Numero 45/2020
6 Novembre 2020
Dall’Umbria una grande sfida per produrre luppolo Made in Italy
Luppolo italiano sia per produrre birra italiana sia per chi vorrà dare italianità alle sue birre. Occupare a regime dal 3,5 all’8% del mercato globale con 5mila ettari coltivati e oltre 300 milioni di euro di valore: questo l’obiettivo a lungo termine, “il gol finale”, annunciato durante il convegno “Luppolo Made in Italy: la Filiera del Luppolo italiano” che si è svolto nella giornata di giovedì 29 ottobre in modalità streaming. Un confronto che ha costituito una nuova tappa fondamentale per la nascita di una filiera moderna, competitiva, sostenibile e di grande qualità, con il cuore economico, produttivo e organizzativo in Umbria.
Dopo due anni di sperimentazione in campo e tre anni di attività, la Rete di imprese (al momento sono 12 aziende agricole, agroalimentari e di innovazione tecnologica) “Luppolo Made in Italy”, con sede a Città di Castello e presieduta da Stefano Fancelli, ha organizzato questo momento di confronto per presentare il percorso fatto ma soprattutto per costruire passo dopo passo la filiera confrontandosi con istituzioni, produttori, stakeholders “per coinvolgere una platea vasta dando l’idea di una azione collettiva per portare ricchezza ad agricoltori, territori e birrifici”, come ha spiegato Fancelli.
Luppolo italiano visto quindi come la nuova eccellenza del Made in Italy nel mondo, puntando a competere con i luppoli che fanno moda a livello internazionale. E questa crescita dell’agricoltura di qualità legata al luppolo parte dall’Umbria e in particolare dall’Altotevere, territorio ideale per trasformarsi anche in un grande distretto di produzione biologica di luppolo e puntare quindi anche al mercato mondiale.
I numeri in Umbria, considerando che le piante di luppolo vanno in piena produzione al terzo anno di impianto, vedono attualmente un 60-70% del target di produzione con oltre 3 ettari sperimentali e in gran parte biologici e distribuiti in diverse area del territorio regionale (Media valle umbra e Trasimeno) e non solo in Altotevere.
Oltre 500 gli auditori che si sono collegati con il convegno online, tra homebrewer, birrifici artigianali, nonché diversi manager delle multinazionali proprietarie dei marchi italiani, grandi players del mercato della birra e del mondo della produzione oltre ad aziende agricole, agronomi, e appassionati di birra.
Tra i principali relatori il sottosegretario del Mipaaf Giuseppe L’Abbate, il sottosegretario del Mise Gian Paolo Manzella, l’assessore regionale all’agricoltura Roberto Morroni, e Michele Cason, presidente di Assobirra, Andrea Soncini di UnionBirrai.
Per Fancelli si stanno unendo molte eccellenze attraverso la rete per avere “un progetto di ricerca con visione condivisa tra i produttori di luppolo italiano” ma occorre anche “arrivare ad un piano nazionale di settore per sostenere la filiera per essere competitivi”.
Vede con questa filiera “enormi potenzialità” e “alte opportunità” per il settore agricolo il sottosegretario del Ministero dell’agricoltura Giuseppe L’Abbate che ha poi ricordato l’istituzione di un tavolo ministeriale e “l’importanza strategica” della filiera anche per territori marginali e riconversioni.
L’On. Filippo Gallinella, presidente della Commissione Agricoltura della Camera, nel ricordare i “passi da gigante” fatti con il progetto ‘Luppolo Made in Italy’ ha successivamente detto che sarà messa attenzione per disporre fondi utili per sviluppare le filiere minori e in particolare anche questo settore.
Il Luppolo, come è stato ricordato, è quindi un prodotto agricolo di grande qualità, una nuova eccellenza nel panorama delle produzioni agricole del territorio nazionale e umbro. Ed il cuore umbro della filiera si propone quindi di rappresentare un punto di riferimento a livello nazionale, in termini di ricerca, produzione, trasformazione e commercializzazione.
