Numero 15/2016
16 Aprile 2016
La morte ha il gusto del luppolo: ventunesimo capitolo
Il viaggio fu relativamente breve.
Poco meno di due ore di cavalcata per giungere a New Castle, la loro destinazione.
Alberico guidava il destriero, un bell’animale pezzato rosso, mentre il vecchio frate restava appeso ai fianchi dell’investigatore Vaticano, dietro di lui.
A causa della veneranda età, per l’abate il viaggio fu molto, molto più spossante.
I movimenti ritmici dell’animale, l’essere sballottato in su ed in giù dalla guizzante e possente massa muscolare dell’equino, causarono in lui un atroce mal di schiena e, senza alcun dubbio, dei vistosi lividi nell’interno coscia.
New Castle era ben diversa da Bullhornes Town…
Innanzitutto era cinta da mura alte e spesse, in granitici massi saldati da loro da una tecnologia Romana, una liquida miscela che, una volta indurita e seccata, poteva tenere adese l’una all’altra le pietre per millenni: il calcestruzzo.
Una volta attraversata la ciclopica recinzione, la città si mostrava in tutto il suo splendore. Da ognuna delle quattro porte d’accesso all’interno, si sviluppavano quattro vie principali, perfettamente lastricate. Il tutto a formare una croce, con al centro, sopraelevato rispetto alle mura, poiché costruito su di una collina, il castello del Lord Signore di quelle lande.
Loro erano diretti proprio lì, in cima alla città alta, laddove sorgevano il maniero, la cattedrale ed il palazzo Arcivescovile.
Infatti, all’interno delle mura della cittadella, l’ultima difesa in caso di attacco, vi era un’immensa piazza d’Armi, che fungeva da normale piazza in periodi non bellici, sulla quale si affacciavano, per l’appunto, i tre edifici e la caserma della Guardia cittadina.
Una volta giunti dinnanzi al vescovado, senza perdere tempo in inutili preamboli cortesi, Alberico si fece avanti mostrando da subito il documento Papalino di cui era in possesso.
«Devo vedere immediatamente l’Arcivescovo».
«Voi siete?» rispose stizzita una guardia.
«Non è cosa di cui dobbiate preoccuparvi, leggete il documento e poi fate strada. Vengo in Nome e per Conto di Sua Santità in Persona! E non ho tempo da perdere».
Stupito ed al contempo intimorito, il capo-piantone prese in mano il documento ne, dopo averlo letto, si mise sugli attenti, esibendo un perfetto saluto militare; tale gesto fu subito imitato dagli altri soldati guardia.
Senza perdere altro tempo, l’armigero fece cenno di seguirlo con un plateale gesto della mano.
L’interno della residenza dell’alto prelato era a dir poco sfarzoso.
Non vi era un centimetro di muro che non fosse adornato da dipinti e ritratti di pregio racchiusi e protetti da cornici ricoperte da scaglie d’oro e d’argento.
I soffitti erano finemente affrescati, non un millimetro era stato lasciato del bianco colore della calce ed i pavimenti… marmo lucidissimo interrotto, ad intervalli regolari, da un mosaico di fine fattura. E poi statue in pietra, mezzi busti in marmo, sculture delle effige di tutti gli Arcivescovi che si erano alternati negli anni… quel palazzo era di per sé stesso un’opera d’arte, un vero e proprio angolo di paradiso in terra!
Ma alberico non aveva tempo per godere di quello spettacolo così sublime; aveva un incontro molto importante a cui doveva presenziare.
Il piccolo drappello di soldati ed i due membri del Clero si fermarono dinnanzi ad un portone intarsiato.
«Annunciate a Sua Eccellenza che Padre Alberico De Giunti, inviato personale di Sua Santità in Persona, gli chiede udienza immantinente».
«Perdonate, Sergente, e perdonate anche voi, illustrissimo Padre, ma Sua Eccellenza è momentaneamente impegnato in un’importante riunione. Credo che dovrete attendere» il segretario personale dell’alto prelato, che attendeva fuori da quello che doveva essere lo studio del capo della Chiesa di New Castle, celava uno sprezzante “no!” dietro alla cortesia che si conviene ad un riverito ospite come Alberico.
Ma il prete sapeva bene, il significato di quelle parole… e andò su tutte le furie.
Sventolando la pergamena, la bolla Papale, impose al segretario di aprirgli quell’uscio che, tanto strenuamente, stava proteggendo.
Incapace di resistere ad Alberico, il segretario cedette ed entrò nella sala per annunciare l’arrivo di Alberico.
«Eccellenza… non so come scusarmi, io… non ho potuto trattenerlo e…»
Alberico sbucò da dietro le spalle del segretario:
«Faccio da solo, che se aspetto voi, ho tempo ad avvizzire!» disse spazientito.
Sollevò lo sguardo, mentre si presentava, ma un’amara sorpresa lo attendeva:
«Perdonate la mia foga, Eccellenza, sono… non può essere! Voi qui?»
Lo sguardo di Alberico si era spostato verso il centro della stanza, ove tre poltrone erano poste attorno ad un tavolo dal piano rotondo, su cui si ergevano maestose alcune pietanze e dei calici di vino.
I commensali dell’Arcivescovo erano due: uno era ad Alberico sconosciuto, l’altro, invece, era McOwen!
«E’ un piacere vedervi qui, Padre Alberico!» Esordì McOwen.
«Piacere solo vostro, credetemi!»
L’abate, tenuto per la tonaca da Alberico, tremava come una foglia dal terrore.
Alberico se ne accorse.
Ed anche lui era impaurito da quella inaspettata situazione…
Ma ormai era in ballo e doveva ballare!
«Suvvia, Alberico caro, posso chiamarvi così, non è vero?» proseguì tranquillo McOwen, con il fare sprezzante, tipico di chi vuole schernire un’altra persona.
«Se proprio non potete esimervi… che diamine ci fate qui? E quell’individuo al vostro fianco chi è? Un vostro scagnozzo?»
«Scusate, Padre Alberico, non vi consento di parlare in questa maniera, in casa mia, con un ospite tanto riverito come il Conte di…»
«Ah, ora è tutto chiaro! Se voi siete il Conte, non siete uno scagnozzo di McOwen siete un suo complice!»
«De Giunti!» l’Arcivescovo sembrava infuriato «Finitela con queste accuse che…»
Alberico era la maschera della collera; interruppe nuovamente il vescovo.
«Eccellenza, ma lo sapete chi avete di fronte? McOwen è il mandante dell’omicidio di Vostro nipote, il vostro nipote prediletto! Come potete pasteggiare con lui, sapendo ciò?»
Poi si rese conto: lui non era mai stato presentato all’Arcivescovo… come faceva quell’uomo a sapere il suo cognome?
«No… non è possibile…» il prete fulminò con lo sguardo l’Abate…
Che lo avesse attirato in una trappola?
Che anche l’arcivescovo fosse in combutta con loro?
Che quella sua mossa fosse già stata prevista?
Se fosse stato davvero così, lui era finito in trappola… in una trappola mortale!
Alberico sentì le ginocchia cedere.
La paura gli serrò il cuore, che iniziò a battere più rapidamente.
Per un attimo fu come se il mondo gli crollasse addosso!
Sapeva di essere in trappola.
Sragionava, incapace di far funzionare il cervello.
Ma doveva trovare una soluzione…
Doveva riprendere le proprie facoltà!
Doveva trovare il modo di salvarsi.
La stretta sulla spalla dell’anziano Abate divenne una morsa…
Il vecchio urlò, ma non fu il solo…