Numero 34/2017

23 Agosto 2017

Passione birra – Due ingegneri e “una cotta”

Passione birra – Due ingegneri e “una cotta”

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Gabriele Tomasi ingegnere alimentare e Marco Pederiva ingegnere civile, sono due ex compagni di scuola che dopo anni si ritrovano e scoprono di avere un amore in comune, la birra.

Un coppia di ragazzi delle terre trentine con le idee chiare e competenze ben precise.
Il primo, dopo un’esperienza in Belgio nel birrificio Dupont, si occupa di bollire e miscelare sapientemente grani e luppolo, l’altro è sempre impegnato a studiare strategie e gestire scrupolosamente la parte commerciale. Entrambi si rimboccano le maniche ogni giorno per far crescere la loro azienda, BdB, in questo caso Birra del Bosco.

Con Gabriele sempre in sala cotta, ho chiesto a Marco di parlarci del loro lavoro fatto anche di analisi del mercato, progetti di crescita, grafica, ma sopratutto tanta fatica per poter dire un giorno “ce l’abbiamo fatta!”.

 

Marco e Gabriele: com’è stato reincontrarvi e come vi è venuto in mente di iniziare insieme questa avventura?

Ci siamo rivisti dopo anni e appunto la birra ha fatto si che iniziassimo questa avventura assieme…da homebrewers a professionisti il passo è stato sicuramente non facile, ma sicuramente chi non risica non rosica, soprattutto in questo paese.

Abbiamo stimoli diversi, ma l’obiettivo è comune: cercare di fare sempre meglio, sia a livello di prodotto che a livello di posizione sul mercato.

 

Tu lavoravi come commerciale per un’azienda.
All’inizio come ti sei sentito a promuovere e “vendere” qualcosa di tuo?
Hai avuto timore che le persone non comprendessero il valore dell’artigianalità?

Io mi sono sempre occupato di vendite: si sa che la capacità di vendere ce l’hai o non ce l’hai. Sicuramente la mia esperienza di commerciale in altre compagnie mi ha fatto crescere e mi ha insegnato tante cose che poi ho potuto applicare alla mia azienda.

Sicuramente fondare un’azienda e vendere qualcosa di mio mi da soddisfazioni molto maggiori; questo è aiutato dall’ulteriore stimolo dato dal fatto che amo questo lavoro e il settore della birra e del beverage in generale. Si sa che se hai entusiasmo le cose ti vengono meglio.

All’inizio è stata dura, ma non così dura, forse perché ho creduto fin da subito nella bontà del nostro prodotto e nella forza del nostro brand. Sicuramente fare birra è difficile, ma vendere è ancora più difficile, soprattutto in un settore in cui la concorrenza aumenta e si fa sempre più agguerrita.

Ma io mi sono sempre divertito, e ripeto, vendere qualcosa di mio mi ha sempre dato una marcia in più.

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Mercato birrario estero e italiano, che differenze ci sono secondo te?
Oltre confine ci sono regole di mercato più snelle che favoriscono la crescita del settore “Birra Artigianale”?

Ad oggi sicuramente cerco di viaggiare di più e di “carpire” i segreti, le tendenze, il mercato all’estero; sono convinto che molti trand arrivino da noi in un secondo momento, e quindi tenere le antenne alzate mi può aiutare a prevedere e magari ad anticipare le future mosse di mercato in Italia. Per questo cerco sempre di tenermi aggiornato tramite il web e riviste di settore, oltre che il confronto con altri colleghi esteri.

Sicuramente all’estero non è tutto rose e fiori, ma ovviamente (siamo in Italia, no?) molte cose sono più semplici.

 

I due marchi belgi Duvel e Caulier secondo alcuni stanno cercando di “occupare” una fetta del nostro mercato nazionale. E’ un tentativo straniero di controllare un concorrente, la Birra Artigianale Italiana, qualitativamente in evoluzione?

Personalmente credo che nel caso di Duvel la mossa di DUCATO sia stata più che ragionata, e mi sento di condividere le scelte di Campari & Piccoli al 100 %, anche se, come tutti, non ho il quadro completo della situazione, e quindi non sputo sentenze come fanno molti talebani in questo settore.

Su Caulier e TOCCALMATTO non ho sufficienti elementi per dire la mia, quindi preferisco stare zitto, anche se di sicuro anche Carilli ha fatto una mossa ragionata (per la sua azienda).

 

Si dice che “In città è semplice farsi notare perchè la parabola è più corta”. Fantastichiamo per un attimo… vi piacerebbe un giorno esportare il vostro “Made in Italy” oltre confine? Dove e come?

Di sicuro approdare su qualche canale di vendita all’estero ci piacerebbe. Abbiamo avuto una parentesi con un importatore in USA, ma non siamo rimasti soddisfatti del lavoro e abbiamo preferito concentrarci sul mercato domestico per ora. Stiamo però lavorando su altri fronti per una possibile espansione fuori confine, sui mercati del Nord Europa, Nord America e Australia.

