10 Settembre 2014
Teo Musso racconta – part 1: l’intervista esclusiva di EdB!
In copertina: Teo Musso e le sue birre (Foto by Tino Gerbaldo).
In occasione di Baladin Open Fest, per festeggiare i diciotto anni della birra viva in Italia, abbiamo incontrato Teo Musso, il papà del birrificio agricolo Baladin di Piozzo. Il primo in Italia a produrre artigianalmente birra. Ecco la prima parte della nostra intervista, in cui abbiamo ripercorso la sua esperienza di mastro birraio e la crescita fino alla “maggiore età” di Baladin!
Per prima cosa tanti auguri per i tuoi diciotto anni di birra artigianale da parte di Enciclopedia della Birra e dei suoi lettori. In questi anni c’è un aneddoto che ricordi con particolare piacere e hai voglia di condividere con noi?
Ce ne sono sicuramente tanti, forse se devo raccontare l’aneddoto che con grande piacere ricordo è l’uscita della prima Nazionale, perché è sempre stato un po’ il mio forte messaggio quello di mantenere il più possibile l’italianità delle materie prime e non sventolare solo un “Made in Italy” che riguarda solamente l’insediamento della parte produttiva e non delle materie prime. Il fatto di fare la prima birra 100% italiana nella storia d’Italia è stato sicuramente un momento da ricordare.
C’è una birra che più di tutte ha influenzato il tuo percorso birrario?
Sono nato come filo-belga perché di lì arriva la mia cultura birraria. La Chimay tappo blu è quella che ha innescato la mia passione nel mondo della birra, perché è quella che mi ha fatto capire che le birre non erano solo Lager. Al di la di quello che può essere una Lager, la Chimay tappo blu mi ha fatto capire che c’era un mondo diverso .
Istanti di Baladin Open Fest (Autore e proprietario foto Andrea Gattini).
Come è nata l’idea del brewpub e successivamente del birrificio agricolo?
Quando ho fatto il brewpub a Piozzo erano dieci anni che avevo il locale e una delle cose che mi piace di più del discorso passato sulla terra è di portare sfide apparentemente impossibili. Sicuramente il fatto di lanciare il mercato della birra artigianale in un paese di 900 abitanti in mezzo al cuore del mondo del vino, forse la zona più di prestigio che l’Italia vanta ovvero le Langhe, era una sfida fortissima, penso che questo sia il motivo principale. Per quanto riguarda il birrificio agricolo ho sempre avuto un legame forte con l’agricoltura, ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza in mezzo ai campi di cereali e alle vigne perché i miei sono contadini, quindi penso che il fatto di riportare almeno nel percepito del consumatore il legame tra la terra e il prodotto birra sia uno dei compiti che mi sono dato: penso che sia il più importante per fare della birra un prodotto che non sia confuso con quello che può essere una bibita, ma un prodotto della terra, un prodotto di fermentazione degno del valore che abbiamo sempre dato a un prodotto come il vino. Con molta onestà e competenza in entrambi i settori, penso di poter dire che l’uno non è superiore all’altro. Credo siano assolutamente rapportabili, con la loro anima diversa, però sicuramente tutti e due allo stesso livello.
Come nascono le vostre birre? Ho notato che nella gamma delle vostre birre non ci sono birre a bassa fermentazione: i gusti personali influiscono nella scelta degli stili da produrre?
A dire la verità non faccio neanche birre estremamente amare. Io sono poco democratico perché penso che una parte forte del valore di un’azienda o di una qualsiasi attività sia quella di seguire un pensiero e quindi tutto nasce dalle idee, ispirazioni, emozioni che partono da me e poi vengono sviluppate con tutto il gruppo di lavoro che è all’interno del mio staff di produzione, condividendo e portando avanti concetti, però in sostanza sono poco democratico. Ogni tanto bisogna essere anche poco democratici!
Istanti di Baladin Open Fest (Autore e proprietario foto Andrea Gattini).
Quanto è importante la scelta di materie prime ricercate, penso alla vaniglia del Madagascar che avete utilizzato per una vostra birra di Natale, nel produrre birra?
Penso che la materia prima sia sacra, nel senso che non si può pensare di fare un grande piatto senza una grande materia prima. Si può essere dei bravi cuochi e destreggiarsi quando si ha una materia media però se tu parti, e sei un bravo cuoco, da una materia prima eccellente non puoi che avere vantaggi. In tutto questo c’è un rischio: come successo nella cucina si è arrivati ad avere invece che dei cuochi degli impiattatori e questo può succedere anche nel mondo della birra perché usando materie prime molto caratterizzanti si può arrivare al punto di non avere più dei birrai ma dei “luppolatori” o degli “speziatori”! Le grandi materie prime possono avere questa arma a doppio taglio.
Uno degli slogan di Baladin è “Perché la Birra è Terra”, le birre artigianali possono valorizzare il territorio in cui vengono prodotte magari con l’utilizzo di cereali e luppoli coltivati in zona oppure di aromatizzanti tipici del territorio?
Penso che sia un valore aggiunto di cui la birra artigianale italiana non possa fare a meno, perché noi abbiamo la fortuna di avere un territorio che geograficamente presenta una natura agronomica veramente molto ricca di prodotti, che possono essere fondamentali nella realizzazione di quella che io considero una birra moderna, in una visione un po’ più contemporanea del modo antico di pensare la birra con l’utilizzo di materie prime caratterizzanti e non solo di malto, luppolo, lievito e acqua che i tedeschi ci hanno abituato a considerare come ingredienti di una birra. Quindi assolutamente il fatto di utilizzare materie prime dei territori può essere uno dei motivi forti di avvicinamento alla terra e di valorizzazione di quello che è l’identità della birra artigianale italiana.
Istanti di Baladin Open Fest (Autore e proprietario foto Andrea Gattini).
Le birre da divano rappresentano un vostro fiore all’occhiello: ci può raccontare come nasce questa idea?
Nascono dalla mia volontà di dimostrare che ci sono determinate tecniche di produzione in cui la materia prima è indifferente. Xyauyù nasce da quello, ho fatto sette anni di ricerca per mettere a punto la tecnica di produzione perché secondo me era possibile fare un madeira partendo da orzo invece che da uva e sono fermamente convinto che è così! In certe tipologie estremizzate delle tecniche di produzione, vedi le macro ossidazioni, l’importanza della materia prima diventa poco importante. Però ci vuole un grandissimo lavoro di affinamento della tecnica. Adesso io andrò ad estremizzare questa parte non appena avrò acquistato le bellissime vecchie botti da cento ettolitri della vecchia Oro Pilla, una grande azienda di brandy, in modo da portare gli invecchiamenti di Xyauyù fino a dieci anni per avvicinare sempre più questi due mondi partendo sempre dal fatto di avere non uva all’interno ma orzo!