Numero 44/2020
26 Ottobre 2020
La birra, protagonista nella storia – Capitolo 7
Tartu è una città dell’Estonia che sorge sulle sponde del fiume Emajõgi; capoluogo della contea di Tartumaa, vi si trova sede un’antica e prestigiosa Università fondata nel 1632 dal re di Svezia Gustavo Adolfo II. Nel 2024 è stata scelta per essere capitale europea della cultura.
Nel Medioevo produrre birra era un privilegio concesso a pochi che condividevano la stessa passione. Al tempo risiedano a Tartu due corporazioni (la Piccola e la Grande) dette “gilde” che nel Settecento si sfidarono per garantirsi il monopolio. Come dice il detto “tra i due litiganti, nessuno gode”, le autorità russe, esasperate dalle dispute tra corporazioni, nel 1783 stabilirono che nessuna delle due gilde avrebbe controllato il mercato della birra.
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La gilda, termine di origine incerta (forse dal germanico gelten, “valore”, o dall’anglosassone gylta, “società religiosa”) era una corporazione tipicamente germanica che si sviluppò a cavallo del I millennio. È uno dei numerosissimi termini con cui nel Medioevo si indica il fenomeno, comune a tutti i popoli, dei vincoli associativi fra gruppi professionali (corporazioni di mestiere, arti, scole, frataglie o fraglie, paratici, gremî, mestieri, maestranze, jurandes, Zünfte, Inungen, e così via). Nell’Inghilterra dell’anno Mille nacquero i primi statuti delle gilde inglesi, che comprendevano specifici patti di assistenza tra gli aderenti (ad esempio contro gli incendi delle abitazioni, che erano per lo più in legno, o per la riparazione di offese subite dai membri), mentre è del 1087 la prima gilda di mercanti. La prima gilda di artigiani (nella fattispecie quella dei tessitori di Oxford) si costituì nel 1100, sotto il regno di Enrico I. In questo e nel secolo successivo le gilde presero piede anche in Germania (dove furono chiamate anche gildae mercatoriae) e nelle Fiandre; collateralmente si svilupparono altri tipi di associazioni come le hanse, che differivano per caratteristiche particolari, spesso non ben definite.
Diversamente dall’Europa centrale, a Tartu non esisteva una gilda distinta per i produttori di birra, bensì i proprietari di birrifici appartenevano alla Grande gilda insieme ad altri commercianti, i cui membri erano tutti di lingua tedesca. Nella Piccola gilda, composta da artigiani della classe media, invece c’erano membri sia di lingua tedesca sia estone.
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Il numero dei birrifici non doveva proliferare. Per potere entrare a far parte della gilda, pertanto, i modi erano solo due: ereditarlo o acquistarne uno, fatte salve le competenze professionali che si dovevano possedere e che variavano da città in città. A Wismar, in Germania, intorno al Quattrocento, il regolamento di queste associazioni prevedeva che qualsiasi cittadino onesto potesse acquistare un birrificio e che l’esperienza pregressa nel settore non fosse necessaria. A Monaco, invece, l’aspirante mastro birraio doveva avere sul suo curriculum almeno due anni di esperienza. La gilda di Parigi fissava questo periodo in non meno di cinque anni.
La Lega anseatica (dal latino medievale hanseaticus, derivato dell’alto tedesco medio Hanse «raggruppamento»[1]) o Hansa fu un’alleanza di città che nel tardo medioevo e fino all’inizio dell’era moderna mantenne il monopolio dei commerci su gran parte dell’Europa settentrionale e del mar Baltico. La Lega anseatica svolse un ruolo di primo piano nella storia d’Europa, non soltanto sotto il profilo economico, ma anche politico e culturale. Diversamente dalle Repubbliche marinare, che nel Tardo Medioevo dominavano il Mediterraneo, le città anseatiche e la Lega stessa ottennero mai una completa indipendenza politica, ma operarono sempre come più o meno formali sudditi del Sacro Romano Impero e degli altri sovrani che governavano le regioni, in cui le rispettive città sorgevano.
Uno degli aspetti positivi a cui questi circoli chiusi davano vita, era la garanzia di lavorare per migliorare il prodotto finale, affinandone le qualità. Spesso i mastri birrai sceglievano nella loro cerchia ispettori di fiducia che potevano accedere a tutti i birrifici. Avevano la possibilità di controllare le materie prime, presenziare alle cotte ed assaggiare. Nel caso in cui avessero trovato il qualsivoglia difetto o il benché minimo problema lungo tutta la filiera, erano titolati ad “estrarre il cartellino giallo” o nel peggiore dei casi “al rosso diretto”. Se avessero riscontrato delle mancanze, le conseguenze sarebbero andate dall’ammonimento a una multa. Nei casi più gravi si arrivava all’espulsione dalla gilda ed alla perdita del birrificio da parte del suo proprietario.
