Numero 40/2020
29 Settembre 2020
Pils: lo stile maltrattato
Inutile nascondersi, se usi il termine “birra” tutti pensano alla Pils.
Dorata, col suo cappello di schiuma e quel tocco di amaro che spesso divide il pubblico.
Si può considerare uno dei primi stili “moderni” e oggi è arrivata ad occupare circa il 75% del mercato.
Una birra “base” che fa della qualità dei quattro ingredienti classici che la compongono la propria forza.
Sì, perché se dici acqua ci vuole quella “dolce” tipica di Plzen in repubblica Ceca. Se dici malto intendi solo quello locale della Moravia. E anche il mitico Saaz sempre dalle campagne lì attorno arriva.
Solo il lievito usato da Joseph Groll (birraio bavarese, che ha creato la Pils) pare sia stato fornito dal birraio stesso.
Ecco perché repubblica Ceca e Germania si contendono la paternità dello stile., anche se oggi le parole “Bohemian” e “German” indicano due sottocategorie diverse e ben definite, con le loro differenze e particolarità.
Ma andiamo per ordine… Era il 1842 nella cittadina di Plzen e la pessima qualità della birra locale diede il via addirittura ad una rivolta. In segno di protesta vengono riversati nella piazza principale del paese svariati fusti di birra.
L’associazione dei birrai locali decide così di correre ai ripari e si arriva ad individuare in Joseph Groll il birraio che diventerà tra i più iconici della storia brassicola europea. (anche se dopo questa grande intuizione finì dimenticato piuttosto in fretta).
Il successo è immediato quando sbalorditivo. Mai si era vista una birra così limpida e dal profilo aromatico netto e pulito. In più con l’avvento dei bicchieri di vetro e non più di ceramica era il prodotto perfetto da mettere in boccali trasparenti.
Lo stile sbarca subito nella vicina Germania e in tutta l’Europa e, seppur con le proprie varianti, diventerà popolarissimo. Questo grande successo però farà sì che l’industria si appropri e faccia su lo stile, creando però un prodotto molto lontano da quello che dovrebbe essere ed era. Col passare del tempo è stato completamente stravolto, appiattito, svilito. Stile che negli USA si è poi trasformato in “light beer” peggiorandone ancor di più qualità e reputazione, con “consigli” sul servizio agli antipodi di ogni sensata regola.
Addirittura la disputa legale tra Budweiser e Budweiser Budvar che si trascinerà per anni è l’esempio più chiaro di come l’industria si sia arrogata questo stile.
Pils è stato in un passato molto recente sinonimo di birra priva di sentori e di bassa qualità, con uso di succedanei quali mais e/o riso. Quella nelle bottiglie verdi, nelle lattine degli anni ottanta e novanta da bere gelata e assolutamente non dal bicchiere (la birra è per uomini, mica per signorine!).
E fino a poco tempo fa era parecchio snobbato da certi consumatori di birra artigianale, così come per gran parte delle lager, quasi fosse sempre associato al prodotto del nemico.
Per fortuna oggi il trend sta cambiando e molti birrifici si cimentano in questo stile che facile non è.
Delicato e leggero ma al tempo stesso deciso e con una sua identità, tutt’altro che banale, che non lascia margine di errore al birraio.
Una birra: fresca e buona da bere al bancone!
Sì, perché cos’altro serve?
Certo, anch’io apprezzo le “badilate“ di profumatissimi luppoli nelle varie IPA, APA, ecc ecc…, ma spesso riscoprire la semplicità è bello e appagante.
Oggi le Pils sono state rivisitate in una chiave più moderna e molti birrifici ne propongono una loro versione. Chi fa uso di dry hopping, chi spazia nella scelta dei luppoli (non solo Saaz), e chi vuole dare sensazioni un po’ più esotiche.
Siamo così bravi a fare la pils che si sta valutando di mettere nel BJCP una sottocategoria “Italian Pils”, trovando nel dry hopping il punto distintivo e caratterizzante.