Numero 28/2019
9 Luglio 2019
La dura legge della birra
Ci son voluti quasi vent’anni, ma alla fine anche il legislatore nostrano ha preso atto che esiste in Italia un settore – peraltro fiorente – birrario artigianale composto da centinaia di operatori distribuiti su tutto il territorio nazionale, settore che all’attuale raggiunto stadio di piena maturità necessita – come tutti i comparti economici complessi e strutturati – di regole ad hoc oltre che il più possibile precise e condivise, innanzitutto ai fini della tutela delle stesse realtà imprenditoriali operanti sul mercato.
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Così un primo, storico passo è stato fatto con la Legge n.154 del 2016 che, modificando la risalente Legge n.1354 del 1962, ha introdotto nel nostro ordinamento una definizione giuridica di “birra artigianale”. Pur senza entrare approfonditamente nel merito del dettato normativo in questione – foriero di diverse luci ma pure di qualche ombra – è innegabile la rilevanza giuridica e politica del riconoscimento normativo di un prodotto che fino ad oggi, pur risultando nel suo piccolo vincente e trainante l’economia, era abbandonato alla mercé dei meri usi commerciali. Insomma, l’intervento legislativo segna la presa d’atto della rilevanza anche in termini numerici degli “artigiani” della birra, da tenere finalmente distinti dall’industria del settore che in comune con i piccoli produttori ha spesso molto meno di quanto si possa immaginare.
Da pochi giorni, poi, è arrivato il tanto atteso e sospirato momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.M. 4 giugno 2019, agli annali quale “Decreto accise” che, raccogliendo le istanze “dal basso” provenienti dai piccoli produttori artigianali e indipendenti, ha posto in essere un’operazione politico-economica più unica che rara nel nostro Paese: la riduzione (e del 40%!) di un tributo.
Pur non esente da qualche critica (il limite di produzione per i beneficiari è infatti ben al di sotto di quello previsto per lo status di produttore di “birra artigianale”) l’agognata riduzione delle accise servirà più che a far calare i prezzi al dettaglio del prodotto finito, a dare realisticamente maggiori spazi di manovra in termini di liquidità ai birrifici beneficiari, il che auspicabilmente potrebbe tradursi in nuovi investimenti, nuove assunzioni e consolidamento delle strutture imprenditoriali già esistenti. Insomma, con una buona dose di ottimismo, il decreto di cui sopra potrebbe tradursi in maggiore indotto, maggiore competitività anche nei confronti della concorrenza straniera e, perché no, anche in maggiore qualità media delle produzioni nostrane.
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Per completare la fisionomia del nascente “diritto birrario” è notizia freschissima quella concernete la standardizzazione di un nuovo (ma tutto sommato sistematicamente ben consolidato nel nostro ordinamento) concetto di “birra agricola”. La nascita del Consorzio Birra Italiana in seno alla Coldiretti – pur tecnicamente configurandosi come mero strumento regolatore privatistico applicabile ai soli consorziati – segna un’ulteriore evoluzione nel panorama brassicolo italiano, uno step da realizzarsi attraverso il perseguimento dell’ambizioso scopo di creare una vera e propria filiera tutta (o quasi) made in Italy, a partire dai campi di produzione delle materie prime. In questo caso la scommessa è di quelle complesse, perché se da un lato i birrai artigiani italiani stanno dando ottime prove delle proprie capacità in fatto di produzione di birra, altrettanto non può (ancora) dirsi per quanto concerne le abilità degli operatori del Belpaese in fase di produzione delle materie prime, soprattutto per quelle che necessitano oltre che della mera produzione agricola, anche di successivi, delicati e laboriosi procedimenti di trasformazione, come ad esempio accade per il malto di cereali. Insomma, la strada da questo punto di vista è fin qui solo tracciata, occorrerà adesso raccogliere la sfida e dimostrare di essere in grado di competere con chi in questo settore produttivo è presente pressoché da secoli ed ha nel frattempo raggiunto livelli qualitativi d’eccellenza oltre che dominanti posizioni nel mercato di riferimento.
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Tirando le somme, dunque, può certamente dirsi che la birra ed i birrifici artigianali hanno con fatica ma con altrettanta soddisfazione guadagnato il posto che meritano nell’economia, nella politica e finalmente anche nel diritto italiano. Il rovescio della medaglia è che occorrerà, da parte degli operatori del settore, fare sempre più attenzione alle insidie nascoste nel mare della burocrazia: più regole significa anche più rischio di violazione delle stesse e la ben nota ipertrofia normativa italiana da questo punto di vista rischia di far sorgere più di una preoccupazione ai birrai nostrani. A tal proposito ed a titolo esemplificativo, il pensiero corre già alle imminenti circolari delle Agenzie delle Dogane territorialmente competenti, chiamate a dare indicazioni attuative di ordine tecnico-pratico al decreto che ha disposto la riduzione delle accise.
Insomma, la legislazione, il diritto, sono entrati a pieno titolo nel mondo storicamente poco formale della birra e, se da un lato a questo mondo hanno conferito una dignità ed una rilevanza ancora maggiore rispetto al passato, dall’altro impongono agli operatori attenzioni sempre maggiori e la necessità di integrazione nel proprio lavoro con figure professionali altrettanto specializzate e più avvezze alle problematiche di ordine giuridico-burocratico. Perché fare birra è magia, passione, profondo trasporto, ma anche e soprattutto dura e pura attività d’impresa e, in quanto tale, per nulla incline a scelte e gestioni poco ponderate ed in ogni caso sottoposta al ben noto brocardo latino per cui “ignorantia legis non excusat”, da affiggere ormai a caratteri cubitali in sala cottura.