22 Gennaio 2016

La proposta al Parlamento dei birrifici marchigiani sulla definizione di “Birra artigianale”

La proposta al Parlamento dei birrifici marchigiani sulla definizione di “Birra artigianale”

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“La birra artigianale non esiste”: non è un aforisma o un eufemismo, ma è la triste ed  annosa questione che attanaglia la definizione delle birre prodotte dai birrifici artigianali italiani. Infatti, come già dettagliato in un precedente articolo, se la normativa del nostro Paese accetta l’appellativo di “artigianale” per una brasseria, lo stesso non è ufficialmente riconosciuto per i prodotti fabbricati dalle medesime aziende artigiane.  Ovviamente il comparto produttivo da tempo si è mosso per mettere ordine ragionevole al contesto normativo, ed è notizia di questi giorni il deposito di una nuova mozione a Montecitorio, nella speranza che la politica prenda decisioni risolutive delle attuali incoerenze. A firmarla è Giuseppe Collesi, presidente della Fabbrica della Birra Tenute Collesi e portavoce della delegazione marchigiana che già il 13 gennaio aveva incontrato a Roma la Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, con i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Città della Birra e del Comune di Apecchio oltre ad altri importanti produttori italiani, ricercatori universitari e operatori del settore.

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Collesi ha contribuito a stendere e depositare un documento di sintesi con i punti chiave della proposta rivolta al Parlamento, dove è in atto la discussione sul Disegno di Legge C. 3119 (già approvato in Senato) che prevede disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione, competitività di settori importanti per l’economia italiana come l’agricolo e l’agroalimentare. Il nodo centrale della proposta è uno: la definizione di “birra artigianale” deve diventare un brand sinonimo di qualità, in virtù non solo delle materie prime ma anche, e soprattutto, del metodo di lavorazione.  Di conseguenza, per essere denominato artigianale, il processo produttivo deve escludere la pastorizzazione e la microfiltrazione, che inevitabilmente alterano il prodotto, impoverendolo delle sue proprietà organolettiche e nutrizionali. Il fattore umano, nell’artigianalità, è essenziale nell’argomentazione che sottende alla proposta. Qui si gioca la vera, e giusta, differenza con le birre industriali, dove si attua una produzione massiva che si avvale proprio della pastorizzazione e della microfiltrazione.

Un’altra questione di grande importanza è l’indicazione sull’etichetta. La petizione al Parlamento evidenzia come sia necessario  superare le disposizioni della Legge quadro 443/1985 per l’artigianato, che si limita a definire l’impresa artigiana secondo il criterio della dimensioni, trascurando appunto fattori essenziali come qualità degli ingredienti e metodi di lavorazione.  Si tratta, infatti, di una distorsione normativa che crea confusione e penalizza fortemente le aziende, anche d’eccellenza, quando non genera addirittura folli contraddizioni. Perché, ad esempio, le categorie attribuibili ai sensi della Legge n° 1354 del 1962, modificata dal successivo DPR n. 272/1998, alla birra sarebbero soltanto cinque, a seconda del grado plato (birra, birra analcolica, birra leggera o light, birra doppio malto e birra speciale? Secondo quale principio, per contro, la legislazione non prevede valore giuridico per altre denominazioni commercialmente assai diffuse come “Lager”, “Ale” o “Stout”, che per il consumatore sono molto importanti ai fini della definizione delle caratteristiche della bevanda e nella scelta di acquisto?

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Infine, nel documento vengono poste le basi per un nuovo approccio verso la provenienza degli ingredienti primari. Nella proposta dei birrifici marchigiani si ribadisce come non si debba subordinare l’artigianalità della birra all’italianità di tutte le materie prime, con particolare riferimento al luppolo, per il quale, anche se stanno avviandosi le prime produzioni in Italia, è improbabile che si verifichi il raggiungimento di una capacità produttiva locale sufficiente a soddisfare le esigenze nazionali nel breve-medio periodo.

Non resta che attendere gli sviluppi della vicenda e sperare che, le mozioni e le petizioni di molti diversi soggetti a livello nazionale, inducano la politica ad affrontare in modo organico le lacune e le contraddizioni dell’attuale normativa, rendendo più moderne e confacenti alle esigenze dei produttori e dei consumatori  le leggi che regolano ad oggi il settore brassicolo.

 

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Massimo Prandi
Info autore

Massimo Prandi

Un Albese cresciuto tra i tini di fermentazione di vino, birra e… non solo! Sono enologo e tecnologo alimentare, più per vocazione che per professione. Amo lavorare nelle cantine e nei birrifici, sperimentare nuove possibilità, insegnare (ad oggi sono docente al corso biennale “Mastro birraio” di Torino e docente di area tecnica presso l’IIS Umberto Primo – la celeberrima Scuola Enologica di Alba) e comunicare con passione e rigore scientifico tutto ciò che riguarda il mio lavoro. Grazie ad un po’ di gavetta e qualche delusione nella divulgazione sul web, ma soprattutto alla comune passione e dedizione di tanti amici che amano la birra, ho gettato le basi per far nascere e crescere questo portale. Non posso descrivere quante soddisfazioni mi dona! Ma non solo, sono impegnato nell’avvio di un birrificio agricolo con produzione delle materie prime (cereali e luppoli) e trasformazione completamente a filiera aziendale (maltazione compresa): presto ne sentirete parlare!