Numero 36/2018

5 Settembre 2018

La legislazione europea sul luppolo: quadro normativo di riferimento per i produttori italiani

La legislazione europea sul luppolo: quadro normativo di riferimento per i produttori italiani

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Le normative europee che regolano la produzione e la vendita del luppolo sono principalmente due: il Reg. CE. N. 1952/2005 DEL CONSIGLIO del 23 novembre 2005 relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore del luppolo e che abroga i regolamenti (CEE) n. 1696/71, (CEE) n. 1037/72, (CEE) n 879/73, (CEE) 1981/82 e il Reg. CE. N. 1850/2006 DELLA COMISSIONE del 14 dicembre 2006 relativo alla modalità della certificazione del luppolo e dei prodotti derivati dal luppolo (Gazzetta ufficiale dell’unione europea 2006). Le normative sopra indicate affrontano diverse tematiche. Tra le più importanti troviamo l’obbligo da parte dei paesi produttori di comunicare alla Commissione europea le zone del territorio nazionale ove si coltiva il luppolo, o genericamente indicare il proprio paese come paese produttore e l’obbligo d’indicare i centri sul territorio nazionale autorizzati ad effettuare la certificazione obbligatoria per la messa in commercio del luppolo.

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Questo è un punto focale della normativa in quanto l’Italia fino a poco tempo fa, per l’inadempienza nei punti sopra riportati, non poteva coltivare il luppolo con finalità di vendita del prodotto; dunque l’Italia si rifaceva all’art 1 comma 3, del Reg. 1850/2006, in cui vengono indicate delle situazioni che vengono escluse dal campo d’applicazione del regolamento medesimo; tra le eccezioni infatti si esentano dalla certificazione i birrifici che coltivano il luppolo per la propria lavorazione, limitandone la produzione al fabbisogno. La situazione attuale è cambiata grazie al Decreto del MIPAAF n°4281 del 20/07/2015 attraverso cui è stata identificata nella Direzione Generale delle politiche internazionali e dell’Unione europea (PIUE), l’Autorità di certificazione competente per l’Italia ai sensi del regolamento CE 1850/2006. E’ dunque grazie a questo decreto che oggi si può coltivare il luppolo in Italia e venderne il prodotto. Le normative europee (Reg. 1952/2005 e il Reg.1850/2006) inoltre affrontano il tema della certificazione del prodotto.

 

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Prima dell’immissione in commercio del prodotto, inteso come coni di luppolo freschi o secchi, anche tritati, macinati o in forma di pellets o luppolina, e prima di qualsiasi trasformazione (trasformati intesi come succhi ed estratti vegetali di luppolo), dev’essere effettuata una certificazione dei prodotti da parte organismi autorizzati appositamente designati dagli Stati Membri e prima del 31 Marzo dell’anno successivo al raccolto è necessaria la relazione della commissione al consiglio. Gli Stati membri, oltre a designare l’autorità di certificazione competente, hanno il ruolo di garantire una qualità minima, la tracciabilità del luppolo e dei prodotti derivati (Gazzetta ufficiale dell’unione europea 2006). E’ opportuno sottolineare che i certificati possono essere rilasciati soltanto per i prodotti che presentano caratteristiche qualitative minime. Occorre pertanto operare in modo che il luppolo in coni soddisfi requisiti minimi di commercializzazione fin dalla prima fase della commercializzazione (Allegato I del REG. N 1850/2006).

 

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Il certificato, inoltre, segue il luppolo ed i suoi derivati lungo tutta la filiera di produzione e di commercializzazione fino alla fase finale nel birrificio. Va osservato che il luppolo e i prodotti derivati dal luppolo possono essere importati o esportati solo se presentano caratteristiche qualitative almeno equivalenti a quelle fissate per il luppolo ed i prodotti derivati dal luppolo raccolti e lavorati nella Comunità, dato che questi ultimi sono oggetto di una procedura di certificazione. La garanzia di qualità del luppolo importato è fornita da un attestato di equivalenza rilasciato dai servizi abilitati dei paesi terzi. Inoltre ogni partita di luppolo presentata per la certificazione dev’essere accompagnata da una dichiarazione scritta firmata dal produttore e contenente i dati necessari per l’identificazione della partita (art 3 REG N 1850/2006), quali il nome e l’indirizzo del produttore, l’anno di raccolta, il nome della varietà, il luogo di produzione.

 

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Massimo Prandi
Info autore

Massimo Prandi

Un Albese cresciuto tra i tini di fermentazione di vino, birra e… non solo! Sono enologo e tecnologo alimentare, più per vocazione che per professione. Amo lavorare nelle cantine e nei birrifici, sperimentare nuove possibilità, insegnare (ad oggi sono docente al corso biennale “Mastro birraio” di Torino e docente di area tecnica presso l’IIS Umberto Primo – la celeberrima Scuola Enologica di Alba) e comunicare con passione e rigore scientifico tutto ciò che riguarda il mio lavoro. Grazie ad un po’ di gavetta e qualche delusione nella divulgazione sul web, ma soprattutto alla comune passione e dedizione di tanti amici che amano la birra, ho gettato le basi per far nascere e crescere questo portale. Non posso descrivere quante soddisfazioni mi dona! Ma non solo, sono impegnato nell’avvio di un birrificio agricolo con produzione delle materie prime (cereali e luppoli) e trasformazione completamente a filiera aziendale (maltazione compresa): presto ne sentirete parlare!