famiglia nel settore agricolo, in particolare la produzione di olio extravergine di oliva biologico.
Recentemente la Guida alle Birre d’Italia 2021 di Slow Food, curata da Luca Giaccone ed Eugenio Signoroni, ha riconosciuto a De Alchemia, il titolo di “eccellenza” assieme, in Calabria, ad un solo altro birrificio. Immagino la notizia vi abbia riempito di orgoglio.
Fa sempre piacere veder riconosciuto il proprio lavoro. Siamo onorati del riconoscimento e sarà uno stimolo a migliorare e ricercare sempre nuove strade. Negli ultimi quattro anni abbiamo introdotto numerose modifiche produttive e sperimentato nuove ricette, con risultati evidentemente positivi. La sfida, nei prossimi anni, sarà quella di aumentare la capacità produttiva.
Quanto ritenete possa influenzare la vostra attività futura questo riconoscimento?
I premi offrono un’importante visibilità, ma sarà soprattutto la costanza negli anni, nel mantenere alti gli standard qualitativi, a fare la differenza.
La Calabria, è una regione relativamente povera, poco popolata, afflitta da una serie di criticità infrastrutturali. Quali difficoltà aggiuntive comporta praticare il brassaggio professionale in Calabria rispetto ad altre regioni più ricche e meglio organizzate?
Scontiamo certamente criticità infrastrutturali importanti. Fare impresa in Calabria vuol dire maggiori costi sia nell’approvvigionamento delle materie prime che nelle spese di trasporto. Il bacino d’utenza è ridotto, rispetto ad altre regioni più popolose. Tuttavia, il dato che fa ben sperare, nella nostra personale esperienza, è che abbiamo constatato che negli ultimi anni, tanti addetti ai lavori della ristorazione calabrese si stanno avvicinando con grande curiosità a questo mondo.
Raccontateci un po’ la vostra produzione brassicola, le birre più significative ed, ovviamente, quelle premiate dalla Guida.
La nostra produzione si suddivide in due filoni: la linea classica, nella quale figurano diversi stili internazionali, da noi rivisitati, e la linea barrique dove abbiamo sperimentato, in una cantina poco distante dal birrificio, fermentazioni spontanee con aggiunta di materie prime del territorio. Al momento in produzione nella linea classica abbiamo: Ma Bohème (Pils), Doolin (Helles), Lunare (Blanche con grano antico di Saracena e scorze di piretto di Civita (un raro agrume tipico del piccolo borgo arbëreshë – N.d.A.), Welcome to Sybaris (Saison con riso di Sibari e scorze di limone di Rocca Imperiale I.G.P.), Schizophrenic (Apa), Smooth Stone (Tripel), Anime (Belgian Pale Ale) e Cuore di Tenebra (Cascadian Dark Ale). L’ultima nata è Her (Ipa con scorze di cedro e bergamotto). Dell’intero catalogo la birra che ha avuto maggiori riconoscimenti è stata la Schizophrenic, la prima birra da noi prodotta nel maggio del 2015. Il nome svela lo spirito di questa birra, dove ogni lotto assume sfumature differenti in base alla luppolatura scelta. Quindi una birra sempre nuova e quindi in continuo divenire. Nel catalogo della linea barrique abbiamo sperimentato fermentazioni in vasca aperta con le materie prime più rappresentative del nostro territorio. In questo catalogo abbiamo: Estasi (Farm House Ale fermentata in vasca aperta con aggiunta di fichi freschi e 6 mesi di affinamento in botte), X/enofile (Iga con uve Moscatello di Saracena e sei mesi di affinamento in barrique di rovere), Anime Barrique (Sour Belgian Pale Ale), Nichilista (Sour Dark Strong Ale), Ametista (Farm House Ale fermentata in vasca aperta con l’aggiunta di more di rovo) e Sintesi (Gose con sale di Trapani I.G.P., coriandolo e zenzero). In questo catalogo la X/enofile, come la Schizophrenic, ha avuto il riconoscimento di Birra Imperdibile.
Qual è l’apporto nelle vostre produzioni, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, di ingredienti locali? Avete nuovi progetti che comportino la valorizzazione delle produzioni agricole local o addirittura del foraging?
Sin dal primo anno di attività, abbiamo voluto fortemente legare le nostre birre al territorio, dal riso di Sibari al grano antico di Saracena, fino agli agrumi tra cui cedro, bergamotto e limoni di Rocca Imperiale. Le sperimentazioni sono state tante, la barricaia nasce con lo spirito di valorizzare le produzione agricole simboliche della nostra terra, quindi fichi, Moscato Passito di Saracena e frutti di bosco.