Rete e filiera sostenute dalla Regione Umbria, grazie alla Misura sulla cooperazione e innovazione delle Reti di nuova costituzione del Piano di Sviluppo Rurale come ha ricordato l’assessore regionale Roberto Morroni: “Parliamo di un prodotto agricolo dal valore aggiunto elevato e in Umbria ci sono le fondamenta necessarie per gli sviluppi di questa filiera e dobbiamo abbracciare con convinzione questa prospettiva”.
Il sostegno delle istituzioni locali è stato ribadito anche nell’intervento del Consigliere regionale Valerio Mancini, il presidente della II Commissione permanente dell’Assemblea legislativa dell’Umbria, che intende proporre nuovi strumenti di sostegno alle Filiere innovative anche a livello regionale.
Come è stato poi sottolineato, la presenza del professor Giuseppe Perretti, direttore del CERB – Centro di eccellenza di ricerca sulla birra dell’Università di Perugia come coordinatore scientifico del progetto Luppolo Made in Italy conferisce autorevolezza alla compagine umbra.
A dare così solidità scientifica al progetto ci sono infatti sia il CERB, che coordina quindi le attività di ricerca e innovazione, sia il CNR IBBR, un istituto specializzato nella genetica che è riuscito a recuperare solo nel territorio umbro ben 40 ecotipi di luppolo autoctoni.
Su queste basi ‘Luppolo Made in Italy’ sta lavorando per la creazione di nuove varietà a base genetica italiana per un prodotto di eccellenza e di altissima qualità. Un progetto di ricerca in cui è centrale il tema dell’innovazione e della sostenibilità (economica, sociale e ambientale).
Perretti ha definito l’appuntamento organizzato dalla Rete “Luppolo Made in Italy” come una “tappa miliare di quella che è la storia del luppolo italiano”. “Bisogna aspettare ancora qualche anno per festeggiare pienamente ma bisogna continuare ad investire su questi primi dati per dare prospettive” ha commentato Perretti, evidenziando poi il legame con la coltura del tabacco che “ha dato subito chiare evidenze e opportunità”.
Dentro questa nuova filiera c’è anche quella tabacchicola, vista l’affinità delle due colture soprattutto per il post raccolta. Una parola messa al centro è stata così anche “riconversione”, perché vengono utilizzate strutture e macchine usate per la trasformazione del tabacco.
“Possiamo dire – ha detto Fancelli a riguardo – che il forno da tabacco è uno strumento tecnico perfetto per l’essiccazione del luppolo. E oggi possiamo dire che in Altotevere abbiamo il più grande centro di essiccazione a sud della Baviera. Le possibilità di lavorazione e di essiccazione tecnica nel nostro territorio non hanno niente da invidiare già oggi senza nessuna integrazione e conversione alle migliori realtà della produzione di luppolo nel mondo come Nuova Zelanda, Slovenia, Germania e Stati Uniti”. Insomma, c’è a disposizione un grande vantaggio competitivo che va quindi sfruttato, anche in questi termini.
L’organizzazione di Filiera è quindi necessaria per competere in un mercato globale in costante espansione che vede emergere nuovi Paesi produttori e una costante innovazione del prodotto: connessione con il territorio e produzioni a chilometro zero garantiscono l’alta qualità del luppolo italiano. “Abbiamo guardato la filiera tedesca, slovena, americana e abbiamo capito anche i limiti di questa coltura e abbiamo riprogettato la filiera all’insegna della sostenibilità economica e ambientale” ha sottolineato ancora Fancelli per poi aggiungere: “Abbiamo potuto costruire una sperimentazione coraggiosa di una nuova coltura che porterà reddito ad agricoltori e imprese e un nuovo ingrediente di alta qualità per la produzione di birre artigianali di qualità che oggi sono il fiore all’occhiello e un vanto per la produzione brassicola italiana nel mondo. Il mercato della birra artigianale sta crescendo, gli stili di birra italiani sono di moda in tutto il mondo e c’è una grande domanda di luppolo, italiano e di grande qualità, da portare anche in ogni parte del mondo. Vogliamo dare così una grande spinta a tutto il movimento delle birre artigianali umbre e italiane”.
