Numero 28/2020
11 Luglio 2020
Bières de Chimay
Tratto da La birra nel mondo, Volume II, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Chimay
(Bières de Chimay) Chimay/Belgio
L’Abbaye de Notre-Dame de Scourmont porta il nome della collina su cui sorge, presso il borgo di Forges, nella provincia dell’Hainaut. Ma è più comunemente nota come Chimay, per la vicinanza a questa cittadina (circa sei miglia).
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Sorse nel 1850, durante la restaurazione postnapoleonica dei monasteri, per opera di 17 monaci cistercensi inviati da Westvleteren sulla terra offerta dal principe di Chimay.
Già nel 1862 i monaci iniziarono a produrre birra e formaggio. Pare che la prima birra fosse a bassa fermentazione, chiamata Bavaria, ispirata a quelle che venivano prodotte a Dortmund. Poco dopo però cominciò la produzione di una Brown Ale, probabilmente basata su una ricetta di Westvleteren.
Presto la scarsa fertilità del suolo creò problemi di sostentamento e i frati si videro costretti (presumibilmente dal 1875) a commercializzare la loro birra.
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A quel tempo la produzione era basata su una birra leggera, che i monaci bevevano quotidianemente servendosi direttamente dalle botti, e una più forte, maturata in botti catramate all’interno. Fu questa, chiamata Bière Forte, a essere imbottigliata e venduta all’esterno. L’abbazia de Notre-Dame de Scourmont divenne così il primo monastero trappista a commercializzare birra e, di conseguenza, a utilizzare la denominazione di “birra trappista”; ma fu anche il primo a utilizzare le bottiglie da 75 cl che venivano chiuse con tappo di sughero.
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Dopo la devastazione tedesca del secondo conflitto mondiale, la fabbrica poté riprendere l’attività con una certa facilità grazie allo scienziato Jean de Clerck, professore all’Università di Lovanio, che alla sua morte, nel 1978, meritò la sepoltura appunto nell’abbazia. Fu lui infatti a sviluppare un particolare tipo di lievito che permise di perfezionare lo stile e migliorare notevolmente la qualità del prodotto.
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Come spetta a lui il merito della formazione brassicola di padre Théodore, l’ultimo e il più valente mastro birraio di Chimay. Al suo pensionamento, nel 1991, anche la produzione di birra all’interno del monastero passò in mani laiche.
Nel tempo il monastero è cresciuto per dimensione degli edifici, fino a diventare il più grande tra quelli trappisti. Una crescita non minore riguarda l’importanza: benché sia il più giovane, il suo, risulta in Belgio il più noto birrificio trappista a livello internazionale.
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Si tratta di una fabbrica all’avanguardia, che esporta il 50% del prodotto in molti paesi di tutto il mondo. Gli impianti d’imbottigliamento si trovano nel vicino paese di Baileux, dove la birra viente trasportata in autobotti e dove ha sede anche il caseificio, con la produzione di eccellenti formaggi a diversa stagionatura che ben si accompagnano alla birra della casa. Uno di essi, chiamato Chimay à la bière, ha la crosta impregnata di luppolo.
Le birre sono, secondo la tradizione monastica, ale che esprimono una ricchezza di sensazioni gustative non comuni. Delle tre fermentazioni, la terza avviene in bottiglia. Senz’altro negli ultimi anni hanno perduto un po’ di complessità, nell’intento di mantenere il lievito puro e pulito. Restano comunque dei classici.
A questo proposito, c’è da annotare che, come tutti i birrifici storici, anche Chimay non è più quello di una volta. Cerchiamo di capire la differenza di produzione tra ieri e oggi. Ovviamente, anche se con moderni impianti e tecnologie, la produzione rispetta le ricette originali. Ma per il resto?
L’orzo proveniva dai migliori raccolti belgi e francesi; l’acqua, da due distinte fonti di proprietà dei monaci, mescolata per ottenere il giusto grado di durezza; il lievito, da ceppi esclusivi, costantemente controllati e riprodotti nel laboratorio microbiologico aziendale.
