Numero 09/2022

2 Marzo 2022

Reimpiego delle botti per la birra: criticità e vantaggi di una pratica dilagante!

Reimpiego delle botti per la birra: criticità e vantaggi di una pratica dilagante!

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L’utilizzo di botti nuove nel settore della birra è una pratica non comune in quanto, oltre all’incidenza sul costo di produzione, vi è il rischio di acquisizione di caratteristiche sensoriali troppo spiccate dal legno. Questo spiega perché nella maggior parte dei casi nel contesto brassicolo, i fusti sono reimpiegati per lunghissimi periodi rispetto ad altri settori del beverage, ovvero fino a quando non contribuiscono più significativamente ad arricchire il profilo organolettico dei successivi batch. Oltre alle note sensoriali conferite dall’essenza, la birra può avvantaggiarsi di peculiarità della bevanda che in precedenza ha sostato nella botte, arricchendosi di nuovi aromi, anche non tipici della brassatura.

La pratica del riuso presenta delle criticità non sottovalutabili. Il principale aspetto negativo è la potenziale contaminazione microbica che può intaccare, anche gravemente, la qualità organolettica, la salubrità e la stabilità della birra. In particolare, bisogna considerare che il legno rappresenta un habitat idoneo per lo sviluppo e la sopravvivenza di numerosi funghi e batteri, che possono permanere in vita per periodi temporali molto lunghi, anche in forme quiescenti o di resistenza. Come dimostrato dalla bibliografia, le superfici interne dei fusti, nonostante l’applicazione di accurati protocolli di pulizia e sanificazione, sono spesso ricche di carica microbica, sia in superficie, sia nelle zone più profonde, specialmente nelle giunzioni tra doghe, crepe e fessurazioni.  È stato rilevato che durante la maturazione di fermentati, alcuni microrganismi possono approfondirsi anche fino a 1,2 cm nel legno, rendendo ostiche le fasi di sanificazione e permettendo la contaminazione dei successivi batch in lavorazione.  La pericolosità di questi contaminanti è accresciuta nelle bevande a basso tenore alcolico ed a pH relativamente alto, come in particolar modo la birra, in cui il loro sviluppo può risultare rapido a seguito del riempimento del contenitore con un nuovo lotto da affinare.

 

 

I lieviti del genere Brettanomyces sono tra i più importanti microrganismi indesiderati che possono sopravvivere e proliferare all’interno delle botti di legno, nonostante siano riconosciuti come componenti indispensabili del microbiota di birre in stile lambic e sour. Diverse specie di Brettanomyces sono responsabili di produzione di alte quantità di acido acetico in condizioni aerobie, le quali si verificano a seguito del trasferimento della bevanda nel fusto, nonché di acido isovalerico, acetiltetraidropiridina, 2-etiltetraidropiridina, 4-etilfenolo e 4-etilguaiacolo, che possono impattare negativamente e severamente i profumi ed il  sapore della birra con note che, in funzione della loro concentrazione, sono assimilabili ad aceto, fenolico, cuoio, animale, stalla, fumo.

Altri microrganismi individuati dalla bibliografia come colonizzatori preferenziali del legno sono Acetobacter e Gluconobacter. Questi batteri acetici possono alterare la birra attraverso l’ossidazione dell’etanolo ad acido acetico, producendo acidità dura e conferendo tipici sentori aromatici di spunto acetico.

I batteri lattici producono alti tenori di acido lattico e presentano elevata tolleranza al tenore alcolico ed al luppolo, pertanto possono prosperare facilmente durante l’invecchiamento in botte risultando responsabili dell’alterazione grave delle birre. Tra questi microrganismi spiccano i generi Lactobacillus e Pediococcus, che sono individuati  da vari ricercatori come i principali contaminanti anche in post-confezionamento. Le specie di  Pediococcus sono note per causare, inoltre,  il “filante”, ovvero un difetto temporaneo dovuto alla produzione di esopolisaccaridi, che porta ad una birra con consistenza particolarmente viscosa, con formazione di vere e proprie filamentosità nel liquido in circostanze estreme.

 

Tuttavia, nonostante il ruolo di contaminanti, anche i batteri lattici ed acetici, proprio come Brettanomyces, fanno parte del complesso microbiota caratterizzante le birre acide tradizionali.

Risulta difficile individuare in linea generale quale sia il metodo migliore da impiegare per la sanificazione delle botti, in quanto, oltre alla necessità di definire un protocollo di trattamento nel contesto produttivo specifico, è necessario tenere conto dell’applicabilità nei singoli birrifici e della loro economicità.

Nonostante le numerose criticità tecniche ed economiche, la dilagante sperimentazione da parte dei mastri birrai di tutto il mondo dell’uso dei contenitori in legno per l’affinamento delle birre fa presupporre ulteriori interessanti sviluppi di questa tecnica di maturazione della bevanda e l’affermarsi della stessa come una nuova tendenza produttiva che, probabilmente, non sarà solo una moda passeggera.

 

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Massimo Prandi
Info autore

Massimo Prandi

Un Albese cresciuto tra i tini di fermentazione di vino, birra e… non solo! Sono enologo e tecnologo alimentare, più per vocazione che per professione. Amo lavorare nelle cantine e nei birrifici, sperimentare nuove possibilità, insegnare (ad oggi sono docente al corso biennale “Mastro birraio” di Torino e docente di area tecnica presso l’IIS Umberto Primo – la celeberrima Scuola Enologica di Alba) e comunicare con passione e rigore scientifico tutto ciò che riguarda il mio lavoro. Grazie ad un po’ di gavetta e qualche delusione nella divulgazione sul web, ma soprattutto alla comune passione e dedizione di tanti amici che amano la birra, ho gettato le basi per far nascere e crescere questo portale. Non posso descrivere quante soddisfazioni mi dona! Ma non solo, sono impegnato nell’avvio di un birrificio agricolo con produzione delle materie prime (cereali e luppoli) e trasformazione completamente a filiera aziendale (maltazione compresa): presto ne sentirete parlare!