Numero 01/2018
2 Gennaio 2018
A lezione con l’ONAB: il luppolo
Tag: impiego
Concludiamo la nostra lunga lezione sulle materie prime, curata dalla dottoressa Paola Migliorini, andando a conoscere più nello specifico l’ultimo ingrediente chiave utile alla produzione di una buona birra: il luppolo.
Fin dalle prime creazioni birrarie, c’era necessità da parte dei produttori di inserire sostanze amaricanti all’interno della ricetta, per bilanciare al meglio il forte sapore dolce dovuto ai residui zuccherini. Nel Medioevo, in particolare, si ricorreva ad una miscela di erbe e spezie chiamata gruit, composta da salvia, mirto, rosmarino, assenzio, limone, pepe, ed altri prodotti).
L’introduzione del luppolo, come contrasto alla forte dolcezza delle birre, fu merito di una monaca dell’abbazia tedesca di Rupertsberg, di nome Hildegard von Bingen, che durante i suoi studi naturali del XII secolo ebbe modo di scoprire le proprietà amarotiche e conservative di questa particolare pianta, raccomandandone l’uso nelle bevande per evitarne la putrefazione.
Da quel momento, il luppolo divenne a pieno diritto ingrediente fondamentale per la birra; scopriamone le caratteristiche principali.
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Il luppolo è una pianta rampicante perenne e dioica (ovvero, le parti riproduttive maschili e quelle femminili non si trovano presenti sulla stessa pianta, ma in due distinte) e fa parte della famiglia delle Cannabaceae, esattamente come la cannabis. Anche se ormai è molto comune vedere immense distese di coltivazioni intensive, soprattutto nell’Europa Centrale e Orientale, il luppolo è originariamente una pianta spontanea che cresce nelle zone temperate dell’emisfero boreale, sia in Europa, che in Asia e nell’America del Nord. Si adatta facilmente a varie condizioni di terreno e temperatura ed ha una resa molto alta: si calcola che per ogni pianta si possano ricavare da 1 a 5 kg di luppolo fresco.
Per la produzione birraria, vengono esclusivamente prese in considerazione le piante femminili: solo queste infatti fioriscono, generando i classici fiori a forma di cono a cui verranno tolti i semi al momento dell’utilizzazione in birrificio. Le piante maschili vengono usate solamente per impollinare quelle femminili e non hanno alcun valore commerciale.
La raccolta del luppolo avviene tra agosto e settembre, e deve essere subito essiccato ad una temperatura massima di 50°C in forni o essiccatoi appositi per ridurne al minimo l’umidità. Viene poi compresso in balle da 65 kg e refrigerato, ma deve comunque essere utilizzato in tempi molto brevi, poiché a causa dell’ossigeno, dell’umidità, della luce e del calore risulta molto difficile che possa conservarsi a lungo.
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Tendenzialmente, il luppolo viene classificato in due tipi principali: amaricante e aromatico. I luppoli amaricanti sono quelli che danno alla birra il caratteristico sapore amaro e vengono definiti “nobili”, mentre gli aromatici sono i responsabili delle diverse gamme aromatiche presenti nelle birre, e non rilasciano sapore amaro.
Il luppolo contiene resine e oli atti a dare il caratteristico sapore amaro della birra, ne esaltano le proprietà aromatiche, ed hanno una funzione di protezione dai microrganismi e di stabilizzazione della schiuma.
Le resine sono composte da due acidi principali: gli acidi alfa, responsabili del gusto amaro della birra, e gli acidi beta che non incidono sul gusto della birra, ma intervengono solo sui profumi e vengono generalmente aggiunti solo alla fine della bollitura per generare aromi più intensi.
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Gli oli del luppolo evaporano durante la bollitura, ma contribuiscono ugualmente alla determinazione dell’aroma.
Altri due componenti chiave del luppolo sono i tannini e i polifenoli, che costituiscono una minima parte del luppolo stesso, ma hanno comunque importanti proprietà anti ossidanti e di determinazione del colore e del sapore della birra.
Si conclude qui il lungo percorso alla scoperta delle materie prime di cui si compone la birra, e che non possono mai mancare.
Ringraziamo ancora una volta la Dottoressa Paola Migliorini per la preziosa collaborazione.