A livello mondiale, per il solo settore birrario, vengono prodotte ogni anno poco meno di 130.000 tonnellate di luppolo, a cui corrisponde una superficie coltivata di circa 60.000 ettari. A ricordare questi dati è stato Michele Cason, presidente di Assobirra, l’associazione nazionale dei birrai e dei maltatori: “Se vogliamo produrre tutta la birra italiana solo con il luppolo non è questa la strada. Bisogna puntare invece ad una varietà di luppolo che sia caratterizzante. È fondamentale seguire questa strada per non fare un buco nell’acqua e non sperperare risorse”.
Andrea Soncini di UnionBirrai, in rappresentanza di 380 microbirrifici italiani, ha poi affermato: “Visto che non pastorizzano la birra questi birrifici artigianali hanno un gran bisogno del luppolo. E da quando il luppolo è diventato determinante in tanti stili brassicoli i mastri birrari e i microbirrifici si stanno rivolgendo ai produttori di luppolo. Per questa ragione stiamo lavorando indirettamente sulla filiera del luppolo anche con progetti di leggi regionali. Ci devono essere accordi di filiera per legarsi ai territori”.
Il progetto “Luppolo Made in Italy” è articolato su tre opzioni di coltura: in campo convenzionale, biologico ma anche indoor. Relativamente a quest’ultimo tipo di produzione Alessio Saccoccio ha presentato la Start-up innovativa Idroluppolo che fa parte della Rete di imprese.
Un esempio “di come il pubblico può sostenere le start up” ha commentato il sottosegretario del MISE Gian Paolo Manzella. “Anche sul luppolo – ha poi aggiunto – vedo con piacere tornare le parole di politica industriale come rete di imprese, filiera, circolarità, territorio, export. Condensa quindi tanti elementi che oggi caratterizzano lo sviluppo economico anche italiano”.
Oltre alla produzione della birra sono molti altri i campi di applicazione del luppolo, come è stato infine ricordato: per la produzione di prodotti medicinali e cosmetici, di cooking e preparati alimentari, di floricoltura e vivaismo, per alimentazione animale e allevamento. Gli scarti, inoltre, hanno grandi potenzialità nel tessile, nel cordame e, in un’ottica circolare, anche nel settore delle bioenergie.
Per una differenziazione nell’utilizzo, legata alla salute e al benessere, con l’azienda Aboca (inserita quindi nella Rete di imprese) Luppolo Made in Italy sta lavorando su queste potenzialità del prodotto: “Prezioso è il contributo di Aboca – ha ricordato Fancelli – che sta operando, grazie al suo modello di certificazione B-corp, per fare della filiera italiana e umbra del luppolo anche un modello di innovazione e di sostenibilità reale”.
Nella lunga giornata di confronto sono intervenuti altri relatori: i sindaci di Città di Castello (Luciano Bacchetta) e San Giustino (Paolo Fratini); Luca Stalteri, responsabile agronomico LMI e produttore Biologico; Roberto Volpi del Gruppo Cooperativo Agricooper; Francesco Martella, presidente Ordine Agronomi dell’Umbria; Marcello Serafini, amministratore unico Parco3A; il consigliere regionale Michele Bettarelli; per il progetto basato in Emilia Romangna a cura di CLI Cooperativa Luppoli Italiani, la presidente Michela Nati, Fabrizio Fantini esperto di tracciabilità e per UniParma Tommaso Ganino; interventi anche di IHC Italian Hop’s Company con Eugenio Pellicciari, di AIAB con Vincenzo Vizioli, di Cia Umbria con il presidente Matteo Bartolini e di CGIL FLAI Umbria con Michele Greco.
“La prossima tappa – ha concluso Fancelli – sarà quella della presentazione della nuova veste di Luppolo Made in Italy che quindi andrà ad evolversi, costruendo una compagine più forte economicamente, produttivamente e in termini organizzativi”.