Numero 36/2017
8 Settembre 2017
Tre realtà per una birra locale: ecco la “100% Furlane”
Un ente regionale, una rete di produttori e un istituto agrario come ingredienti di una nuova birra: si potrebbe – scherzosamente – vedere così il circolo virtuoso che si è creato in Friuli Venezia Giulia tra Ersa – Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale, Asprom – Associazione di Produttori di Orzo e Malto, e l’Istituto agrario Sabbatini di Pozzuolo del Friuli (Udine). Tutte realtà che già da anni lavorano sul fronte della produzione locale di birra curando l’intera filiera, dalla coltivazione delle materie prime al prodotto finito; e che in occasione di friuli Doc, la maggior vetrina dell’eccellenza enograstronomica regionale – a Udine dal 7 al 10 settembre – presentano la “100% Furlane”, una golden ale realizzata appunto in regione e con materie prime prodotte in regione (evento degustazione il 9 settembre alle 16). Una cotta da 1200 litri realizzata nell’impianto turnario dell’Asprom, e che sarà disponibile soltanto nel corso della manifestazione. Per capire come si è arrivati a questa birra, però, è necessario capire prima la storia di ciascuna di queste realtà: per questo abbiamo interpellato per l’Ersa Sonia Venerus (titolare del Servizio fitosanitario e chimico, ricerca, sperimentazione e assistenza tecnica), il tecnico Angelo Mattiussi, e la collaboratrice Elena Valent; per l’Asprom Alido Gigante, presidente della rete; e per l’Istituto Sabbatini la prof. Cristina Bomben, referente dell’azienda agraria della scuola.
Dott.ssa Venerus, in che modo l’attività dell’Ersa si inserisce nel settore brassicolo?
Le birre sono rientrate nella sfera di attenzione dell’Ersa già da oltre sette anni, quando ha iniziato insieme ad altri partner, a guardare alla possibilità di coltivazione del luppolo in regione e valutare le diverse varietà di orzo per la produzione della birra. L’obiettivo era quello di far sì che la produzione brassicola trovasse a livello ragionale un suo valore sviluppando l’intera filiera: in particolare stiamo lavorando sui luppoli, sia su varietà locali che su quelle estere coltivate qui.
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Dott.ssa Valent, che progetti state portando avanti su questo fronte?
Già nel 2010 è partito il progetto Futurbioerbe, con tre campi sperimentali. All’epoca la coltivazione del luppolo in Italia era pressoché inesistente, per cui abbiamo voluto verificare il comportamento di 22 tra le principali varietà utilizzate per la birra. Non sono mancate le difficoltà naturalmente, prima tra tutte il fatto che non esistono prodotti fitosanitari registrati per il luppolo pur trattandosi di una pianta che presenta le stesse patologie della vite, diffusissima qui a Nordest; e gli eventi climatici estremi degli ultimi anni, deleteri per una pianta che ha bisogno di un clima costante. Nonostante ciò alcune varietà hanno risposto bene, soprattutto il chinhook, il cascade, e il magnum- gli ultimi due utilizzati appunto nella “100% Furlane”; e anche il luppolo spontaneo si è rivelato avere una buona quantità di beta acidi, e risulta quindi promettente come luppolo da aroma.
Sig. Mattiussi, come state procedendo ora?
Abbiamo diviso il Friuli in zone climatiche e racoclto materiale spontaneo; di questo, una parte è stata messa in un vivaio protetto della Forestale a Tarcento, un’altra in campo presso l’azienda agraria dell’Università di Udine, così da verificare il comportamento in ambienti diversi. Al momento siamo alla fase di produzione dei coni, e valutazione di parametri come la quantità di luppolina, di alfa e beta acidi.
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Sig. Gigante, qual è invece il panorama della produzione di orzo e malto in regione?
Come Asprom abbiamo mosso il primi passi nel 2012, costituendoci l’anno successivo, allo scopo di valorizzare la produzione di tutti i cereali – non solo orzo. Negli anni abbiamo seminato diverse varietà di orzi distici, e oggi abbiamo una produzione di circa 8000 quintali annui di orzo per 80 aziende agricole. All’interno della rete disponiamo di tutte le figure professionali in grado di seguire il prodotto dal campo al malto; e ci appoggiamo a malterie italiane che ci garantiscano la tracciabilità. Per ora produciamo solo malto pilsner, ma l’obiettivo è di produrne anche altri. Tra le ditte che riforniamo c’è la Castello, che mostra di apprezzare la qualità del nostro malto; non abbiamo invece ancora rapporti con piccoli birrifici, che generalmente acquistano quantità ridotte di malto pilsner e più facilmente si rivolgono a malterie che forniscono loro anche altre varietà facendo un unico ordine.
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Prof.ssa Bomben, che ruolo ha la scuola, e quindi la formazione dei giovani che un domani entreranno nel settore, in questo contesto?
Anche il nostro istituto è fortemente legato alla volontà di valorizzare il territorio attraverso la produzione agricola, e quindi anche quella dei cereali per la birra. Del resto già dagli anni 90 disponiamo di un impianto per la produzione della birra, e lavoriamo insieme ad Ersa, Asprom e Università di Udine sia per quanto riguarda l’orzo che per il luppolo. Sfruttiamo l’alternanza scuola-lavoro per la collaborazione diretta con le aziende, e i risultati sono notevoli: basti dire che, tra gli ultimi diplomati a luglio, tutti coloro che hanno scelto di non proseguire gli studi hanno trovato lavoro. Per cui credo di poter affermare che formiamo quello che è il futuro delle aziende agricole, e quindi anche dei birrifici. Inoltre disponiamo di un laboratorio analisi che i birrifici potrebbero utilizzare.
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Dott.ssa Valent e Venerus e sig. Mattiussi, in che modo i birrifici artigianali possono beneficiare invece del lavoro di ricerca dell’Ersa?
Abbiamo avuto contatti con diversi birrifici artigianali della regione, che hanno acquistato il nostro luppolo e hanno assicurato che la resa nella birra è stata molto alta. Inoltre l’Ersa porta avanti la ricerca e sperimentazione anche su altre colture, come la canapa e il mais, utilizzate nella produzione della birra.
Sig. Gigante, uno dei progetti a cui i birrifici artigianali hanno più volte fatto riferimento è quello di un micromaltificio in regione: si sono fatti passi avanti in questo senso?
Il progetto c’è sin dall’inizio della nostra attività, però allo stato attuale è difficile pensare ad una sostenibilità economica dell’attività al di sotto dei 100.000 quintali annui – quantitativo che ancora non raggiungiamo. Certo per il futuro non c’è nulla da escludere: il Friuli è terreno importante per produzioni tali da attirare l’interesse delle grandi aziende, per cui non è detto che non si possa raggiungere questa soglia.