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Con la Lega anseatica, nel Quattrocento, le gilde si diffusero in tutta l’area del mar Baltico. Dalla seconda metà del Cinquecento Tartu passò sotto il controllo russo (1558), polacco (1582) e della Svezia (1625). Ci fu così un susseguirsi di nuove disposizioni che non cancellarono i diritti tradizionali riguardanti la produzione della birra. Nel 1582 il re polacco Stefano Báthory decretò, per esempio, che potessero vendere birra soltanto le taverne che si trovavano entro un miglio dal centro di Tartu.
Nel 1708 durante la Grande guerra del Nord, Tartu fu messa a ferro e fuoco e nel lungo periodo della ricostruzione la corporazione della grande gilda riuscì a mantenere il privilegio di brassare a discapito della Piccola, grazie all’intervento dello zar russo Pietro il Grande, nel 1717. Ma la neonata associazione costituita per limitare l’egemonia della “sorella maggiore”, non voleva piegarsi e decise lo stesso di produrre birra. Iniziarono così le schermaglie che alla lunga arrivano a liti frequenti e ad uno scontro violento. Il governo provvisorio russo non intervenne. Le dispute non ebbero fine nemmeno quando a Nystad nel 1721 venne firmato il trattato di pace tra lo sconfitto Impero svedese e la vincitrice Russia imperiale.
La Grande guerra del Nord (o seconda guerra del nord) fu un lungo conflitto per l’egemonia sul mar Baltico combattuto tra il marzo del 1700 e il settembre del 1721 nei territori dell’Europa settentrionale e orientale. Il conflitto fu originato dalla posizione di egemonia assunta dalla Svezia nel bacino del mar Baltico nel corso dei decenni precedenti, fatto che generava l’ostilità delle altre potenze affacciate sulle acque baltiche; approfittando della salita al trono di Stoccolma di Carlo XII, sovrano giovane e ritenuto inesperto, il re di Danimarca-Norvegia Federico IV, lo zar di Russia Pietro I e il principe elettore di Sassonia (nonché monarca della Confederazione polacco-lituana) Augusto II stipularono un’alleanza anti-svedese e diedero inizio alle ostilità.
La politica dei parolai era di moda anche in quei tempi e la suprema corte di giustizia di Pietro il Grande emise un verdetto poco chiaro che non definì in maniera inequivocabile le pertinenze di ciascuna gilda. Seguirono cosi altri anni di proteste e controversie fino al 1782 quando la corte di giustizia dichiarò che non vi fosse alcun motivo per una disparità di diritti tra gilde. A seguito di questo responso non ci fu una liberalizzazione dell’attività brassicola, ma il monopolio venne trasferito e rimase ad una terza parte. Caterina II detta la Grande, l’allora imperatrice di Russia, ordinò di fondare a Tartu una società che avrebbe gestito l’intera produzione cittadina di birra.
Nacque così la Dorpater Brauer-Kompanie che ebbe il merito di porre fine agli screzi tra le due gilde e, cosa molto più importante, divenne un valido strumento per aiutare chi era in difficoltà: le vedove e gli orfani delle famiglie appartenenti alle gilde e i corporati caduti in disgrazia economica senza averne responsabilità diretta, unici soggeti che potevano beneficiare di questa assistenza. Diventavano sia soci proprietari sia soci lavoratori. In questo modo potevano godere di degne condizioni di vita. Onde evitare possibili problemi si stabilì che il numero dei membri provenienti dalle due gilde dovesse essere il medesimo.
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Il consumo di birra nel Settecento era elevato. I documenti di Tartu dei primi anni del secolo indicano un consumo quotidiano pro capite pari a 2,6 litri, ovvero una brocca di birra. Ai soldati spettava una brocca e mezzo di birra al giorno, la domenica ogni cristiano poteva godere di una razione doppia. Verosimilmente, doveva trattarsi in gran parte di birra casalinga o di semplice bevanda analcolica al sapore di malto. Intorno al 1780 la compagnia birraia produceva fino a duecento litri di birra per abitante all’anno, vale a dire oltre mezzo litro al giorno.
Tartu si rimise in piedi e un nuovo birrificio venne eretto dalla compagnia produttrice di birra, la quale aveva anche il compito di gestire le numerose taverne, riscuotendo un profitto per il rilascio della licenza di esercizio e per la vendita della birra (a quel tempo per garantire la conservazione del cibo si conservava sotto sale o essiccato, e questi procedimenti contribuivano a far venire sete). Si stima che sul finire del Settecento a Tartu ci fossero pressappoco una sessantina di birrerie.