Il vostro birrificio vanta anche un costoso impianto per il trattamento ad osmosi inversa dell’acqua. Quanto è importante per voi che ciascuno stile di birra prodotto nel vostro birrificio possa essere realizzato con l’acqua più adatta?
Sin dal primo momento, volendo spaziare tra più stili birrai, si è reso indispensabile l’acquisto di un impianto a osmosi inversa. L’acqua, essendo l’ingrediente principale, è fondamentale che abbia le caratteristiche adatte allo stile che si intende produrre.
Quali sono i principali canali commerciali dei prodotti De Alchemia e dove è possibile trovare le vostre birre?
In Calabria, ormai diventato il nostro mercato principale, ci siamo affidati a diversi distributori che coprono tutto il territorio regionale. Per il resto d’Italia serviamo direttamente i nostri clienti. La nostra clientela è molto variegata: pub, pizzerie, ristoranti, enoteche, gastronomie, resort, stabilimenti balneari, agriturismi e sale ricevimenti. La curiosità verso questo settore è in continua crescita e si sta sempre più allargando, anche se crediamo che nei prossimi anni il fenomeno diventerà sempre più territoriale.
La vostra famiglia possiede un’azienda agricola e mi risulta che stiate progettando l’impianto di un luppoleto a sostegno della produzione delle birre di De Alchemia. Ho per voi qualche domanda su questo tema. Di che superficie stiamo parlando?
La nostra azienda agricola, Frantoio Gagliardi, eredità di famiglia, produce olio extravergine d’oliva da ottant’anni. Per il prossimo anno abbiamo previsto di destinare un ettaro di seminativo ad un luppoleto sperimentale, che sarà la vera prossima sfida. L’impianto sorgerà nel comune di Saracena.
Come avete scelto il terreno (caratteristiche edafiche, altitudine, esposizione, pendenza, irriguo/non irriguo, altro) nell’ambito delle disponibilità aziendali?
Il terreno prescelto è a 300 m s.l.m., il suolo è ricco di sostanza organica con un valore di pH tra 6 e 7, soffice, ben drenato, irriguo (prevediamo infatti l’installazione di un impianto di irrigazione a goccia).
Che tipo di impianto (altezza, sesto tra le file, sulla fila?) realizzerete?
Abbiamo previsto di piantare circa 2000 piante/ha, l’altezza media dei pali sarà di 6 metri, la distanza tra le piantine sarà di 1,5 metri e tra le fila di 3 metri.
Che tipo di raccolta prevedete di adottare?
La raccolta sarà manuale.
Come conserverete il luppolo che non utilizzerete nell’immediato post-raccolta?
Subito dopo la raccolta e l’essiccazione il luppolo verrà conservato in atmosfera protetta a bassa temperatura per preservarne le proprietà organolettiche ed aromatiche.
Quali chemiotipi di luppolo impianterete?
Impianteremo Centennial e Cascade.
Tra una chiacchiera ed un’altra riprendiamo le auto e ci spostiamo dalla periferia di Saracena, dove è ubicato il birrificio, verso il centro del borgo. Parcheggiamo e ci si dischiudono le porte della barricaia del duo De Alchemia-Maltonauta. La prova fisica di questa bellissima collaborazione.
La vostra barricaia, un altro progetto di grande importanza per il futuro dell’azienda, nasce dalla collaborazione con il beerfirm di successo Maltonauta. Come mai avete ritenuto di individuare una location così distante dal birrificio?
La barricaia dista 1,5 km dal birrificio, una misura prudenziale finalizzata a prevenire eventuali contaminazioni dovute alle fermentazioni miste e spontanee che avvengono nella nostra cantina brassicola.
Avete all’orizzonte altri progetti in collaborazione con Maltonauta?
Ai ragazzi di Maltonauta, Giuseppe e Marco, ci lega un rapporto di stima e amicizia sin dall’inizio della nostra avventura brassicola in Calabria. Il progetto della prima barricaia in Calabria in futuro verrà sicuramente potenziato e ampliato. Crediamo molto nelle collaborazioni e riteniamo che sarà sempre più importante in futuro fare rete.
E poi il progetto Velvet, a Rende, nel cuore della movida universitaria cosentina. Cosa è Velvet e quale ruolo dovrebbe svolgere nella strategia complessiva di breve e medio periodo di De Alchemia?
