6 Febbraio 2016
La morte ha il gusto del luppolo: dodicesimo capitolo
«Avanti, Peter! Confessa!»
«Ti prego…» tra un singhiozzo e l’altro, il Mastro birraio del convento, riusciva a pronunciare qualche parola.
Senza farsi impietosire, Alberico posò il martelletto grondante di sangue:
«Peter, questa situazione fa male ad entrambi… ma a te, sicuramente di più. Ho bisogno di informazioni, e tu me le darai».
«Non so nulla, lasciami andare!»
Alberico si sedette su di una sedia di paglia, questa sì aveva l’imbottitura, di fronte al sospettato.
«Io ho visto con questi occhi e ho udito con queste orecchie un dialogo, l’altro giorno. Un dialogo molto interessante. Un dialogo che aveva come protagonisti un frate di nome Peter, quel Peter che ho di fronte in questo momento, ed un villano di nome… Ah, sì! Ora ricordo! Si chiamava Robert! Ti va di raccontarmi la vicenda?»
Alberico usava un tono mellifluo, quasi gentile e comprensivo.
Era una tattica.
Con quel suo tono faceva capire al soggetto che stava torturando che, lui, di tempo ne aveva a sufficienza. Allo stesso modo lasciava intendere che le torture che stava perpetrando in quel momento non erano altro che l’antipasto delle sofferenze che sarebbero giunte in seguito, quando si fosse alterato.
Da sola, quella tattica, era in grado di far ottenere delle confessioni “lampo”, al primo dito rotto, o poche dita dopo.
Ma Peter si stava dimostrando un osso duro…
Alberico non avrebbe mai creduto che un semplice frate avesse l’ardore per resistere a lungo alle torture! Certo, per un monaco il cilicio e le nerbate facevano parte della quotidianità, una penitenza per espiare qualsivoglia peccato veniale. Per esempio una decina di flagellate sulla schiena, auto inflitte, erano un ottimo modo per espiare i pensieri impuri scaturiti dalla mente nei confronti di una giovane ed avvenente fanciulla.
Ma la tortura, quella vera, era tutt’altra questione.
Nessuno, al mondo, poteva resistere ad essa e, prima o dopo, tutti crollavano.
Alberico si aspettava che il crollo del frate avvenisse molte dita prima.
«Mio caro, le dita dei piedi sono terminate, cominciamo con quelle delle mani?»
«Ti prego…» le lacrime rigavano il volto pasciuto del frate ed un urlo si elevò quando le mani dell’inquisitore Vaticano si serrarono sul dito medio della sua mano destra:
«NO! NO! NOOOAHHHH!!!»
Un sonoro schiocco, l’articolazione spezzata ed il dito, dalla seconda falange, rivolto innaturalmente a lato.
Alberico voleva concludere in fretta il suo interrogatorio; un altro dito.
Un altro.
Un altro ancora.
La mano deformata, le grida e gli spasmi di Peter.
«Parla! Parla e finirà tutto!»
«Io non so nulla!!!»
«Di chi hai paura? Cosa credi che succederà se non confessi?»
«Ti prego…»
Alberico passò all’altra mano.
Gli schiocchi delle ossa erano intervallati dalla voce del torturatore:
«Se mi racconti quello che sai, le tue pene finiranno subito! Chi proteggi? Bada, lui può solo ucciderti… io posso farti desiderare di morire!»
Ancora nulla.
Non una frase utile alle indagini.
Alberico tornò a sedere di fronte al malcapitato, in silenzio.
Doveva escogitare il modo di farlo parlare… la tortura fino alla morte era una pena fin troppo grave per un Frate che, forse, si era macchiato solo della malversazione commerciale… per lui, visto il ruolo Sacro che ricopriva, la pena sarebbe stata esemplare e tutti sapevano qual’era.
Esemplare, ma non mortale.
Il Diritto Canonico prevedeva che, se un prelato fosse stato riconosciuto colpevole di reati contro il Patrimonio della Chiesa, gli si sarebbero frantumate le ossa delle mani con le quali aveva rubato.
Quindi, per ora, Alberico si era limitato ad eseguire la condanna che sarebbe stata comunque comminata a Peter, con l’aggiunta di poche ossa rotte nei piedi.
Alberico si rese conto che doveva alzare il tiro per evitare lunghe ore di torture; doveva far provare al Reo lì, dinnanzi a lui, dei supplizi immensamente superiori rispetto a quelli che avrebbe comunque subìto se condannato.
Il prete sapeva che cosa fare.
Avrebbe tirato fuori la verità da quel frate, a costo di cavare parola per parola dalle labbra di lui.
Sarebbero bastati solamente un altro paio di “trattamenti”, o per lo meno era ciò che si augurava.
Estrasse dalla borsa, sempre restando in silenzio, un paio di pinze dalla forma bizzarra.
Poi, con una lentezza quasi disarmante, estrasse anche una corda di canapa arrotolata.
«Sai che cosa sto facendo?»
«Basta… ti prego… pietà!»
«Sto preparando un nuovo giochino…»
Svolse la corda che in tutto misurava circa due metri di lunghezza e un centimetro e mezzo di diametro.
Prese un’estremità di essa e iniziò ad annodarla.
Creava nodi ravvicinati, in modo da ricavare una sfera di canapa.
Una volta che ottenne una sfera grossa come un pugno, lasciò cadere quell’estremità appallottolata in un secchio di legno pieno di acqua.
«Ti sei domandato come mai la tua sedia non ha un comodo sedile?»
