Numero 09/2019
1 Marzo 2019
Viaggio nell’Italia del luppolo: alla scoperta del luppoleto di PoliHops in quel di Santarcangelo di Romagna
Tag: interviste
L’interesse per la birra artigianale in Italia ha portato allo sviluppo di un intenso spirito di iniziativa anche nell’ambito della realizzazione di una vera e propria filiera di produzione delle materie prime a livello nazionale. Una visione ambiziosa e difficile da realizzare, ma non utopistica. Infatti, anche se si registra ancora una complessiva arretratezza nello stato dell’arte, sia per la produzione di cereali e malti, sia per il luppolo, non mancano realtà dinamiche che stanno sviluppando progetti degni di essere conosciuti e sostenuti. Oggi siamo in compagnia di Fabio Polidori, meglio conosciuto come Poli, che ci ha accolti nel suo luppoleto sito in San Martino dei Mulini nel comune di Santarcangelo di Romagna.
Il luppoleto vanta una superficie investita prossima a 5500 mq, estensione che testimonia un vero e proprio spirito imprenditoriale ed un progetto di lungo termine, in cui Poli crede con passione e fermezza.
Per conoscere meglio questa realtà, abbiamo posto a Fabio alcune domande.
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PoliHops è nato da pochi anni, ma il tuo progetto è una scommesse che guarda al futuro. Perché hai deciso di lanciarti nella coltivazione di questa essenza?
Tutto è nato dalla passione per la birra, in concomitanza con quella per l’agricoltura. Nel 2011 mi sono avvicinato con interesse particolare al luppolo: tutto è partito come un hobby, che mi ha portato a collezionare circa 30 cultivar. Poi ho iniziato a chiedermi – ed a non capire – perché il luppolo provenisse da tutto il mondo, tranne che dall’Italia, ed a riflettere sul fatto che se ancora non esisteva nessuna varietà italiana allora avrei potuto sperimentare per primo personalmente. Ho iniziato, così, ad ibridare le mie piante ed a selezionarle, sono rimasto stupito dalle caratteristiche di alcune di loro… e qualche anno dopo, tutto questo è diventato il mio lavoro principale.
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Quali sono le principali difficoltà che hai incontrato per avviare la coltivazione? Quali le criticità che vivi ogni giorno nella gestione colturali?
A livello colturale cerco di limitare le difficoltà proprio grazie alla selezione delle varietà più resistenti e produttive, ma di certo in annate particolarmente avverse dal punto di vista dei fitofagi e delle patologie possono insorgere criticità. Inoltre, altro elemento da considerare è che la mia azienda è biologica ed i trattamenti sono spesso meno efficaci e più costosi.
Altri problemi sono i costi iniziali, esorbitanti anche per un’amante del fai da te e del riciclo come sono io.
La ricerca di attrezzature in un paese come l’Italia, in cui manca ancora la filiera, è assai difficoltosa.
Ulteriori criticità possono essere la standardizzazione del prodotto finito e la salvaguardia delle componenti aromatiche dopo la raccolta. Questi solo alcuni dei problemi a mio avviso principali, ma sicuramente, l’elenco sarebbe molto più lungo.
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Il tuo luppoleto è molto interessante perché affianca alle classiche varietà straniere una intensa attività di ricerca. Ci puoi dare qualche informazione aggiuntiva?
In merito alle varietà ho più di 200 genotipi diversi in campo. Comunque, in generale, il grosso della produzione è di Cascade, Chinook e Centennial. Il resto è suddiviso tra una collezione di piante conosciute da varie parti del mondo e circa 200 genotipi ibridi di mia creazione, che sono in fase di studio sul campo e in birrificio e di ricerca in laboratorio. Scendendo più nello specifico, gli incroci sono stati fatti con varietà americane, tedesche ed inglesi, ed alcuni degli stessi sono stati utilizzati per successive ibridazioni.
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Come affronti la raccolta e la prima trasformazione/conservazione dei coni? Quali progetti specifici hai in serbo per il futuro?
Il 2019 sarà l’anno della svolta anche da un punto di vista tecnico. Il taglio delle piante sarà fatto ancora a mano, ma a breve sarò in possesso di un macchinario per la separazione dei coni (una mitica Wolf degli anni ‘70) che consentirà di velocizzare e gestire in modo più agevole la raccolta. I coni saranno, quindi, essiccati in un essiccatoio autocostruito e trasformati in plug da 100 g di materiale polverizzato. Il tutto messo sotto vuoto e conservato in cella frigorifera.
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Attualmente quanto luppolo produci e come viene destinato in trasformazione?
Da quest’anno andrò in piena produzione: fino ad oggi i raccolti sono stati limitati dal fatto che tutte le mie ceppaie sono state divise per produrre altre piante. Un primo obiettivo raggiungibile sarà quello
dei 30 quintali di coni freschi.
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Come immagini il futuro del luppolo in Italia, sia sotto il profilo dell’innovazione varietale, sia in termini di diffusione della coltivazione e creazione di una vera e propria filiera dedicata e specializzata per la trasformazione?
In generale il futuro è roseo, le condizioni pedoclimatiche ci sono, la voglia di mettersi in gioco c’è, le idee sono tante e spesso buone, la filiera si va piano piano costruendo.
Forse l’ostacolo maggiore è quella tipica caratteristica umana che spinge qualcuno, troppo spesso in nome del dio denaro, a voler superare, fagocitare o addirittura calpestare qualcun altro.
Atteggiamenti che, seppur nel piccolo di questo nuovo tipo di coltivazione, ho già visto manifestarsi.
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Il mio obiettivo è di selezionare e mandare in produzione varietà da me create e, forse, questo non sarà il mio problema più grande. Secondo me è da scongiurare che qualcuno decida di fare cartello su questa produzione, abbassando i prezzi di vendita, costringendo i piccoli produttori all’estinzione e lasciando magari la strada spianata ai soli grossi investitori o cooperative.
Maggiori informazioni su PoliHops alla pagina Facebook: www.facebook.com/poli.hops