Il Velvet nasce con l’idea di proporre unicamente produzioni di microbirrifici indipendenti italiani ed esteri, in abbinamento ad una proposta culinaria rivolta all’utilizzo dei prodotti della nostra terra. In futuro il locale sarà sempre più incentrato sulla formazione e diffusione della cultura birraia con corsi di degustazione rivolti a privati e non.
È stato appena evocato e quindi è difficile a questo punto tirarsi indietro. Oltretutto è diventato un tassello imprescindibile di quelle collaborazioni tanto rare quanto sistematicamente di successo in questa regione. Sto parlando del beer-firm Maltonauta e del suo birraio Giuseppe Salvatore Grosso Ciponte. Classe 1972, ingegnere informatico, avvicinatosi alla birra artigianale degustando la Chocarrubica di Grado Plato e la Papessa di Loverbeer. Da sempre attento all’analisi sensoriale, approfondendo la tematica attraverso la lettura di testi tecnici e frequentando corsi, ha organizzato il Do di Malto Beer Festival 2019 a Belvedere Marittimo assieme a Davide Rosselli e Marco Longo. Fra i suoi numerosi impegni la gestione, con la sua compagna, Giulia Secreti, di un diario on line (www.dodimalto.it) dove si parla di birre, cibo e pairing. Lunghissima esperienza da homebrewer autodidatta, sempre all grain, nel corso della quale ha brassato numerosi stili, spesso non convenzionali, talvolta addirittura estremi. Poi esperienze nel mondo del vino, della birra e perfino del whysky. Il 2017 è l’anno di nascita del beerfirm Maltonauta. Giuseppe ed il suo socio, Marco Longo, autoproclamati navigatori del malto. Per quanto riguarda il “malto” credo ci sia davvero ben poco da spiegare, mentre la “navigazione” allude senz’altro al legame col vicino Mare Tirreno ed al viaggio, in generale, come sfida e stimolo. Ci sono domande, che, anche a costo di apparire ripetitivo, non posso non fare ai miei corregionali che decidono coraggiosamente di restare qui e puntare le proprie fiches sulla roulette Calabria.
Allora Giuseppe, perché restare in Calabria?
È semplicemente frutto di una serie di circostanze personali e familiari che razionalmente mi hanno spinto a ritornare a vivere questa regione.
E ritorniamo sulla Guida alle Birre d’Italia 2021 di Slow Food, curata da Luca Giaccone ed Eugenio Signoroni. Maltonauta, si è trovata dedicata un’intera pagina, condividendo con una sola altra beer firm l’endorsement della Guida. Non è cosa da poco. O no?
Fa sempre piacere avere un riscontro positivo. Analizzando poi i premi attribuiti in Calabria, vedere che l’unica birra chiara ad essere segnalata è quella di Maltonauta mi ha lasciato ancora più piacevolmente colpito. La Bitta è una birra chiara in stile Blonde Ale da 5%, una birra quindi che ha dovuto competere in una categoria satura. Vedere la propria ricetta premiata come unica chiara Calabrese mi inorgoglisce molto. È il secondo riconoscimento che Maltonauta ottiene in così pochi anni. Il primo è stato con la Birra Savuco, realizzata in collaborazione con l’azienda Serracavallo, che ha ottenuto nel 2019 il premio al Beer Calabria 2019 come migliore birra calabrese maturata in botte, per di più con una giuria di chiara fama.
Ritieni, o comunque speri, che questo riconoscimento possa influire sull’evoluzione della tua attività?
È innanzitutto un buon propulsore per lo stato d’animo, in un settore in cui, specie in questo momento, si devono affrontare situazioni non molto incoraggianti. Poi avere un riconoscimento dalla guida Slow Food crea sicuramente un’attenzione maggiore da parte dei consumatori che possono aiutarci a far trovare la nostra birra in quanti più locali possibile.
Prevedi una transizione a breve verso un birrificio con impianto proprio?
Credo molto nello stato di beerfirm, è un motore molto importante per l’economia del mondo della birra artigianale: permette di non creare un proliferare ingiustificato di impianti di produzione quando molti di quelli esistenti non lavorano al massimo delle loro capacità. Questo crea, secondo me, a livello di economia di scala complessivo, intendendo l’intero comparto birraio calabrese, un movimento virtuoso. Detto questo, sicuramente, se i numeri ce lo permetteranno e trovare dove produrre birra diventasse non facile, l’idea di un birrificio potrebbe essere preso in considerazione.