Uno sguardo di terrore si palesò negli occhi del frate.
«Hai capito? A scanso di equivoci te lo spiego, così vediamo se hai immaginato bene: la corda che ho legato, sta assorbendo acqua. Questa renderà la palla annodata dura come la roccia. In seguito la userò sui tuoi genitali, non so se mi spiego… ecco svelato il motivo dell’assenza della seduta! Non trovi che sia un gioco divertente?»
Peter non riusciva più a proferire parola, il terrore e l’adrenalina avevano addirittura fatto interrompere il copioso fluire delle lacrime.
Lo sguardo del torturato si fissò sulle pinze.
«Oh, vedo che hai notato quell’altro arnese! Bravo, i miei complimenti! Quello, non temere, non serve per martoriare ulteriormente le tue intimità! Servirà invece a staccarti le unghie dalle carni. Come puoi vedere, i tuoi piedi sono già gonfi ed i lividi stanno diventando sempre più voluminosi. Anche le mani non tarderanno a diventare gonfie e livide… Quindi, per il trattamento su di esse, attenderemo che sopraggiunga il gonfiore. Ora, giusto per darti un assaggio di quello che succederà, procederò con l’asportazione di un unghia. Preferisci il mignolo del piede destro o quello del sinistro?»
«Ti prego.. PIETA’!»
«Destro o sinistro?»
«Pietà! PIETA’!»
«Santo cielo, sto perdendo la pazienza! Destro o sinistro?»
«NO! NO!»
«Se non mi dici quale unghia strapparti, ti spezzerò le ginocchia!»
«NO! TI PREGO! TI PREGO!»
Senza indugiare oltre, Alberico afferrò nuovamente il martelletto e, levatosi in piedi, di scatto, caricò il colpo da infliggere sulla rotula di lui.
Vibrò il colpo.
«SINISTRO! SINISTRO! SIGNORE IDDIO, L’UNGHIA SINISTRA!»
Il prete bloccò il suo stesso movimento.
La paura di un dolore più grande stava sortendo l’effetto desiderato.
Il frate stava cominciando a cedere.
Quando si è messi alle strette, sapendo che il dolore sarebbe lancinante in tutti i casi, vi sono due modalità di reazione: o si procede stoicamente, subendo il danno più grande, oppure si effettua la scelta, seppur dolorosa, prospettata.
Nel primo caso si dimostra al torturatore di non voler cedere, indice che la tortura perpetrata fino a quel momento non è stata abbastanza dolorosa ed incisiva sulla sfera emotiva del torturato.
Chi invece decide di sottoporsi ad un dolore più grande, per salvare la funzionalità di un altro organo, in quel caso la scelta dell’asportazione dell’unghia in confronto al divenire storpio perché martoriato sul ginocchio, dava dimostrazione di essere sul punto di crollare.
«Ottima scelta!»
Alberico si inginocchiò:
«Percepisci, caro mio, la gradevolezza del freddo metallo che scivola sulla tua carne febbricitante…»
Peter, quasi inconsapevolmente, emise un sospiro di sollievo che, subito, gli si strozzò in gola, divenendo un rantolo di dolore.
«Ora senti il dolore della pressione su di essa, senti come il braccetto della pinza comprime e scava, indagatore, nel tuo gonfiore alla ricerca della tua unghia. Ecco, l’ha trovata! Ed ora, assapora la veloce penetrazione sotto di essa!»
Una violenta spinta, il metallo che strappò lembi di carne sottesa all’unghia, fino alla radice.
Il rantolio divenuto gridolino, il fiato corto.
La spasmodica attesa del violento strappo…
Peter, inconsciamente, stava iper-ventilando e scuoteva nervosamente la testa a destra e a sinistra.
Lo strappo, gli schizzi di sangue, lo spasmo della gamba. Le dita che si aprirono, anch’esse guidate dal medesimo riflesso al dolore che, viste le fratture a loro carico, decuplicarono la già immensa sofferenza…
Un urlo talmente straziante da far vacillare la vena sadica di chiunque.
Alberico non si scompose.
«Più l’unghia diviene grande, più il dolore si amplifica. Immagina, se ti è possibile, il dolore che proverai una volta che giungerò all’alluce. Coraggio, ora devi scegliere tra l’unghia dell’anulare destro oppure, se preferisci, continuiamo sul piede sinistro.» senza attendere risposta, il torturatore si diresse verso il secchio e tirò su la corda, ormai perfettamente imbibita di acqua; si voltò verso il povero sventurato «Ah, buone nuove, caro Peter! La corda è pronta! Sospendiamo lo strappo delle unghie, iniziamo a giocare seriamente!»
Alberico fece roteare la corda, con la sfera di nodi che vorticata e schizzava fresca acqua sul frate.
L’inquisitore che si avvicinava.
Le gocce che divenivano sempre più numerose e veloci.
La rotazione talmente intensa da produrre un sibilo stridulo e raccapricciante.
Pochi centimetri separavano la corda dalle intimità di lui che, straziato, urlò:
«NO! NO! BASTA! CONFESSO! CONFESSO! TI DIRO’ TUTTO QUELLO CHE VUOI! TI PREGO, TI DIRO’ TUTTO! NON MI COLPIRE CON QUELLA ROBA! TI SUPPLICO! BASTA!»
Alberico, pur senza darlo a vedere, si sentì immensamente sollevato nell’udire quelle parole. La tortura aveva fatto breccia nell’animo di quel fetente; ora la verità sarebbe venuta a galla!