Numero 43/2018
22 Ottobre 2018
L’intervista a (Antonio) GOLIA, il re del lievito Kveik
Qualche tempo fa, esattamente Ottobre dello scorso anno il nostro amico Luciano Galea intervistò Antonio Golia in veste di blogger di homebrewingcondor.
Ma questo poliedrico ragazzo a cui il concetto di staticità e noia evidentemente stanno stretti, ha pensato bene di allargare il suo interesse al mondo del lievito. Ma mica uno qualunque.
Andiamo a capire di cosa si tratta
Dal 2014 a oggi cosa è cambiato in Antonio Golia e nel suo modo di essere homebrewer?
In realtà non è cambiato nulla. Ho fortunatamente conservato quello stesso entusiasmo che mi ha portato alla scoperta di tantissime produzioni. Sono una persona che non si ferma mai, mi ritrovo continuamente dietro ad un’infinità di nuovi progetti, cosa non scontata dopo tutto questo tempo. Inoltre ho cercato di valorizzare al meglio la condivisione delle mie esperienze casalingo brassicole. Credo fortemente che alla base di questa passione debba esistere un sincero e reciproco confronto, dove anche una critica può essere l’inizio di un legame di fiducia. Personalmente ritengo che l’homebrewing non sia una gara ma il semplice piacere di condividere le proprie esperienze, giuste o sbagliate che siano.
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Fai molta ricerca, cosa ti spinge in questa direzione?
Sicuramente l’entusiasmo. Certo, proprio così. L’entusiasmo e la giusta curiosità mi stimolano verso nuove ricerche, sempre più approfondite. Cerco di non tralasciare nulla, dalla biologia alla stessa produzione della birra. Ho realizzato una cantina per le birre acide, un laboratorio casalingo dove mi occupo di lieviti e batteri, coltivo luppolo e mi occupo anche della maltazione dell’orzo. Tutto questo mentre sto per realizzare anche il mio Såinnhus (un piccolo edificio di tradizione norvegese per l’essiccazione dell’orzo, dove viene anche prodotta la birra). Come puoi capire, la ricerca è continua!
Il Sud Italia che si ispira al Nord Europa. Come mai?
Forse l’ispirazione trova le sue radici nella produzione di queste birre inusuali, realizzate con particolari infusi di ginepro, al posto dell’acqua, e bevute in semplici ciotole di legno (chiamate Kjenge, Ølbolle e Øløser, in base alla loro forma).
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Oggi sei il riferimento per i lieviti Kveik, racconta come è nata questa passione.
Questa passione risale ormai a diversi anni. Era un periodo dove cercavo di espandere la mia conoscenza birraria, soprattutto con un occhio al passato. Iniziai la produzione di alcuni stili ormai dimenticati mentre lo studio mi avvicinò alle birre della scandinavia. Un amore a prima vista, da quell’istante ho intensificato sempre più le mie conoscenze. In quello stesso periodo dalla Norvegia iniziò a farsi largo la parola kveik, sul blog di Lars Marius Garshol. La curiosità di conoscere queste colture miste tradizionali era troppa per accontentarmi dell’arrivo in italia dei ceppi isolati da queste colture. Inizio a scrivere in lungo e in largo, per la norvegia, tanto da disturbare anche lo stesso Lars Marius Garshol (nonostante le mie continue richieste è sempre disponibile e cortese, tanto da inviarmi anche il libro Gårdsøl – det norske ølet). Tutto questo mi ha portato a conoscere persone eccezionali, con alcuni di loro mi scrivo ogni giorno, e a reperire diversi kveik. Oggi faccio parte di alcuni ristretti gruppi tradizionali Norvegesi, dove con enorme piacere posso dire di sentirmi uno di loro.
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Entriamo un pò nel dettaglio…parlaci di questo lievito.