La Calabria, come ben noto, sconta una serie di ritardi ed ospita una popolazione scarsa, quindi un ridotto numero di consumatori, in particolare per la birra artigianale, che è ancora senza dubbio un prodotto di nicchia. Quali difficoltà aggiuntive, secondo la tua personale esperienza, comporta praticare il brassaggio professionale in Calabria rispetto ad altre regioni più ricche e meglio organizzate?
Il punto debole peggiore è la mancanza di gestori di locali appassionati del prodotto. Spesso chi apre un locale non è un appassionato e la scelta è dettata semplicemente da un rapporto costo/ricavi. Vendere un articolo artigianale in genere vuol dire conoscerlo, capirlo, raccontarlo. Chi compra artigianale compra anche un’esperienza.
Raccontaci la tua produzione brassicola, le birre più significative ed, ovviamente, quelle evidenziate dalla Guida.
Al momento, abbiamo dieci referenze. Sulla guida Slow Food, altre la Bitta, hanno segnalato la Birra Zibibbo e la At It, Bees! La Birra Zibibbo è una birra chiara (6%) con aromi delicati che svelano da subito la presenza della bacca dorata; bevuta facile ma di carattere, con un bel finale fruttato e leggermente ammandorlato, carbonazione molto fine. È una delle prime birre che ho prodotto a casa, con uve zibibbo di un piccolo pergolato che ho curato per un po’ di tempo sulla costa tirrenica, una ricetta che avevo nel cassetto da tanto tempo. L’At it, Bees! (9%) invece gioca su un registro strong, con i sui gradi alcolici e la presenza di miele armonizzati da 7 mesi di passaggio in botti di rovere; aromaticamente complessa, miele preminente ma presenti anche speziature; in bocca attacco dolce, poi una nota leggermente acida che mitiga le sensazioni alcoliche, persistente, leggermente carbonata. Luppolo Citra, sia per amaro che per aroma. Mast, APA (5,3%) con sentori di pesca, agrumi, sottofondo di malto, caramello e note erbacee; equilibrata, con un attacco dolce smorzato sul finale da un delicato amaro. Badìa, Belgian Ale (7%) con ampio corredo aromatico rilasciato dal lievito: fruttati di pesca, banana, pera, ananas, miele, crosta di pane, leggero nocciolato; corpo gradevole, pieno, equilibrato, che chiude con una piacevole pulizia della bocca. Bitta, Blonde Ale (5%) in stile americano orientata verso il malto; sentori di pane, malto, floreale e leggero erbaceo; beverina, rinfrescante, con un piacevole equilibrio fra dolce e amaro. Drake, Extra Special Bitter (5%), la birra londinese per eccellenza. Ambrata, sentori nocciolati, di frutta matura, floreale; bevuta facile, che ripropone le note nocciolate e un finale che invita al sorso successivo. Fruttatinni, Barrel Aged Farmhouse Fruit Ale (7%), in stile belga, fermentazione mista in vasca aperta e sette tipi diversi di frutti in fermentazione: pesche, fichi d’India, bacche di goji, prugne, ciliegie, ribes rosso e uva spina; maturata in barrique di rovere, con un naso complesso e una bevuta fresca che nasconde benissimo la gradazione alcolica. Figarìa, Dry Hopped Barrel Aged Italian Grape Ale (7,3%) IGA contenente una importante percentuale di mosto di uva Magliocco, vitigno autoctono della provincia di Cosenza, con un passaggio di circa 6 mesi in botti di rovere francese dove è stato fatto dry hopping, usando luppoli diversi per avere anche la versione strong BXL (Beer eXtra Large); ambrata, schiuma mattonata; le due versioni entrambe decise al naso, con sentori vinosi, profumi complessi dal dry-hopping (pesca, fiori, frutti di bosco), dal gusto pieno e avvolgente, che nasconde bene la gradazione alcolica, preparando un finale asciutto che piacevolmente invita ad un nuovo sorso. Birra Savuco, Barrel Aged Belgian Ale (8%) dalla schiuma abbondante, pannosa; colore ambrato luminoso con riflessi granata; sentori di ciliegia, frutti di bosco, pesca, albicocca, carruba, legno, carattere vinoso a ricordare il Magliocco; in bocca avvolgente, fresca, equilibrata, finale lungo e persistente che chiude con note tostate di cacao e caffè.
Qual è l’apporto nelle tue produzioni, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, di ingredienti locali? Prevedi nuovi progetti che comportino la valorizzazione delle produzioni agricole local o addirittura del foraging?
