Numero 33/2020
10 Agosto 2020
Casamatta: una bella storia birraria dalle Valle del Carnia!
Un giovane che, lasciata la carriera di calciatore professionista, torna in Carnia per lanciare il suo progetto imprenditoriale: è così che nel 2017 è nato il birrificio artigianale Casamatta, quando il trentenne Andrea Menegon ha avviato a Enemonzo (Udine) il suo impianto da 5hl.
Andrea arriva da un percorso diverso rispetto alla maggior parte degli altri birrai: aveva intrapreso infatti la carriera di calciatore professionista, e a far birra non ci pensava proprio. Almeno fino a che, complici una serie di circostanze su cui non mi soffermo, non si è trovato a rispondere di sì ad un noto brewpub di Udine che cercava manovalanza per la produzione di birra: lì, volendo usare le parole sue, “mi si è aperto un mondo”, e si è “messo alla scuola” del mastro birraio. Dopo un passaggio in una grossa azienda del settore e un corso di formazione all’Istituto Cerletti di Conegliano (Treviso), ha così deciso di appendere al chiodo le scarpe da calcio; e tornare appunto a Enemonzo, suo paese d’origine, dove si era concretizzata la possibilità di utilizzare la vecchia casa di famiglia per avviare il suo birrificio. Nel 2017 è partita così la produzione, e il nostro ha da poco festeggiato la duecentesima cotta.
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Arrivando da Casamatta, la sensazione che si ha è in effetti quella di entrare in una delle tante case di montagna, con tanto di terrazzini in legno e gerani ai balconi: salvo poi trovarvi dentro una piccola tap room, la sala cotta, sei serbatoi da 5hl (ne è in arrivo uno nuovo da 20, oltre a due maturatori), e il magazzino in un vicino stavolo. Insomma, fa atmosfera, non c’è che dire.
Sono quattro le ricette fisse e quattro le stagionali (ispirate ai prodotti che il territorio offre nel corso dell’anno), tutte in ossequio al principio di Andrea secondo cui “la birra per me è semplicità” – pur senza rinunciare ad un tocco di personalizzazione, mi permetto di aggiungere. La prima che ho assaggiato è stata la Slip, Pils ceca la cui ricetta è dono del mastro birraio che l’ha formato (non a caso noto proprio per le birre di ispirazione ceca): e in effetti fa onore alla definizione, con la classica fragranza piena di pane appena sfornato in bocca, e l’eleganza della luppolatura con Saaz, Perle e Premiant; risultando al contempo meno “grezza” di certe Pils ceche (anche i classici dimetilsolfuro e diacetile, citati in pressoché tutti i manuali come difetti viceversa accettabili in quantità contenute nelle birre ceche, qui sono sostanzialmente non percepibili).
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Siamo poi passati alla Siesta, la stagionale estiva (come il nome stesso lascia supporre), aromatizzata con 800g a cotta di fiori di camomilla e una melassa di fiori di tarassaco (fiore che cresce in maggio-giugno da queste parti). Devo ammettere che l’aroma mi ha fatto inizialmente temere una tisana, dato che la camomilla (per la quale personalmente non stravedo) è parecchio evidente; in bocca però si conferma essere una birra e mantiene un buon equilibrio tra la componente snella di cereale e quella erbacea, per chiudere sulla dolcezza del tarassaco – che però lungi dall’essere zuccherinamente stucchevole, rimane fresca.
Quindi la Florian, una sorta di “sui generis” di cui Andrea dice che “o la si ama o la si odia”, ossia un’ambrata di ispirazione ceca a cui vengono aggiunti a fine bollitura bucce d’arancia e semi di cardamomo. Anche se sulla carta farebbe presupporre un risultato estremamente “vivace”, in realtà l’aroma, pur ben evidente, risulta di una speziatura elegante, con le due componenti ben armonizzate; in bocca rimane scorrevole nonostante i toni di caramello, per chiudere di nuovo sullo speziato, lasciando il luppolo – Saphir in questo caso – in secondo piano.
Cambiando del tutto genere, ho provato la ipa Tipa: il dryhopping con Chinook, pur ben percepibile, rimane nei ranghi della moderazione, mentre il corpo tostato, ma comunque snello, lascia poi il posto ad un taglio amaro e secco che si evidenzia ancor più nella discreta persistenza.
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A casa ho poi degustato l’ultima fissa è la Double Fradi – una Belgian Ale ambrata che, pur rimanendo in stile, presenta in modo meno evidente dello standard i tipici aromi spezzati e fruttati del lievito, in favore piuttosto di un tocco di luppolo che risalta più in amaro, conferendo una secchezza relativamente elevata per il genere – e la stagionale primaverile, la Regalia. Interessante quest’ultima per l’utilizzo della salvia sclarea (un fiore di montagna) essiccata che, se all’aroma può far pensare semplicemente all’ennesima trovata in quanto a nuovi luppoli, risalta in tutta la sua forza erbacea e balsamica sul finale, a mo’ di gruit, lasciando anche una notevole persistenza amara. Per quanto anche questa possa ricadere nella categoria “o la ami o la odi”, l’aromatizzazione rimane comunque nei limiti di un equilibrio complessivo, e risulta quindi accessibile anche a chi non dovesse essere proprio un patito dell’amaro. Per la cronaca, le altre stagionali sono l’autunnale San Bortul, un’affumicata con carrube, e l’invernale Ciaspola, con fichi e fave di cacao.
Nel complesso, tutte birre tecnicamente ben fatte che, pur dando l’idea di una semplicità complessiva e mantenendo l’equilibrio d’insieme, non rinunciano ad un pizzico di originalità. Da segnalare anche il fatto che Andrea ha riferito che, durante il lockdown, è riuscito a compensare molto bene con la consegna a domicilio le mancate vendite in tap room e nei locali (per il 70-80%, a suo dire): un segnale interessante di come, almeno in un contesto di clientela affezionata e su raggio breve o relativamente breve, questa modalità possa essere valida.