5 Novembre 2014
La polemica dei beer firm
Negli ultimi tempi il movimento birrario internazionale è preso dalle polemiche che riguardano i beer firm o gypsy brewery che dir si voglia. Per prima cosa cerchiamo di capire che cos’è un beer firm. Un gypsy brewery non è altro che un soggetto che affitta un impianto di un birrificio per produrre le sue birre e successivamente per immetterle sul mercato. Possono esistere varie forme di beer firm: c’è l’homebrewer che vuol provare ad entrare nel giro che conta, ma non ha le giuste risorse economiche per acquistare un impianto, e si rivolge ad un birrificio per produrre le proprie birre, oppure c’è chi, vista la moda della birra artigianale, decide di entrare in commercio e si affida ad un mastro birraio che possiede un impianto per fargli produrre birre senza nemmeno chiedersi quali stili brassare ne tantomeno senza preoccuparsi della qualità delle materie prime utilizzate. Infine c’è la persona che ha una sua ricetta di birra e si affida ad un terzo, di norma un mastro birraio che possiede un impianto, per la produzione.
Il problema ha toccato il suo apice con la pubblicazione di una lettera sul quotidiano belga “Le soir” a firma di numerosi mastri birrai nella quale chiedevano di colmare il vuoto legislativo che permette a chiunque produca birra, anche senza avere un impianto di proprietà, di scrivere “birrificio” sui propri prodotti. I birrai, a difesa della loro professione, concludevano duramente la loro lettera dicendo che “…l’invio del messaggio che chiunque può fingere di essere un produttore di birra e mettere una birra sul mercato non è solo una truffa ai danni del consumatore, ma anche un insulto ai secoli di tradizione, cultura e conoscenza che noi rappresentiamo.”
Ovviamente anche in Italia la situazione normativa è la medesima e, anche Teo Musso di Baladin, in una nostra recente intervista, ha sollevato il medesimo problema e in proposito ha dichiarato “…penso che questo non sia sano e vista la natura dell’italiano e la confusione che c’è nei mercati, credo possa non essere analizzato con la dovuta attenzione e avvicinato ad un fenomeno di moda e quindi bisognerebbe essere il più corretti possibile.”
Dal mio personale punto di vista credo che questa mancanza di norme dovrebbe essere risolta da chi legifera al più presto, anche se ovviamente il periodo storico in cui viviamo ha ben altre necessità di primaria importanza. Detto questo dobbiamo però valutare anche i prodotti che beviamo e, se un prodotto è ben fatto e chi l’ha prodotto, per suo o per conto altri, ha seguito scrupolosamente la scelta delle materie prime e tutto il processo produttivo è giusto, a mio avviso, che non si tenga conto se sia stato prodotto da persone che possiedono o meno un impianto, ma si valuti esclusivamente la bontà della birra. Discorso a parte vale per coloro i quali la birra artigianale è un mero mezzo di lucro e delegano ogni tipo di aspetto, dalla scelta del tipo di birra da produrre alla scelta delle materie prime: queste aziende sono convinto avranno vita breve e devono essere considerate il minimo indispensabile.