Numero 15/2019
12 Aprile 2019
Luppolo in Italia, interesse del XXI secolo? No, se ne scriveva già nel 1836!
Il luppolo rappresenta per l’Italia del 2020 una grande sfida nel campo agricolo: l’introduzione dei primi impianti professionali, la continua ricerca per la messa a punto dei sistemi colturali, gli studi varietali e l’avvio di un processo di meccanizzazione delle fasi in campo e di trasformazione sembrano creare tutte le basi per la costituzione di una vera e propria filiera radicata e capace di sviluppo nel lungo periodo.
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L’interesse da parte degli italiani per l’essenza non è però nuova, anzi, sembra affondare le sue radici molto lontano nella storia, almeno di un paio di secoli. Infatti, se di luppolo si trovano facilmente ed in ampio numero riscontri nei testi della farmacopea tradizionale e nei tomi di tecnologia industriale delle bevande, sono rarissime le trattazioni in merito alla coltivazione.
Molto interessante tra queste un piccolo volume risalente al 1836, edito da Giovanni Silvestri, realizzato in forma di traduzione rivisitata ed integrata di una precedente pubblicazione francese, commercializzata in Italia con il titolo di “Trattato sulla coltivazione e sugli usi del luppolo, col modo di conservarlo e di stimarne l’effettivo valore”.
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Apprestandosi alla lettura del libro salta subito agli occhi la storia del “Sig. Pietro Soresi, negoziante in Milano” che, durante i suoi viaggi nel continente europeo, notò come il luppolo fosse diligentemente coltivato all’estero e decise di sperimentarne l’impianto in un suo podere, confidando nell’adattabilità della pianta che già allora cresceva rigogliosa selvatica nelle aree marginali. Così come stupisce come già due secoli fa si ragionasse sull’opportunità ed il vantaggio di costituire una filiera di produzione per una pianta così pregiata ed utile in campo birrario.
Gli autori, dopo una attenta disamina della fisiologia e della botanica della pianta, mettono in luce importanti aspetti della composizione chimica dei coni, studiati accuratamente già a inizio Ottocento, quindi descrivono minuziosamente le tecniche di impianto e coltivazione, mettendo in luce le peculiarità agronomiche nei diversi areali europei.
Interessante notare come per la raccolta venga citata solo la forma manuale, quindi, saltano alla memoria le classiche immagini dei raccoglitori di luppolo rappresentati in molti quadri da artisti agresti.
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La parte finale del libro è dedicato al confronto varietale di alcune cultivar francesi: non stupisce che il testo si soffermi solo su queste, senza citare ben più pregiate e diffuse selezioni tedesche o inglesi, in quanto il libro nasce in Francia per un pubblico prettamente locale.
Interessantissimo, infine, per la storia birraria d’Italia la citazione della “fabbricazione della birra color d’ambra” da parte della Fabbrica Tarel di Milano, considerata una vera e propria rarità e bevanda di altissimo pregio.
Fatte queste premesse, non resta che consultare personalmente il testo, grazie alla funzione Books di Google al seguente LINK.