A capo della cooperativa birraria c’erano due anziani (aldermanni) eletti uno per parte nelle rispettive gilde. Avevano il compito di dirigere l’azienda con il fine di provvedere alla sussistenza dei membri incaricati di produrre e distribuire la birra. I soci ricevevano regolare stipendio e potevano anche beneficiare di eventuali entrate derivanti dagli avanzi di bilancio, al netto di tutte le spese.
Se qualcuno avesse desiderato lasciare la “Società” avrebbe potuto riscattare la sua quota. Al suo posto subentrava un altro, al quale veniva applicata una trattenuta sulla paga per detrarre la propria quota societaria.
Le donne ebbero un ruolo da protagonista nella produzione della birra. In Estonia, come altrove in Europa, erano loro che la preparavano in casa per il consumo personale e, spesso, le vedove dei mastri birrai portavano avanti l’attività dopo il trapasso del coniuge.
Ma le “alewives”, le donne imprenditrici non ricevevano trattamenti equi. Si pensi che nel 1599 a Monaco di Baviera venne fatta una petizione per non permettere alle vedove di un mastro birrario di ereditarne la proprietà in quanto «le donne non erano in grado di apprendere la nobile arte brassicola». Fortunatamente l’ago della bilancia si spostò a favore del gentil sesso e alle donne fu permesso di continuare a possedere birrifici in Baviera.
Anche a Tartu emersero i problemi legati alla produzione fatta dalle donne. Le vendite della compagnia birraia cominciarono a diminuire perché la qualità veniva meno, tanto che in molti preferirono acquistarla da birrifici contadini che, durante la dominazione polacca, ottennero il diritto ereditario di produrre birra.
Nonostante a Tartu e paesi vicini fosse vietata la vendita della birra contadina, a circa 30 chilometri dalla città si potevano trovare abitazioni signorili che venivano adattate a birrificio, dove i benestanti di Tartu si recavano per comprare birra. Ben presto le vedove della compagnia birraia iniziarono a cadere in disgrazia perdendo giorno dopo giorno la fonte principale di sostentamento e la città si vide privata delle sue entrate fiscali. A questo punto le taverne di Tartu convertirono la fonte del proprio business e, poiché potevano vendere altre bevande al malto, iniziarono a servire vodka.
Nel 1796 lo zar Paolo I di Russia salì al trono. Come suo primo compito scelse di riformare il governo della Livonia e degli altri territori baltici, in gran parte annullando le riforme che sua madre, Caterina II la Grande, aveva istituito nel 1783. Nel frattempo, alla città di Tartu fu data l’opportunità di liberarsi con discrezione della compagnia produttrice di birra che in città operava da oltre un decennio.
Ma questa mossa in un certo senso voleva dire abbandonarla al proprio destino. La soluzione che venne in soccorso di tutti fu quella di concedere, dietro il pagamento di diritti di produzione della birra, seguendo le linee guida utilizzate precedentemente per la concessione alle taverne delle licenze per esercitare la professione. Gli affari ripresero, molti birrifici privati aprirono per la buona pace di tutti. I proventi derivanti dal rilascio delle licenze rappresentavano il mezzo di sostentamento a tutela degli orfani.
Le entrate di cassa e la circolazione del denaro grazie alla birra prodotta dalla compagnia birraia continuarono a essere una forma di assistenza sociale per bisognosi di Tartu almeno fino al 1820.
12 Curiosità su Caterina II la Grande
Sofia, per la verità – Caterina si chiamava, in realtà, Sofia Federica Augusta di Anhalt-Zerbst, nata nel 1729 a Stettino, nell’allora Regno di Prussia, oggi in Polonia, dal principe Cristiano Augusto di Anhalt-Zerbst e dalla principessa tedesca Giovanna di Holstein-Gottorp.
Una questione di soldi – La famiglia di Sofia, che pur nobile, aveva problemi economici, decise a tavolino un matrimonio d’interesse per la ragazza, destinandola in sposa, grazie all’interessamento di Federico II di Prussia e dell’imperatrice Elisabetta di Russia, al nipote di quest’ultimo, il futuro zar Pietro III.
Un matrimonio non propriamente da favola – Sin dal primissimo incontro con Carlo Pietro Ulrico di Holstein-Gottorp, più tardi noto come Pietro III, Sofia trovò da subito detestabile il suo futuro sposo. E anche dopo le nozze, le cose non andarono meglio: Pietro beveva troppo ed era di temperamento irascibile, oltre a essere butterato dal vaiolo. Pietro si mostrò sin da subito ostile alla moglie ed ebbe diverse amanti (ma da questo punto di vista Sofia non fu da meno).