Oggi invece, lo ammettono i monaci stessi, al posto del luppolo, viene utilizzato l’estratto (per meglio controllare e rendere stabile il livello di amaro nelle diverse cotte); così come viene utilizzato estratto di malto e, in percentuale significativa, amido di frumento. Quanto al lievito, esso si adatta all’ambiente in cui “vive”; e anche questo, sebbene sia l’unico, è un cambiamento. Senza poi considerare che la birra non matura più in vasche aperte, bensì nei moderni maturatori conici chiusi. In ogni modo, le tre specialità sono contraddistinte, oltre che dalle etichette, dai tappi a corona di colore differente. Ognuna ha caratteristiche proprie, con impronta del fruttato ben distinta, sia al naso che al palato.
Alle Chimay Première, Chimay Cinq Cents e Chimay Grande Réserve, in bottiglie tipo bordeaux con tappo di sughero, corrispondono, rispettivamente, le Chimay Rouge o Tappo Rosso, Chimay Blanche o Tappo Bianco e Chimay Bleu o Tappo Blu, in bottiglie da 33 cl.
Si tratta solo di confezioni differenti per ciascun tipo; ma la diversa superficie del liquido e il volume dell’aria, nonché una presenza appena maggiore del lievito e la porosità del sughero, conferiscono un carattere più morbido alla birra contenuta nella bottiglia più grande.
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Chimay (Red/Rouge/Ale/Première), trappista dubbel di colore ramato intenso e dall’aspetto velato (g.a. 7%); la birra di base e la meno complessa. Viene ancora elaborata secondo la ricetta del 1862, e per più di un secolo è stata l’unica proposta della Chimay. Con un’effervescenza moderata, la schiuma si leva compatta e persistente, nonché impreziosita da un complesso bouquet fruttato, di luppolo e forti esteri della fermentazione. Seguono aromi acuti e durevoli che sanno di mela e di caramello, con richiami di spezie e frutti di bosco. Il corpo si presenta strutturato e rotondo, in una consistenza decisamente acquosa. Il gusto, deliziosamente fruttato, emana un sentore di ribes nero; ma scorre in perfetto equilibrio con un soffice, elegante, amarognolo. Il finale, segnato dalle note amare del luppolo, è molto lungo, e lascia un piacevole retrolfatto dolceamaro. Questo prodotto può essere conservato fino a due anni, durante i quali il sapore migliora notevolmente la scorrevolezza.
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Chimay Bleue (Blue)/Grande Réserve, trappista color tonaca di frate carico e dall’aspetto intorbidito (g.a. 9%). È la più forte e complessa, quella ovvero che esprime al meglio l’intensità tipica nelle Chimay del fruttato aromatico. In origine offerta natalizia, dal 1985 viene prodotta regolarmente. L’etichetta riporta l’indicazione dell’annata. L’effervescenza scarsa, però concreta, determina un’attraente schiuma di consistenza soffice e cremosa. All’olfatto si diffondono soavi e tenaci profumi di malto tostato, caramello, frutta, alternati armonicamente in una fresca delicatezza. Dal corpo consistente, a trama molto sottile, emerge un gusto morbido e asciutto, insieme; mentre note quasi minerali aleggiano sul fondo di malto, fruttato e speziato. Il finale propone impressioni di timo, pepe e noce moscata. Nell’articolata ricchezza retrolfattiva, di persistenza discreta, risaltano sentori di frutta secca, tostature, caffè. È una bevanda destinata alla conservazione per qualche anno in luogo buio e fresco, dove acquista il carattere vellutato del porto o del barley wine.
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Chimay Triple/Blanche (White)/Cinq Cents, trappista tripel di colore oro antico e dall’aspetto opalescente (g.a. 8%). È l’ultima creazione dei frati, e costituisce il loro orgoglio. Risale agli anni Sessanta, in occasione del quinto centenario della cittadina di Chimay. Risulta la più luppolizzata, quindi la più secca: si avvicina alle ale inglesi. L’effervescenza è moderata. La spuma densa e tenace, oltre a emettere acuti ma fini profumi di luppolo, disegna sulle pareti del bicchiere i classici archetti somiglianti a pizzi e ricami. L’aroma si rivela di estrema eleganza, con una punta del solito luppolo, sentori di spezie, nonché note fruttate provenienti dall’alta fermentazione. Il corpo ha ottima struttura; eppure scivola liscio, leggero, e secco. Morbido all’attacco, il gusto mantiene uno straordinario equilibrio durante la corsa improntata al malto e piacevolmente amarognola. Il lungo finale, ricco di luppolo, libera un pizzico di acidità dissetante. Anche il retrolfatto esibisce una generosa luppolizzazione, apportatrice di un amaro singolare. Si tratta di un prodotto che esprime tutta la sua potenza e squisitezza dopo un breve invecchiamento.
