Numero 17/2023

27 Aprile 2023

Un anno di successi per “Feelbeer” di Filippo Scandurra!

Un anno di successi per “Feelbeer” di Filippo Scandurra!

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10 anni di esperienza, 5 referenze, 1 anno ‘di vita’: sono questi alcuni dei numeri di Filippo Scandurra e di ‘Feelbeer’, il brand di birra lanciato un anno fa dal vulcanico Filippo, che può appunto gia’ vantare 10 anni di esperienza nel mondo della birra artigianale come homebrewer, publican e mastro birraio. La passione e le competenze tecniche di Filippo appaiono subito evidenti non appena inizia a raccontarci come è nato il progetto Feelbeer, i primi successi e i progetti futuri. Il tutto accompagnato da una spontaneità e una voglia di fare irrefrenabili.

 

Quando ti sei appassionato alla birra? 
“Ho iniziato nel 2013 a fare birra in casa, a Cefalù in provincia di Palermo, in Sicilia. Quest’anno, quindi, sono 10 anni esatti. Io sono laureato in Agraria e di conseguenza avevo già una formazione a livello di chimica, fisica e biologia, che mi è servita nella produzione della birra. In Sicilia ho lavorato come ispettore agricolo, come consulente del Verde per alcuni Comuni e sono stato responsabile del settore giardinaggio di una grande azienda. Poi decisi di cambiare. Un mio amico mi raccontò di un suo collega che si faceva la birra in casa e così provai ad imparare il mestiere con l’obiettivo fin da subito di farne una professione. In Sicilia 10 anni fa la birra artigianale era una grande novità e così mi si è accesa la lampadina e mi sono cimentato nella produzione casalinga. Ho iniziato a studiare, a comprare kit e libri e a partecipare a vari corsi, aumentando sempre più il mio bagaglio “in birra”. Fin da subito ho ricevuto complimenti e riscontri positivi dai miei avventori che mi stimolavano nel proseguire.  Facendo parte di un comitato Slow Food, sono entrato in contatto con i principali birrifici artigianali siciliani in veste di organizzatore e relatore in degustazioni a tema “abbinamenti birra-cibo”. 

 

Come sei arrivato a Milano? 
 ”Un giorno la mia compagna, attualmente mia moglie, mi disse di aver vinto una borsa di studio al Politecnico. Così abbiamo deciso di venire a Milano. Una volta nel capoluogo lombardo ho iniziato a ‘stalkerizzare’ diversi locali, portando il mio curriculum. Immediatamente mi resi conto che il mercato della birra artigianale qui a Milano a quel tempo, nel 2015, era già molto diverso rispetto a quello siciliano.

Per i primi otto mesi ho avuto solo porte in faccia, ad eccezione di un’esperienza fatta in un piccolo birrificio piemontese con marchio bio. La prima vera opportunità me la diede Matteo del Tutti Fritti alle Colonne di San Lorenzo. Lì iniziai a farmi le ossa. Nel frattempo, a maggio del 2016, mi iscrissi al Corso da “Birraio Artigiano” al Dieffe di Padova. Contemporaneamente iniziai anche un corso di bartender con l’obiettivo di arricchire la mia formazione, completare il mio curriculum ma anche per avere l’occasione di conoscere qualcuno nel settore, stabilire connessioni. Fortunatamente così è stato. Un collega, durante le pause caffè notò la mia passione e competenza nel chiacchierare di birra e mi propose di fare una serata di prova nel locale in cui lui lavorava, “Al Coccio” sui navigli. Con Luca e Maddalena c’è stata subito intesa per cui andò bene e mi presero. 

Di mattina seguivo il corso, la sera Al Coccio a lavorare in settimana e al Tutti Fritti nel weekend. Successivamente iniziai anche uno stage al birrificio Menaresta. E’ stato un anno devastante, ma è stato il periodo che mi ha dato di più. Praticamente non avevo neanche il tempo di respirare. A fine estate 2016 chiusi la mia esperienza al Tutti Fritti, poi finito il corso di bartender mi sono dedicato solo Al Coccio.  Nel 2017 mi sono diplomato come birraio artigiano a Padova e dopo due anni di lavoro Al Coccio i titolari mi dissero che stavano per aprire un locale in zona Paolo Sarpi e pensarono a me per gestirlo. Morale della favola nel giugno 2017 apre il Blocale. Nel frattempo io ho continuato a fare birra, con ovviamente minore frequenza rispetto a quando ero in Sicilia”. 