Il mio primo prodotto commercializzato è stato Birra Savuco nata proprio con l’intento di creare un forte legame con il territorio. Una birra che matura per almeno 6 mesi in botti che prima hanno ospitato per circa 36 mesi il Vigna Savuco della pluripremiata azienda agricola Serracavallo. Il vitigno è il Magliocco, il personaggio ‘muscoloso’ della rinascita della viticoltura nel cosentino, che lascia nelle botti tanto del suo umore e carattere. Provare per credere: basti assaggiare la Badìa e la Birra Savuco (Badìa passata nelle botti di Serracavallo). Poi la Figarìa, con mosto di Magliocco, una IGA che parla ancora di terroir. Oppure la Birra Zibibbo con uva Zibibbo appassita.
Quali sono i principali canali commerciali dei prodotti Maltonauta e dove è possibile trovare le tue birre?
Principalmente pub, paninoteche e ristoranti. Poi enoteche e gastronomie.
La barricaia, un altro progetto di grande importanza per il futuro dell’azienda, nasce dalla collaborazione con De Alchemia, nei cui impianti tu realizzi le tue birre. Come funziona questa collaborazione? Non vi pestate i piedi a vicenda?
L’idea di una barricaia è nata durante la produzione di una delle birre Maltonauta. Avevamo l’esigenza di un posto per le nostri botti per la Birra Savuco e poter brassare birre non ‘convenzionali’, e parlando con Guido Gagliardi (De Alchemia), gli ho proposto di realizzare un posto da condividere. Alla fine di quella cotta avevamo già buttato giù un piano economico per allestire un locale di loro proprietà a Saracena. Come riusciamo a condividere lo spazio? Beh risulta molto facile. Abbiamo un profondo rispetto reciproco del lavoro altrui, e cosa più importante, le nostre produzioni hanno un’impronta molto diversa.
Avete all’orizzonte altri progetti in collaborazione con De Alchemia?
Ogni tanto si è pensato ad una collaboration beer ma ancora non ce n’è stata l’occasione. Ma non lo escluderei. Anzi lo spero.
E il progetto Velvet come coinvolge Maltonauta?
Velvet è un progetto targato De Alchemia. Noi siamo presenti con le nostre produzioni e questo ci lusinga. Credo che sia un posto necessario a Cosenza. Come dicevo prima, servirebbero posti condotti da esperti del settore, come i fratelli Gagliardi.
Quando poi le domande lasciano il posto al silenzio, è evidentemente tempo di tirare i remi in barca ed imbastire qualche riflessione conclusiva. De Alchemia, Maltonauta, la barricaia, Velvet Post Pub, Saracena, il Moscato di Saracena, il luppoleto, il Parco Nazionale del Pollino, non sembra manchino davvero adeguati spunti di riflessione. Di certo mi sento di dire che dietro queste due esperienze bruzie così potenti e di successo, che, per molti versi non esito a definire esemplari nel panorama regionale, si celano, evidentemente, storie personali molto diverse. Ed anche i due progetti in sé, è emerso prepotentemente dalle interviste, sono profondamente diversi tra loro, ma anche assai diversi da ogni altra progettualità brassicola espressa dalla regione. È probabilmente anche per questa salutare diversità che la collaborazione De Alchemia-Maltonauta funziona così bene, naturalmente condita di rispetto, stima, intelligenza, sensibilità, attenzione, ponderazione, equilibrio, buona educazione. E se di diversità dobbiamo proprio parlare, non possiamo nemmeno far finta che non ci sia stato un tempo in cui il nome di questa regione era declinato al plurale, Calabrie, ad indicare aree geografiche ed universi molto ben distinti: la Calabria Citeriore, quella settentrionale, e la Calabria Ulteriore, quella centro-meridionale. Ma quel tempo di divisione è ormai lontano. Rimane la diversità, che oggi si rivela strumento del costruire, non del dividere. Altri in questa regione dovrebbero guardare ad un modello collaborativo che sta portando grandi risultati, certificati persino dalla Guida alle Birre d’Italia 2021 di Slow Food. La diversità, quindi, non limite ma ricchezza, presupposto stesso sulla base del quale comporre percorsi condivisi.
