Numero 11/2018
15 Marzo 2018
Dreher Trieste: la nascita di un mito – Parte Terza
L’era dei Dreher nella fabbrica triestina era finalmente iniziata. La fabbrica restò chiusa per parecchi mesi dopo l’acquisizione di Anton Dreher del complesso industriale giuliano. Il nuovo direttore Deiglmeyer rimise in moto la produzione e a partire dal 1870, le vendite ricominciarono a salire grazie alla forte attrattiva che il nuovo nome portava in dote e alla qualità della birra prodotta.
Era finalmente nata la Dreher di Trieste sotto tutti i punti di vista.
Il più importante gruppo birraio d’Austria apportò numerosi miglioramenti alla fabbrica che vide dotarsi di una nuova sala cottura, delle nuove cantine di raffreddamento e nuove cantine di deposito, ampliate per contenere fino a 483 fusti il cui volume variava da 60 a 150 emeri (da 35 a 85 ettolitri).
Le fosse del ghiaccio, che arrivava direttamente dal lago di Zirknitz presso Postumia (SLO), prima con i carri a cavallo, poi con la ferrovia, furono ampliate e portate ad una capienza complessiva di 8.000 tonnellate.
Dreher porterà da lì a poco una innovazione rivoluzionaria per l’epoca, proprio per ovviare al problema dell’approvvigionamento del ghiaccio, facendo dotare la fabbrica di una “Kaeltemaschine”, o macchina del freddo, il primo compressore meccanico ideato e costruito da Carl Von Linde che nel 1877 viene installato in via sperimentale nello stabilimento triestino.
.
.
La rivoluzione tecnologica, come spesso accade anche in tempi recenti, fu vista con sospetto da molti all’interno dello stabilimento, ma sbagliarono, e di grosso.
Il compressore Liende infatti funzionò ottimamente rimanendo in servizio fino al 1908 quando, divenuto ormai obsoleto, fu donato al museo della tecnica di Vienna.
Qualche anno più tardi il nuovo direttore Pach, poco incline a pagare a caro prezzo l’acqua proveniente dal vicino paese di Aurisina decise di far trivellare da uno studio geologo di Milano il sottosuolo dello stabilimento che raggiunsero i 670 metri di profondità, ma senza sortire nessun risultato apprezzabile.
Nel 1890 fu portata in stabilimento la corrente elettrica: questo permise di lavorare anche la notte durante l’alta stagione aumentando di fatto la capacità produttività dell’impianto.
Tutto sommato, nonostante il prestigio del nome Dreher e le migliorie significative apportate alla fabbrica, le vendite erano ancora sotto le speranze del gruppo, non raggiungendo nemmeno i 33.000 ettolitri: un apporto davvero misero se paragonato ai 700.000 ettolitri venduti complessivamente dal gruppo.
.
.
Dopo il 1898 la fama dei Dreher iniziò un lento declino, probabilmente dovuto alla concorrenza che in tutta Europa si faceva sempre più agguerrita. Il gruppo cercò di correre ai ripari e, durante l’assemblea generale del 28 giugno 1905 presso il castello di Kettenhof, procedette alla concentrazione tecnica e finanziaria creando un’unica società, la “Anton Drehers Aktiengesellschaft”, con un capitale sociale di 28 milioni di corone. Immediatamente partirono i lavori di riordino e ammodernamento degli impianti: le vecchie caldaie di cottura in ferro furono sostituite da nuove caldaie di rame a due piani e vennero ammodernati gli impianti di raffreddamento fino a quel punto utilizzanti ancora la salamoia.
Dopo la riorganizzazione societaria la produzione cominciò una lenta risalita aumentando di quasi il 30% in sette anni, troppo poco però per soddisfare le aspettative che si erano formate verso lo stabilimento triestino.
Fu questa nuova società, con molta probabilità, il canto del cigno per la famiglia Dreher che iniziava a rivelare qualche segno di stanchezza. La fusione del 1913 con altri due importanti gruppi austriaci, i Mautner e i Meichl, ne era una evidente riprova.
Nacque così la “Vereinigte Brauereien”, Birrerie Riunite, della quale il vecchio Anton rimaneva il presidente, mentre alla vicepresidenza furono chiamati Viktor Mautner von Markof e Georg Meichl in rappresentanza delle società assorbite, che di fatto diventarono i nuovi proprietari della fabbrica di Trieste.
La fusione sortì un effetto benefico su tutto il gruppo che nel primo anno di gestione riuscì a superare il 1.250.000 ettolitri, facendo segnare alla fabbrica triestina un record di 120.000 ettolitri di birra venduti.