 

Italia terra di poeti, santi, navigatori e ora anche di mastri birrai.
La grande tradizione vinicola italiana e tutte le conoscenze che ne derivano può far nascere una sorta di impulso creativo che in altri paesi manca?

Ho sempre sostenuto il fatto che noi italiani, oltre ai nostri mille difetti, abbiamo ancora qualcosa che gli altri ci invidiano: la fantasia. Questo sicuramente ha aiutato e aiuta la grande crescita di qualità della birra artigianale italiana

 

Il Trentino è una regione piena di risorse naturali strepitose. Secondo me chi non si interessa di ambiente è sicuramente un “incompleto”, gli manca qualcosa ed in più avere un rapporto autentico con la propria terra è sempre una forza, una marcia in più. Cosa ne pensate? Avete progetti per il vostro territorio?

Se per progetti intendi il lavorare con materie prime a km 0, ci stiamo lavorando. Collaboriamo in parte con aziende agricole locali che hanno iniziato da qualche anno a coltivare luppolo.

 

In tutte le etichette della vostra linea classica, oltre a essere graficamente molto accattivanti, sono presenti degli animali e i nomi sono sempre in inglese. C’è un senso in tutto ciò?

Birra del Bosco…gli animali ci sembravano delle scelte azzeccate, e così è stato. Credo molto nella forza del marketing e un bel vestito sicuramente aiuta: poi di certo resta sempre la birra che deve essere presa in esame.

Per quanto riguarda i nomi in inglese…beh…mi piace l’idea, tutto qui. Non abbiamo voluto legarci in maniera evidente al territorio, usando nomi dialettali o italiani…per me rappresenta un limite. Stessa cosa per il logo, che come vedi non segue l’iconografia classica della birra (sorgenti d’acqua, fiori di luppolo, spighe d’orzo, ecc), ma si rifà all’arte Haida del Nord America, popolazioni da sempre in contatto diretto con la natura (e  i boschi…), che ho sempre ammirato.

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Un amico un giorno mi confidò che aprire una attività oggi significa dedicarle tutto se stessi, diventa quasi la tua casa, mai perdere d’occhio l’obiettivo.
Una scelta come questa coinvolge inevitabilmente chi  vi è vicino. Quanto è difficile gestire gli affetti  in un’avventura come la vostra?

Fortunatamente io adoro il mio lavoro, e sono supportato da famigliari e amici che condividono il mio entusiasmo. Ad oggi i sacrifici che ho dovuto fare in termini di relazioni umane sono stati altri.

Io sono sempre stato uno che corre ai 200 all’ora e magari per altre persone starmi indietro può risultare dura.

 

Sviluppare una coscienza nel consumatore di birra è un modo per far crescere il mercato di birra artigianale. Fate qualcosa di concreto per questo?

E’ il mio lavoro quotidiano. Mi sono diplomato bier sommelier al Doemens di Monaco per cercare di avere una cultura il più possibile completa, per poi cercare di infonderla nei miei clienti. Sicuramente è una sfida di tutti noi che operiamo in questo settore e che abbiamo contatto diretto e quotidiano col consumatore…però vedo che le cose stanno evolvendo, quindi sono ottimista sul futuro.

 

Sono partiti nel 2013 dal piccolo Samichél con umiltà e con una visione ampia del mercato. Forse un giorno sarà più facile bere birra artigianale italiana fuori dai nostri confini e magari proprio quella di Gabriele e Marco.

 

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Piero Garoia
Info autore

Piero Garoia

Sono nato nel lontano millenovecentosess… il secolo scorso, a Forlimpopoli, paese natale di Pellegrino Artusi padre della cucina italiana.
Appassionato di musica, cinema, grafica e amante della fotografia.
La passione per la Birra Artigianale nasce tra gli scaffali di una libreria sfogliando un piccolo manuale per fare la birra in casa.
I disastrosi tentativi di produrla mi hanno fatto capire che diventare homebrewer non era proprio la mia strada.
Ho scelto allora di gustare la birra con gli amici, tutti appassionati, “credenti” che artigianale sia significato di unicità e qualità.
Non sono un docente, nemmeno un esperto, ma ho un obiettivo, mantenere vivo un piccolo mondo romantico dove la cultura della birra sia sinonimo di valori, socializzazione e condivisione di esperienze.
Coltivo le mie conoscenze partecipando a eventi, degustazioni, incontri e collaboro con l’Unper100 un’associazione di homebrewer forlivesi.
Mi affascina il passato delle persone, ascoltare le loro storie e capire come vivono le loro passioni.
Gestisco anche un mio blog semiserio www.etilio.it e mi piace pensare che questo possa contribuire a “convertire” più persone possibili al pensiero che “artigianale è meglio”.
Ho ancora tanti sogni nel cassetto e altrettanta voglia di concretizzarli.
Far parte del “Giornale della Birra” cosa significa? Vuol dire avere l’opportunità di comunicare a molte più persone quello che penso e mi appassiona.