Come botanico, anche in questa recente veste al servizio del mondo della birra, sono persuaso che la vera personalità dei terroir brassicoli non potrà emergere compiutamente finché i birrai non diventeranno anch’essi un po’ botanici, o quanto meno botanofili, come sta già accadendo altrove nel mondo, e rivolgeranno il loro sguardo e la loro creatività alla flora spontanea di ciascun territorio. Finora, il craft brewing Made in Italy ha attinto, più o meno copiosamente, alla cospicua agrobiodiversità del territorio italiano. Questo è un fatto senz’altro positivo, perché capace contestualmente di valorizzare produzioni agricole di nicchia e caratterizzare le nostre birre. Possiamo senz’altro affermare che questo tipo di attenzione sia emerso chiaramente anche dalle esperienze bruzie qui raccontate. Poco, pochissimo, è stato però fatto nella direzione della valorizzazione brassicola della flora spontanea. Qui siamo a due passi dal Parco Nazionale del Pollino, la più grande area protetta italiana. Nel parco e nelle aree contermini c’è una flora ricchissima, e molte delle specie presenti sono note per le loro storiche applicazioni brassicole. Molte specie non sono mai state utilizzate per fare la birra, ma magari potrebbero. Senza sperimentazione è assai difficile dirlo. Speriamo quindi che i nostri amici birrai, quelli di Saracena ma non solo, non si lascino sfuggire l’occasione di caratterizzare ulteriormente le loro già notevoli produzioni, legandole a doppio filo al territorio di appartenenza. Qualora l’esigenza di materie prime spontanee diventasse quantitativamente incompatibile con la raccolta in natura si potrà senz’altro pianificarne la coltivazione, ma in generale, è possibile approvvigionarsi di piccole quantità di parti vegetali direttamente in natura, fuori dalle aree protette e nel pieno rispetto delle norme vigenti sulla conservazione e sulla proprietà privata. Non è poi così distante da quanto fanno i birrai del nord Europa, quando hanno bisogno di rifornirsi di Calluna vulgaris, Myrica gale, Juniperus communis, Rubus chamaemorus, Vaccinium sp., etc. per brassare celebrate ales nordiche. Ha senso quindi, dal mio punto di vista, sperare un giorno di poter sorseggiare qualche struggente White-Barked Pine Ale aromatizzata con apici di Pinus heldreichii subsp. leucodermis (pino loricato), od anche una Belgian Strong Ale dalla nuance di Stachys italica (stregonia italiana), una superba Imperial Porter arrotondata dalla complessità aromatica delle infiorescenze immature di Helichrysum italicum, o perfino un Barley Wine dalle decise note di Lavandula austroapennina, specie esclusiva delle montagne di Basilicata, Calabria e Campania, solo recentemente scoperta e descritta dalla scienza botanica.
E mentre ci accingiamo a salutare i nostri amici saracenari, Biagio mi sussura, complice, all’orecchio: “Prof, il mese di settembre sarà quello giusto per individuare il mix di botaniche per la ricetta di questa Gruit Ale Calabra!” Annuisco e sorrido compiaciuto mentre ci stringiamo vigorosamente la mano. Forse il mese di settembre non rappresenta esattamente il tempo balsamico per gran parte delle piante che potrebbero interessarci, tuttavia la sollecitazione arriva proprio al momento giusto. E tocca le corde giuste. Se fossi un romantico potrei spingermi fino a immaginare questa stretta di mano come il sigillo apposto ad un nuovo fecondo patto tra botanica e brassaggio. Forse però, sono il primo a riconoscerlo, non è il caso di essere eccessivamente enfatici. È innegabile, d’altro canto, che le istanze botanico-brassicole stiano cominciando a fare breccia. E questo, i lettori mi perdoneranno, è molto incoraggiante. C’è sempre qualcuno che apre le nuove vie ed è disposto a correre qualche rischio. La mia più viva speranza è che altri seguano l’esempio dei nostri amici di Saracena avventurandosi anch’essi, senza necessariamente rinunciare a quello che sono stati finora, sulla via della valorizzazione brassicola della nostra flora spontanea, un patrimonio sconfinato, tutto da sperimentare nei birrifici del Bel Paese. Milioni e milioni di anni di evoluzione hanno selezionato piante che producono molecole uniche, certo non per fare la birra, bensì per governare la complessa vita di relazione che queste piante intrattengono con tutte le componenti dei rispettivi ambienti. Le piante menzionate, tuttavia, assieme a moltissime altre, con il loro carico di storia evolutiva e complessità biochimica sono lì, sul Pollino piuttosto che in qualunque altra area naturale di questo straordinario Paese, in attesa che qualcuno comprenda come farne irripetibili ingredienti per birre uniche ed inimitabili.