Poliglotta – Fra le ragioni che valsero a Sofia l’apprezzamento dell’imperatrice Elisabetta, ci fu anche la sua assiduità nello studio del russo, lingua all’epoca a lei sconosciuta. Si dedicò infatti all’apprendimento con tutta sé stessa, tanto da svegliarsi anche la notte per ripassare quanto studiato durante il giorno: a causa di questa abitudine, contrasse addirittura una pericolosa polmonite.
Cambio di fede – Sofia, di fede luterana, decise però di convertirsi al cattolicesimo ortodosso. Suo padre, fervente luterano, si oppose risolutamente a questa decisione, ma invano. Il giorno del suo matrimonio, il 21 agosto 1745, non presenziò alla cerimonia. La versione più accreditata, in ogni caso, è che per la futura Caterina II la fede ortodossa fosse più che altro uno strumento politico e militare, da utilizzare al bisogno.
Finalmente… sola – Alla morte di Elisabetta di Russia, nel 1762, Pietro divenne imperatore e di conseguenza Caterina II divenne l’imperatrice consorte. Ma il regno dello zar durò poco: Caterina riuscì a organizzare un colpo di stato a suo danno, convincendo tanto l’esercito che il clero della necessità di sbarazzarsi del despota simpatizzante per la Prussia, fino a costringerlo a firmare un documento di abdicazione il 9 luglio 1762. Pochi giorni dopo, Pietro morì in circostanze non del tutto chiare, anche se pare che non fosse volontà di sua moglie farlo uccidere.
Vaccini ante litteram – Sebbene i vaccini non esistessero ancora, aveva da poco preso piede in Europa la pratica, a dire il vero piuttosto insolita, di farsi inoculare il virus del vaiolo, per immunizzarsi da questa terribile malattia, che all’epoca mieteva continuamente vittime. Fra i nobili dell’epoca che ricorsero a questo rimedio rientra anche Caterina.
Quei pantaloni ti donano – Caterina aveva una passione per i balli e travestimenti, tutt’altro che rari all’epoca nelle corti europee. Durante queste feste, in una divertente inversione di ruoli, gli uomini partecipavano vestiti da donne e viceversa. Pare che Caterina adorasse questi party sia perché le stavano bene gli abiti maschili, sia perché le piaceva vedere gli uomini in abiti femminili.
Amanti e gioielli – Caterina è passata alla storia, oltre che per le sue imprese politiche e militari, anche per il suo amore nei confronti dello sfarzo, degli abiti eleganti e dei gioielli, e per la sua lussuria. A proposito di gioielli, per la sua incoronazione Caterina fece realizzare appositamente una nuova corona, la celebre Corona imperiale di Russia, disegnata dal gioielliere franco-svizzero Jérémie Puazié, utilizzata in seguito per tutte le incoronazioni della dinastia Romanoff.
Alaska, Russia – Caterina incoraggiò la colonizzazione dell’Alaska, allora territorio russo. La fredda regione del Nord America fu infatti venduta agli Stati Uniti solamente nel corso del XIX secolo.
Illuminata, ma anche odiata – Caterina II è passata alla storia, oltre che per l’espansione del territorio russo, anche per i suoi provvedimenti illuminati, che portarono ad un notevole miglioramento nelle condizioni di vita su vari fronti. Ma non per questo fu sempre amata, soprattutto dai servi della gleba. Proprio sul malcontento di questi ultimi fece leva uno dei suoi più grandi rivali, il rivoluzionario Emel’jan Pugacev, pretendente al trono che guidò un’insurrezione popolare contro l’imperatrice. E ovviamente finì malissimo (Pugacev fu decapitato e, per andare sul sicuro, pure squartato).
Figli – Caterina ebbe quattro figli, pur non legando più di tanto con nessuno di essi. I primi due, oltretutto, le furono in pratica “confiscati” dall’allora imperatrice Elisabetta, che volle occuparsi di loro: sono Paolo Petrovic (il futuro imperatore Paolo I di Russia), figlio non si sa se di Pietro III o, più probabilmente, dell’amante Sergej Saltykov, e Anna Petrovna, figlia di Stanislao Poniatowski. Gli altri furono Aleksej Grigor’evic Bobrinskij, frutto della sua relazione con il conte Grigorij Grigor’evic Orlov, ed Elzaveta Grigro’evna Temkina, probabilmente figlia del tanto amato Grigory Potemkin.