Numero 49/2016
7 Dicembre 2016
LAMBIC: l’alchimica del mosto, ovvero il turbid mash – Parte 10
Il carattere unico e inconfondibile del Lambic è tale perché questa birra è diversa da tutte le altre a livello produttivo. Non solo il Lambic è una delle poche a essere fermentata spontaneamente, non solo invecchia in botti di legno per molti anni, non solo usa luppoli vecchi e ossidati, ma segue anche un processo di ammostamento unico al mondo. L’ammostamento, procedimento che ha lo scopo di degradare proteine e amidi del malto per renderli nutrimento dei lieviti, nel Lambic è molto diverso da quello tradizionale e viene definito “turbid mash” per via dell’estrema torbidezza del liquido che ne risulta.
I chicchi di orzo maltato vengono macinati, per far sì che la farina si separi dalle glumelle; quelli del frumento crudo, più duri, sono lavorati separatamente. La miscela di macinati viene messa nel tino di ammostamento assieme a poca acqua, quanto basta praticamente per inumidire i cereali, circa il 20% del totale. Dopodiché la temperatura della miscela viene portata a circa 45°C e,trascorsi pochi minuti, aggiungendo un altro 20% di acqua a 100°C, la temperatura viene alzata a 52°C. Non passa molto tempo che un terzo del liquido viene trasferito in un secondo tino, dove viene scaldato fino a 88°C e lasciato a questa temperatura.
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Nel tino principale, sempre aggiungendo acqua bollente, la temperatura viene portata a 65° e mantenuta per 45 minuti. Per ora si è usato solo il 70% dell’acqua necessaria all’intero processo. Metà del mosto viene poi nuovamente rimosso e aggiunto a quello messo da parte in precedenza e portato, così, a 88°C. A questo punto nel tino principale verrà aggiunta la restante parte dell’acqua e, una volta raggiunti i 72°C si attenderanno 30 minuti prima di riunire il mosto dei due tini. A questo punto la temperatura dovrà essere portata a 78°C e mantenuta per 20 minuti prima di effettuare lo “sparging”. Quest’ultima operazione consiste nel risciacquo delle trebbie che permette agli zuccheri di finire nel liquido, e la filtrazione che serve a eliminare le fecce e la farina in eccesso, con acqua a 88°C fino a raggiungere la densità voluta. Ovviamente durata e temperatura delle soste varia da birrificio a birrificio.
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Questo lungo e laborioso processo, molto più complicato del semplice ammostamento per infusione dove il liquido viene sottoposto per intero a riscaldamento e soste, poi filtrato, consente di spezzare le lunghe catene proteiche del frumento non maltato. Il mosto che ne risulta è torbido, lattiginoso, ricco di amidi e destrine, componenti adatti come nutrienti soprattutto per i Brettanomyces, che dovranno svolgere il loro lavoro per anni dentro la birra.
Questo processo, di cui la descrizione sopra riportata è solo un esempio dato che ogni birrificio ha la sua variante, deriva da una legge del 1822 promulgata dagli olandesi che in quel periodo dominavano anche in Belgio, pertanto anche i produttori di Lambic dovettero sottostare ad essa. Infatti, i dominatori pretendevano che le imposte fossero pagate da birrai e birrifici in virtù delle dimensioni del tino di ammostamento. Per questa ragione si cominciarono a utilizzare sale cottura più piccole e che potevano quindi contenere meno acqua e ciò non consentiva un ammostamento tradizionale.
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Le prime testimonianze di questo processo si trovano in “Traitè complet de le fabrication des bières et de la distillation des rains, pommes de terre, vins, bettaraves, mélasses, etc” scritto da G. Lacambre nel 1851. Da allora, come tutto del resto nel Lambic, non si è evoluto molto.