 

Quando hai deciso di produrre birra in maniera professionale? 
“A marzo 2020 causa pandemia ebbi più tempo per me stesso, così ripresi a fare birra in casa. Il Covid in realtà ha frenato tantissimo i miei progetti di produzione. Con la chiusura dei locali avviare la mia attività sarebbe stato un grosso rischio. Alla fine ho aperto la partita Iva a marzo 2022 e a maggio dello stesso anno è uscita la mia prima birra”.

Come mai hai scelto il nome Feelbeer? 
“L’idea finale del nome Feelbeer è stata di mia moglie che ad un certo punto ha messo insieme tutte le idee che avevamo. Volevo un brand che parlasse di emozioni. Io amo l’approccio tecnico alla birra, ma non gradisco particolarmente quando questo sfocia nel voler essere “Nerd” magari per attirare l’attenzione o per dar l’impressione di esser competenti. Purtroppo c’è ancora molta disinformazione e spesso questa è pilotata da falsi concetti o preconcetti diffusi volutamente o con troppa superficialità. 
Alla birra secondo me ci si dovrebbe approcciare in modo più semplice, senza rinunciare ad analizzarla ed a capirla certo ma dovrebbe essere un mezzo di aggregazione senza troppi fronzoli. Tuttavia per certi versi a livello organolettico probabilmente la birra è anche più complessa ed interessante rispetto al vino. 
Feelbeer, il nostro brand vorrebbe trasmettere proprio questo, suscitare emozioni con competenza, equilibrio e semplicità. Per cui abbiamo scelto Feel, in primo luogo per esprimere il mio modo d’essere, il sentire l’emotività, l’empatia, in secondo luogo perché ‘Feel’ è simile al modo in cui mi chiamano i clienti, ‘Fil’, e rappresenta una maniera per rendere omaggio agli stessi clienti che comprano la birra. 
Inoltre, è anche facile da memorizzare.  A tutto questo si aggiunge un logo semplice, ma diretto”. 

D: Quante referenze avete?
R: “Ad oggi Feelbeer dispone di cinque referenze in meno di un anno. Al Blocale, per mia volontà e per piacere dei miei titolari, presento in anteprima tutte le nuove uscite. Poi le mie birre ‘escono e vanno anche altrove’. La prima, uscita a maggio 2022, è la West Flavours, una Common Ipa che vuol essere un omaggio ai “sapori della West Coast” dove tradizione e moderno s’incontrano. In pratica è l’unione tra la California Common, l’unico stile veramente americano nato a San Francisco tra il 1850 ed il 1920 periodo tra la corsa dell’oro ed il proibizionismo ed una West Coast Ipa, più moderna e caratterizzata da una luppolatura più aggressiva, resinosa e importante. Della California Common ha la maggior parte degli ingredienti, il colore ambrato, le note di malto caramello, la bevibilità e le note finali erbacee e secche, old style. Della West Coast Ipa invece ha la parte resinosa, agrumata e fruttata più contemporanea. 
Un prodotto diverso, audace a mio parere ed un po’ azzardato. 6,2 gradi, corposa e molto amara, complessa da capire, con l’animo vecchio stile”. 

Dopo la West Flavours quale altre birre avete? 
 “Dopo la West Flavours è uscita la Sweet EmotionsIl nome, in realtà è quello di un ‘Concept Beer’. Si tratta quindi della prima di una serie di birre dedicate al miele italiano di alta qualità. Con mia moglie, attiva nel settore enogastronomico, mio supporto e continua fonte d’ispirazione, abbiamo stretto un accordo con “Allodi Apicoltura”, un apicoltore pluripremiato della zona di Reggio Emilia, trasformando il suo miele in birra ed inserendo il suo logo sulle nostre etichette. Grazie a questa partnership le nostre birre circolano in molte fiere accanto al miele di Allodi. Le birre del progetto dunque sono: Sweet Emotions, Foliage e Nightwish. Le birre di questo concept differiscono nello stile ma non necessariamente nel miele utilizzato. Decido sul momento. Non voglio avere limiti di sperimentazione. 