Un cenno a parte merita la:
.Chimay Dorée/Spéciale du Potaupré, trappista di colore dorato pallido e aspetto lievemente offuscato dai lieviti (g.a. 4,8%). Dal basso contenuto alcolico, inizialmente veniva prodotta una o forse due volte l’anno, soltanto per il consumo dei monaci e per essere offerta agli ospiti e al personale laico impegnato in lavori all’interno del monastero. Nel 2007 cominciò invece la vendita nella vicina locanda Auberge de Poteaupré, associata con l’abbazia. Dal 2012 la commercializzazione si estese ad alcuni locali selezionati in Belgio; l’anno successivo addirittura nel Regno Unito (19 pub di Fuller) e in Italia (50 bar con il nome di Club Chimay Dorée). Poi ovviamente finirono per avvantaggiarsene altri clienti, nel mondo, più affezionati a Chimay. Con una carbonazione abbastanza vivace, la spuma bianca emerge ricca, cremosa e persistente. L’olfatto si esprime con eleganza, a base di profumi floreali, di agrumi e frutta acerba; mentre dal sottofondo spirano timidamente sentori di malto, lievito fruttato, biscotti, coriandolo, chiodi di garofano, pepe nero. Il corpo leggero presenta una tessitura un po’ acquosa. Il gusto si snoda a proprio agio, su solida base di lievito belga, con lunghe note di cereali, crosta di pane, arancia, frutti di bosco. La corsa termina in un’asciuttezza pulita. Nella discreta persistenza retrolfattiva si esaltano suggestioni di malto dai toni di agrumi, piccanti, amari.
L’Abbaye Sainte-Marie du Mont des Cats si trova a Godewaersvelde, nella regione di Nord-Passo di Calais-Piccardia, a pochi chilometri dal confine con il Belgio.
La costruzione, che sarà completata nel 1847, ebbe inizio nel 1826 a opera di alcuni cistercensi provenienti dall’abbazia francese di Notre-Dame du Gard. Mentre la presenza di monaci sul monte risaliva ad almeno due secoli prima.
La produzione di birra, inizialmente riservata al consumo del convento, cominciò nel 1827, qualche mese prima di quella del formaggio, che diventò in seguito la principale fonte di reddito del monastero.
Con l’esilio dei monaci stranieri, nel 1907 cessò la produzione della birra.
Nel 1918 un bombardamento tedesco danneggiò gravemente il monastero, e il birrificio non fu più ricostruito.
Soltanto nel 2011, su accordi presi con l’Abbaye de Notre-Dame de Scourmont, iniziò a Chimay, in modo indipendente dalla propria gamma, la produzione della Mont des Cats. Questa birra, prodotta all’interno di un monastero trappista e sotto la supervisione dei monaci trappisti, possiede tutte le caratteristiche per potersi chiamare “Authentic Trappist Product” e reca in etichetta la scritta “Trappist Beer”. Ma non può utilizzare il famoso logo esagonale, in quanto commercializzata da un monastero che non ne è il produttore.
Mont des Cats, trappista di colore ambrato con venature ramate e di aspetto leggermente velato (g.a. 7,6%). Con una morbida carbonazione media, la schiuma si leva ricca e di ottima persistenza. Il lievito Chimay si mette subito in mostra nell’aroma, contornato da tenui sentori di malto con acidità fruttata, luppolo agrumato, frutta secca e spezie. Il corpo, medio-pieno, presenta una tessitura cremosa. Il gusto appare decisamente amabile, con le sue note di caramello, miele, biscotti, addirittura di spezie dolci; e con l’inconfondibile componente del lievito Chimay. Anche il rivestimento è alquanto dolce, con richiami di noci, prugne e canditi. Il finale arriva secco e con sensazioni terrose e di mandorla. Il retrolfatto si dilunga abbastanza, ruvido, abboccato, carico di alcol.