Numero 49/2017
4 Dicembre 2017
A lezione con l’ONAB: il malto d’orzo – Parte 2
Nel precedente articolo abbiamo cominciato ad affrontare la lezione riguardante le materie prime che compongono la birra, avvalendoci della lezione proposta per l’ONAB dalla dottoressa Paola Migliorini, docente presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, soffermandoci in particolare sull’acqua e i lieviti.
Oggi affrontiamo la lunga parte riguardante il terzo ingrediente essenziale per la riuscita di una buona birra, ovvero il malto d’orzo.
La birra, come vedremo anche in seguito, può in realtà essere prodotta utilizzando qualunque tipo di cereale: l’importante è che esso venga preparato di modo che i suoi zuccheri diventino fermentabili. Per la quasi totalità dei cereali, basta una semplice cottura; per l’orzo invece, che è il cereale in assoluto più utilizzato nel mondo occidentale per la produzione di birra, e di cui parleremo più approfonditamente oggi, è necessario che avvenga il processo di maltazione.
L’orzo
Cereale molto diffuso a livello mondiale, l’orzo si classifica al quarto posto in quanto a produzione globale. Molto utilizzato per l’alimentazione animale, è allo stesso modo sfruttato per la produzione di granella e di malto. Le sue origini vanno ricercate alla notte dei tempi: molto probabilmente è nato nei territori della Mezzaluna Fertile ed è sicuramente stato tra le prime piante coltivate in assoluto dagli uomini primitivi.
Ne esistono diversi tipi, suddivisi ad esempio per periodo dell’anno in cui vengono coltivati (primaverili e autunnali) o per numero di file di cariossidi (volgarmente definiti chicchi)di cui sono composte le spighe (tetrastiche, esastiche, distiche, polistiche).
Per il processo di maltazione, in particolare, vengono sempre scelti tipi di orzo detti “vestiti”, ovvero i cui chicchi non si staccano dalla spiga al momento della trebbiatura.
Per la produzione di birra ale si preferisce l’orzo distico, ovvero composto da due file di cariossidi, poiché i chicchi risultano più grossi e hanno la buccia fine, e contengono molti polifenoli e sostanze amare. La stessa varietà distica, ma delle semine primaverili, viene preferita per la produzione di birre in stile tedesco.
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Con le birre lager, invece, è preferibile utilizzare, oltre al mais e al riso, gli orzi polistici, le cui spighe sono composte da più file di cariossidi. I chicchi di questi tipi sono più irregolari e curvi, e risultano ricchi di proteine.
Gli orzi distici e polistici risultano in generale i più utilizzati al mondo per quanto riguarda la maltazione, tanto che l’EuropeanBrewery Convention (ovvero l’ente che si occupa delle tecniche e delle scienze birrarie in Europa), ha classificato ben 300 varietà di orzo da malto, di cui 100 distici a semina autunnale, 100 distici a semina primaverile e 100 polistici a semina autunnale.
L’orzo è un cereale molto comune poiché si adatta facilmente a diverse condizioni ambientali e anche l’elevata resa di questo prodotto è una caratteristica importante nella scelta di preferirlo ad altri cereali nel processo produttivo della birra.
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La maltazione
Affinchè l’orzo possa risultare utile per la produzione della birra, è necessario che venga trasformato in malto.
Le tappe principali di questo processo sono:
- La pulizia e la calibratura (selezione) del cereale
- Inizia la maltatura: il cereale viene immerso in acqua e ossigenato con immissione forzata di aria per un periodo che va dalle 50 alle 80 ore
- L’orzo germina nel giro di 5/7 giorni; l’amido presente nei chicchi si trasforma in zuccheri
- I chicchi (ovvero le cariossidi) vengono essiccati a temperature diverse in base al malto richiesto: 80°C per i malti chiari, 105°C per i malti scuri e 180°C per i malti colorati
- Le cariossidi vengono ripulite dal germoglio e messe nei sacchi pronte per essere vendute come malto.
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Obiettivo primario della maltazione è quello che porta l’amido complesso presente all’interno dei vari chicchi a subire un processo di trasformazione in una serie di amidi solubili, oltre che a semplificare la struttura delle proteine, di modo tale che sia le stesse proteine che gli amidi arrivino a ridursi in componenti tali da rendere possibile l’ammostamento.
Nel prossimo articolo concluderemo il nostro piccolo excursus alla scoperta delle materie prime della birra parlandovi dei luppoli, altro argomento di ampio contenuto che merita uno spazio a sé.