Numero 45/2019
4 Novembre 2019
Quattro chiacchiere con Giuliana Valcavi!
Giornalista freelance da trent’anni, e scrive di birra da quasi venti: si può dire che Giuliana Valcavi sia una delle professioniste in questo campo con maggior esperienza nel settore birrario. Non solo: Giuliana è anche collaboratrice della Doemens Akademie di Monaco di Baviera per la formazione sulla storia e il marketing della birra in Italia; e nel 2015 ha fondato, insieme a Elvira Ackermann e Caroline Noekl, l’Associazione Le Donne della Birra. Insomma, la persona giusta da cui farsi raccontare come è evoluto ed evolve il mondo della comunicazione birraria in Italia, in particolare riguardo alla figura femminile.
.
.
Giuliana, a che cosa è nata la tua passione per la birra?
E’ nata per caso, come nascono un po’ tutte le passioni. Dopo la scuola di giornalismo e una specifica preparazione in marketing, ho iniziato a collaborare, come freelance, al mensile Il Mondo della Birra; chiamata dall’ora caporedattrice, con la quale avevo avuto l’occasione di collaborare in altre testate, Vanda Loda. Fino ad allora la birra era solo una bevanda che bevevo ogni tanto con grande piacere, soprattutto quella tedesca perché avendo amici in Germania approfittavo delle visite a loro per ottime degustazioni. Pian piano ho iniziato ad approfondire le mie conoscenze lavorando sempre sul piano del marketing, ma non solo. Subito mi è apparso chiaro come il settore fosse denso di sfide. Avevo già avuto un’ottima esperienza nell’ambito vinicolo scrivendo per anni sull’organo di informazione dell’Unione Italiana Vini e mi sembrava che nel comparto birrario, al contrario del consolidato mondo del vino, ci fosse ancora tanto da dire e da fare, come infatti si è rivelato.
Sei giornalista e formatrice in questo settore da diversi anni: quali sono, a tuo avviso, le principali sfide a livello comunicativo che oggi affrontiamo nel mondo birrario italiano?
In questi anni – lavoro per Il Mondo della Birra dalla fine degli anni ’90 – ho visto una grande evoluzione sotto diversi profili. Mi ricordo ancora quando parlare di abbinamento cibo/birra era un vero azzardo. La birra era una bevanda legata solo ed esclusivamente alla convivialità. Quanta strada da allora! Eppure c’è ancora molto da fare in questo senso, inclusa una comunicazione per un consumo responsabile legata magari al consumo a tavola, contesto che colloca la birra lontana da quei momenti dell’eccesso che tanti danni possono portare al settore, anche a ragione, in termine di immagine e di vissuto collettivo. Ma tra le cose da fare, rimane quella di innalzare la conoscenza del prodotto affinché la fatidica domanda ‘chiara o scura?’ sia sempre più rara. Molto dipende da chi è dietro il bancone o serve a tavola, che deve lavorare per migliorare la sua competenza, soprattutto adesso che col movimento craft, che tanto bene ha fatto al settore in termini economici, culturali e occupazionali, è cresciuta la competenza del consumatore. Invece, con soddisfazione possiamo contare, tra le cose che si stanno rapidamente evolvendo sul piano comunicazionale, l’utilizzo della figura femminile, tema a me molto caro. Dalle procaci kellerine e dai fusti (di birra) affiancati da modelle in ardite minigonne, utilizzati in diverse campagne ancora negli anni ’90, siamo passati a messaggi più professionali e meno sessisti. Anche se purtroppo non è sempre così.
.
.
Sei tra le fondatrici dell’Associazione Le Donne della Birra: che sviluppi hai visto in questi anni e che cosa auspichi per il futuro?
La nascita dell’Associazione Le Donne della Birra è avvenuta al momento giusto, proprio quando si iniziava a parlare di birra e donne, soprattutto di consumo della birra da parte delle donne. In particolare, notavo che se ne parlava ancora poco rispetto alla situazione effettiva e quando accadeva era con modalità inappropriate. Mi spiego. Mi ricordo che qualche anno fa al lancio della bellissima campagna ‘Birra io t’adoro’ da parte di Assobirra nel nostro Paese era stata invitata a parlare del suo rapporto con la birra una blogger che di birra non sapeva nulla o quasi. Uscita dalla conferenza stampa ho pensato di chiamare la mia amica Elvira, che già mi aveva accennato all’idea di fondare un’associazione delle donne della birra, per farle presente che sarebbe stato opportuno creare un punto di riferimento per il settore al femminile, in grado di lanciare messaggi corretti e rispettosi, in grado di far conoscere una realtà sconosciuta e di portare alla luce tutta una serie di professioniste del settore, che avevano e hanno diritto di pari dignità rispetto ai colleghi uomini. Così abbiamo iniziato grazie alle associate a tracciare subito una fotografia della birra al femminile in Italia con un sempre maggior numero di professioniste, dalle birraie alle biersommelière, e soprattutto un sempre maggior numero di consumatrici. La birra è un prodotto molto interessante che consente anche ottimi utilizzi in cucina e a tavola e proprio le donne, e di conseguenza l’Associazione, possono spingere in questa direzione promuovendo quel consumo consapevole e moderato a cui accennavo prima. Al riguardo, vale la pena sottolineare che le donne italiane sono coloro che in Europa consumano in maniera più moderata la birra (solo 14 litri procapite all’anno), ma in maniera più diffusa (sono 6 su 10): una bella lezione di consumo consapevole al resto d’Europa!