La Sweet Emotions è una “Blonde Ale” con miele “millefiori paradiso”. Una chiara di facile beva, d’ispirazione inglese, poco gasata da 5,3 gradi alcolici, semplice ma non banale. Il miele si avverte solo al naso e nella prima parte della bevuta ammorbidendo ed avvolgendo il retrogusto secco, erbaceo e amaro, facilitando così la bevuta sorso dopo sorso. Una birra quasi provocatoria in cui il nome (Sweet Emotions) non da indicazioni dirette sul gusto (che tendenzialmente è più amaro che dolce) ma più che altro sul progetto, in cui mi diverto ad esplorare le diverse sfumature che il miele riesce a dare alla birra. Non sempre e non per forza, infatti il miele rende dolce una birra anzi spesso dona secchezza e alcool grazie all’elevata fermentescibilità dei suoi zuccheri semplici.

La seconda birra, la Foliage, è una Belgian Ale da 6,6 gradi alcolici, molto equilibrata e con una grande bevibilita’ nonostante lo stile ed il grado alcolico; infatti una delle cose che i clienti hanno apprezzato è che si tratta di una birra dolce ma non stucchevole. In questo caso ho usato il miele di castagno che contribuisce a dare a questa birra un naso ‘pazzesco’ con note di zagara, fiori d’arancio e resina. Si tratta di una birra belga con tutte le note tipiche del lievito, a questo si aggiunge la scorza di arancia amara per dare freschezza finale. E’ la birra che più ha sorpreso me ed i clienti, piace a tutti per il suo gusto intenso ed equilibrato che non stanca e per la facilità di bevuta che nasconde una struttura importante. 

La terza birra del concept “Sweet Emotions” è la ‘Nightwish’. Anche in questo caso protagonista è il miele di castagno. Prodotta nel periodo invernale è una Winter Spicy Ale da 8,2 gradi con malti caramellati. Una rossa, d’ispirazione scottish ale, corposa con un velo finale di affumicato e con aggiunta di anice stellato e cannella. Di corpo medio e con un finale secco. Un finale di bevuta semplice che caratterizza sempre tutte le mie birre”. 

La nostra quinta referenza è la ‘Nightfall’. Qui usciamo dal progetto Sweet Emotions. E’ una Imperial stout da 9 gradi. Volevo inizialmente riprendere una mia ricetta che ha avuto successo quando ero homebrewer: una milk stout. Al posto del lattosio ho utilizzato l’avena maltata – che da una certa cremosita’ e dolcezza – e in più ho aggiunto le grue di cacao del Ghana – ossia la prima frantumazione delle fave di cacao – messe in whirlpool a fine bollitura che danno note di cacao amaro, nocciola e liquirizia. Ho aggiunto anche il Cassonade Bruno, che da note di mou, melassa, caramello, tostato, mielato oltre a rendere più secco e bruciato il finale di bevuta con sensazioni liquorose in bocca. E’ una birra da nove gradi, corposa dove si sentono subito il cacao e il cioccolato fondente al naso. In bocca te li ritrovi, ma appena la birra si scalda arrivano anche note di caffè bruciato, torrefatto e liquirizia. Questa è una birra che è piaciuta veramente tanto”. 

 

Dove si possono trovare le tue birre? 
“ Sicuramente al Blocale sia in spina che in bottiglia; a rotazione in altri locali milanesi come: Triple, Scott Duff, Scott Joplin, Unplug, Dieci Gradi Nord, Piano B, Rhop e Birreria Sempione 47 a Nerviano. Sono passate anche dal Darsena e Navigli Craft Beer e altri. Siamo sempre in evoluzione, spesso in giro con Marilena e Samuele (moglie e bebè) portando birre da assaggiare in nuovi locali cercando di stringere accordi di vendita ed ampliare il parco clienti. Non è un periodo particolarmente florido per le vendite ed è difficile avere continuità visto che ormai la maggior parte dei locali o ruota molti prodotti per cui devi aspettare il tuo turno oppure chi lavora con referenze fisse difficilmente è disponibile ad aggiungerne di nuove anche per obblighi ed accordi contrattuali”. 

Sei un vulcano di idee. Quali sono i progetti futuri? 
”Sicuramente una nuova birra, ricetta e nome ci sono già, ma ancora non ho fissato l’uscita. Altri progetti futuri potrebbero riguardare collaborazioni con realtà diverse che si distinguono per la loro qualità. Ci piacerebbe riuscire a unire tante cose: degustazioni di birra, abbinamenti birra-cibo, entrare in circuiti diversi dai soliti pub e chissà cos’altro… tutto rimanendo semplici e trasmettendo sempre le stesse emozioni che caratterizzano Feelbeer”. 

 

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