Numero 29/2016
22 Luglio 2016
Gaetano Pasqui: mastro birraio e primo coltivatore di luppolo d’Italia
Tag: storia
Il dibattito moderno sulla birra artigianale ed agricola, sulla sperimentazione della filiera corta per la produzione degli orzi e dei luppoli per la produzione brassicola di qualità dei micro birrifici del nostro Paese, trova in realtà dei precedenti che risalgono a circa due secoli fa.
Sono, infatti, molte le testimonianze e le documentazioni che attestano gli studi e le attività imprenditoriali del forlivese Gaetano Pasqui (1807-1879): un agronomo dotato di sorprendente genialità e voglia di mettersi in gioco. Avendo acquistato alcuni terreni nei pressi di Forlì, sperimentò diverse colture ritenute esotiche e assolutamente originali, come, per esempio, l’arachide e la barbabietola da zucchero. Aprì, inoltre, un’agenzia di macchine e strumenti dove si forgiavano aratri, carretti, strumenti inventati o adattati al terreno di chi li commissionava. Importante è il caso del “Copriseme inquadernatore”, chiamato anche “Polivomero Pasqui” sperimentato in tutta Italia e premiato in varie occasioni, tra cui a Parigi nel 1867.
Ma non solo: dal 1835, Gaetano avviò un proprio birrificio. Quest’attività, singolare per la Romagna cui, secondo luoghi comuni, si suole accostare sempre il vino, in realtà gli permise di mantenere la famiglia.
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Nel 1851 Gaetano acquistò una casa situata nei pressi del fiume Rabbi, ora nella periferia forlivese. Il fondo era soggetto a piene e ad alluvioni e i religiosi di San Salvatore in Vico glielo cedettero senza troppi problemi. In realtà, quella terra dai confini così incerti era la sede ideale per una coltura di luppolo, pianta che esige una costante irrigazione. Facendo di necessità virtù, aveva notato che importare il luppolo era troppo costoso; eppure cresce spontaneo, selvatico sulle rive dei fiumi. Gaetano ne isolò alcune piantine e provò a farne una piantagione: ci volle qualche anno, ma poi grazie a lui, nel 1847 “fu allora che il luppolo si era fatto italiano”, (così si legge in una sua antica biografia riprodotta sul calco dell’elogio letto sul feretro). Ben presto l’industria si assestò, specialmente dalla seconda metà degli anni ’50 dell’Ottocento quando, sconfitta la melata, la piantagione forlivese diede grosse soddisfazioni tanto da essere poi segnalata a più riprese.
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Due operai lavoravano sei mesi all’anno e il prodotto fu una birra premiata anche a Firenze e a Londra. Nel 1867 ad Haguenau, in Alsazia, quella di Gaetano Pasqui era l’unica birra italiana presente all’esposizione internazionale di luppoli e affini. Quest’esperienza di successo fu pubblicata nell’opuscolo “Del luppolo coltivato da Gaetano Pasqui di Forlì” (1861) e si sa che nel 1863 furono smerciate ben 35 mila bottiglie di birra. Bottiglie che dovevano essere di terracotta e capaci circa un litro.
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Del resto, Gaetano, da concreto visionario, immaginava una Romagna terra della birra, perché la filossera aveva devastato i vigneti ed era urgente trovare un succedaneo del vino. Ostacolato dai grandi produttori che arricciavano il naso davanti al “luppolo selvatico”, seppe confermare il valore della sua impresa appoggiandosi agli studi delle università. La sua fu la prima piantagione di luppolo selvatico coltivata in modo scientifico e Gaetano si prodigò per diffondere il suo metodo, tanto che, oltre che da tutta Italia, anche da Londra gli chiesero lumi. Divenne pure assistente alla cattedra di agronomia nella sua città natale. Morì nel 1879. Curiosamente, tra le prime uscite pubbliche del figlio Tito, proprio in quel 1879, si ha una sua conferenza ad Ancona sulla filossera: contribuendo a risolvere il problema causato dall’insetto, i vigneti ritrovarono robustezza con innesti e di Romagna terra della birra non se ne parlò più.
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L’affascinante esperienza di Gaetano Pasqui è raccontata in modo puntuale e dettagliato da Umberto Pasqui, tra l’altro componente della redazione di Giornale della Birra, nel libro “L’uomo della birra”, pubblicato per CartaCanta Editore nel 2010.
Da allora è iniziato un progetto che a breve, con il sostegno dei cugini e della famiglia, riporterà in vita questa birra antica.