Kveik è una parola dialettale norvegese che significa “lievito”, più precisamente lievito di fattoria tradizionale norvegese. Sono colture miste utilizzate per generazioni, che si sono adattate al tempo e alle condizioni di ogni fattoria. Non si tratta di lieviti convenzionali, cresciuti in laboratorio. Sono lieviti presenti in Norvegia da almeno 400 anni, dove in passato erano l’unica forma di lievito disponibile su quel territorio. Nella birrificazione venivano utilizzati per fermentazioni molto alcoliche a temperature tra i 30 e 40 °C, mentre la birra veniva servita anche dopo solo due o tre giorni di fermentazione. Già dal 1600 i kveik venivano tranquillamente essiccati su tronchi di legno chiamati kveikstokker, per essere conservati.
Ultimamente è stato sequenziato l’intero genoma di 6 differenti kveik. Geneticamente formano il proprio gruppo di Saccharomyces cerevisiae. Una metà deriva da un precoce lievito “Beer 1” (“Beer 1” è un gruppo dei noti ceppi sequenziati dallo studio Gillons / White Labs, nel 2016) mentre l’altro è di origine selvaggia, hanno dunque uno sfondo ibrido.
Caratteristiche Generali
Fenolico: No
Tolleranza all’alcol: 13-16%
Attenuazione: 75-85%
Flocculazione: Eccellente
Conservazione: Essiccazione
Temperatura: Massima 43 ° C
Fermentazione: Veloce
Aroma: Frutta
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30-40° in Norvegia???
Proprio così, questi lieviti fermentano a temperature altissime, nonostante il freddo Norvegese. Basti pensare che dagli esami in laboratorio si è dimostrato che il kveik Voss Sigmund riesce a fermentare fino a 43 °C, una temperatura pazzesca se consideriamo i lieviti a noi più comuni. Nella produzione questo stesso kveik viene inoculato a 39 °C, dove il fermentatore viene rivestito per non disperdere calore. Lasciando agire l’energia emanata dal processo fermentativo, fino al termine della fermentazione, che può avvenire anche in soli due o tre giorni.
Se il lievito non viene realizzato in laboratorio non lo faranno mica in casa?
Certo, come detto queste colture sono semplicemente tramandate da padre in figlio, da amici e conoscenti. Conservati in forma liquida o essiccata. Tradizionalmente l’essiccazione avviene in una stanza areata in modo del tutto naturale ma per velocizzare i tempi oggi vengono utilizzati forni o essiccatori (tra i 30/35 °C).
Ma ci sei mai andato “al nord”, a vedere la coltivazione?
No, in realtà questa esperienza mi manca. Spero di riuscire in tempi brevi a soddisfare anche questa mia mancanza.
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Coltivi il kveik e lo metti a disposizione di altri?
Diciamo che mi sarebbe piaciuto regalare la possibilità a tutti di utilizzare queste straordinarie colture ma non ci si potrebbe stare dietro. Anche se quando ho a disposizione più kveik lo regalo molto volentieri.
Ma questa tua passione è tutta farina del tuo sacco o hai avuto un mentore qualcuno a cui ti sei ispirato qualcuno che è il tuo tuo riferimento?
No, diciamo che è tutta farina del mio sacco con piccole contaminazioni esterne. Infatti non mi occupo solo di birre strettamente norvegesi ma ho altri mille progetti. Cerco l’ispirazione in più persone, su tutti Paolo Erne e lo stesso Lars Marius Garshol. Pensa che ultimamente, oltre alle botti di legno, ho in cantina anche delle fermentazioni sour in anfore di terracotta. In poche parole non mi faccio mancare nulla.
Oltre a te quanti sanno del lievito kveik? Esiste del materiale didattico? Esistono dei libri?
Oggi i kveik iniziano ad essere utilizzati anche in italia, anche per questo non credo di essere il solo ad avere una conoscenza diretta. L’unico materiale didattico cartaceo è il libro di Gårdsøl – det norske ølet, di Lars Marius Garshol, in lingua norvegese. L’alternativa è online, dove si può consultare Larsblog o più semplicemente il lingua italiana il mio blog (Homebrewing Condor).
Progetti futuri?
Sono quelli di continuare la produzione di stili norvegesi, come il Stjørdalsøl, Telemark e Hardangerøl, senza rinunciare ad incrementare la mia produzione di birre Spontaneum, la fermentazione spontanea al di fuori del Belgio.