Quello che sarebbe servito alla neonata società per incrementare e solidificare la propria posizione nel mercato sarebbe stato un periodo di calma e tranquillità, in modo da poter operare tutte le migliorie industriali, studiare nuovi piani pubblicitari e attrarre sempre più clienti ed estimatori in giro per il mondo.
Ma ahimè siamo arrivati, senza nemmeno accorgercene, al 1914, anno in cui le sorti del mondo cambieranno per sempre.
Giugno 1914: in una giornata che sarà ricordata per sempre, a Sarajevo, l’anarchico serbo-bosniaco Gavrilo Princip, appartenente al movimento politico Mlada Bosna (Grande Bosnia) uccise con due colpi di pistola l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este e la duchessa Sofia.
Meno di un mese dopo, scaduto l’ultimatum viennese a Belgrado, iniziò il conflitto europeo che, nel giro di pochissimo tempo, raggiunse scala mondiale.
.
.
La guerra, oltre ad indebolire lo stato sociale annullando quasi completamente il senso stesso della parola “cittadinanza”, mise in ginocchio le industrie che furono chiamate a sostenere economicamente – e forzosamente – lo sforzo bellico della nazione.
Fu così che la neonata “Vereinigte Brauereien” si trovò costretta a sottoscrivere dei prestiti di guerra per dodici milioni di corone, cifra che rappresentava un terzo dell’intero capitale sociale.
La svalutazione della moneta, unito all’incerto futuro, misero in ginocchio ogni tipo di attività nella vecchia e cara Europa che restò segnata profondamente da una guerra che stravolse fin nelle fondamenta.
La fabbrica di Trieste, con il nuovo direttore Erwin Koerbl nominato nel 1915, pur essendo d’istanza a circa una ventina di chilometri dal fonte continuò, con mille difficoltà, a produrre birra da far arrivare all’esercito austriaco sul fronte italiano fino al 1917.
Sospesa l’attività produttiva la fabbrica continuò però il suo lavoro di rifornimento delle truppe facendo arrivare la birra direttamente dalle fabbriche consociate.
Con l’autunno del 1918 le vendite cessarono del tutto e con il 25 novembre iniziò l’acquisizione della fabbrica da parte italiana.
Il direttore Koerbl non volle lasciare l’impianto nemmeno dopo la nazionalizzazione forzata della Dreher triestina e per un certo periodo fece importare la birra direttamente da Milano. Rimise in funzione gli impianti nel 1920 grazie ad un mirabile coraggio e rimase in carica fino al 1926, anno in cui fu destituito.
.
.
Intanto nel 1921 moriva quello che i viennesi chiamavano “Der alte Dreher”, patriarca birraio, mentre nel 1926 lo seguiva anche l’ex direttore Erhard, colui che fu capace di raddrizzare il timone dell’azienda riuscendo a riportarla nel 1925 alla produzione pre-bellica.
Ma a dare il vero e proprio colpo di grazia a quella che fu una delle più grandi famiglie birrarie del vecchio continente, fu la morte nello stesso anno di Oscar Anton Dreher in un incidente automobilistico nei pressi di Abbazia (CRO). Con lui finì, dopo 130 anni di instancabile attività ed ingegno, l’ultimo componente della patriarcale famiglia dei Dreher.
Il colpo fu durissimo, tanto che i restanti soci, viste le avvisaglie di una nuova crisi che stava per attanagliare l’Europa, decisero di disfarsi dell’azienda vendendo le azioni ad un consorzio di grandi banche: la “Oesterreichisce Kredit Anstaldt fuer Handel und Gewerbe”, la “Niederoesterreichische Eskonto Gassellschaft” e la “Wiener Bank Verein”. Il gruppo perse quasi subito interesse per lo stabilimento di Trieste, perso a causa della guerra assieme a parte di quello che fu il territorio del grande impero.
Quando infatti nel 1928 i bersaglieri del generale Petitti di Roreto sbarcarono a Trieste, poco restava della magnifica, prospera e brillante città che fu, ridotta ad uno squallore indicibile. Trieste era un cumulo di macerie informi, attraversate da masnade di soldati austriaci allo sbando, stracciati ed affamati, che l’avevano invasa sperando di riuscire a tornare nelle lontane case di Carinzia, Stiria o Ungheria.
Le banche viennesi detentrici dell’intero pacchetto azionario nominarono il signor Erwin von Paska come loro fiduciario che iniziò a vendere tutto quello che poté vendere, compreso il lussuoso palazzo Dreher che fu costruito nel cuore della città. La nazionalizzazione italiana portò alla nascita della “Società Anonima Birra Dreher Trieste” che però continuava ad essere diretta da personale austriaco.
La vera trasformazione avvenne nel 1928 quando una importante famiglia italiana decise di rilevare la fabbrica triestina: la famiglia Luciani di Forno di Canale.
Ma questa è un’altra storia.