Numero 01/2020
4 Gennaio 2020
Dalla Lituania arriva Tauras
Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore
Tauras
Vilnius/Lituania
Il birrificio originario nacque nel 1860 appena fuori dai confini della città, nel distretto di Lukiškės. A fondarlo, furono due imprenditori ebrei locali, Abel Solowiejczyk e Iser Berg Wolf. Ma, intorno al 1866, prese il nome di uno dei soci fondatori, Wilhelm Szopen, che finì per diventarne il vero proprietario.
Nel 1897 fu rilevato da un ricco uomo d’affari, Morduch Owsiej Epstein, che possedeva un altro birrificio nel sobborgo di Popławy (oggi Paupys). Dalla fusione delle due aziende birrifici sorse la società per azioni Towarzystwo Akcyjne Browaru Szopen.
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Prima della grande guerra, la birreria lituana produceva quasi 10 mila ettolitri, all’incirca la metà della birra venduta nel mercato locale. Dopo, la compagnia attraversò delle difficoltà; ma fece presto a risollevarsi inviando le sue birre ad altre città all’interno della Polonia dove aprì anche diverse agenzie.
Poi, nel 1939, arrivò l’invasione tedesca e sovietica della Polonia, e Vilnius fu trasferita in Lituania. L’anno dopo, la società veniva ribattezzata Lithuanised to Šopen. E, con l’occupazione della Lituania da parte dell’Unione Sovietiva, come tutte le società di proprietà privata, fu nazionalizzata, per prendere, nel 1945, il nome di Tauras Brewery.
Nel 2001 la Tauras Brewery venne fusa, dalla Danish Royal Unibrew, con la Kalnapilis in AB Kalnapilio-Tauro Grupé e, cinque anni dopo, la sua produzione fu trasferita a Panavėžys.
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Tauras Pilsneris, pilsner di colore giallo paglierino (g.a. 4,6%). Lanciata nel 1999, è tuttora considerata, nella sua tipologia, la migliore birra del Paese. La carbonazione è abbastanza sostenuta; la schiuma bianca, non così abbondante, ma abbastanza fine, compatta, cremosa e duratura. L’aroma si esprime con la dolcezza di un malto granuloso che, se accetta la compagnia di pane e cereali, fa di tutto per lasciarsi alle spalle sentori vegetali, erbacei e di luppolo piccante. Il corpo appare leggero, e di consistenza acquosa. Il gusto non pone certo adeguatamente in evidenza il solito malto granuloso, che a tratti diventa quasi impercettibile; tanto meno sa chiedere di più al luppolo che lesina una specie di amarore. Dell’acidità, che pure era labilmente comparsa al naso, nemmeno l’ombra. Abbastanza armonioso risulta il finale, benché un po’ aspro nella propria secchezza. In un’ostinata ricerca del retrolfatto, sì, una reminiscenza di luppolo amaro, si riesce a scovare.