Numero 31/2016
3 Agosto 2016
La raccolta del luppolo tra letteratura e sfruttamento minorile: il “caso Ruth”
Tag: storia
Ruth ha dodici anni. Cioè li aveva nel 1900. Quindi è morta. In realtà non è mai vissuta: è la piccola protagonista di un racconto per bambini scritto da Alice J. Briggs. Il titolo giustifica la presenza su questo Giornale: “Ruth, the little hop-picker”, cioè “Ruth, la piccola selezionatrice di luppolo”.
Del resto, si avvicina la stagione della raccolta e certi racconti testimoniano un modo ben diverso, per i ragazzi inglesi di “una volta”, di passare le vacanze estive.
Non mi risulta che il libretto di 80 pagine sia stato tradotto in italiano, quindi si farà riferimento alla sua edizione inglese del 1900, con copertina rossa. La storia è inserita nel filone della narrativa per l’infanzia a mo’ di riduzione dei romanzi ottocenteschi e utile per diffondere messaggi educativi, edificanti.
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Infatti, tale esemplare apparteneva a Nellie Oldfield, donata poi alla “Sunday School” di Chartham Hatch (villaggio del Kent) nel 1902. I bambini che avranno ascoltato questa storia si saranno facilmente immedesimati in quei duri lavori estivi (in cui molti di loro erano coinvolti) nei campi di luppolo inglesi. Tra i minori coinvolti in queste mansioni sottopagate (“the usual price paid is twopence or twopence half-penny a bushel; if they work ten hours a day they manage to make one pound a week”, cioè una sterlina alla settimana per dieci ore di lavoro al giorno) c’è anche la piccola Ruth, brava e virtuosa ragazzina dal nome biblico.
La madre di Ruth le aveva raccontato del Kent, in quanto lì si era innamorata di un giovane carpentiere e insieme si erano trasferiti a Londra. Poi, sei anni prima, una disgrazia le tolse il marito e la giovane donna era rimasta sola con la bimba.
La bimba, ormai cresciuta, accoglie con entusiasmo questo ritorno nel Kent e subito rimase colpita da alcune bizzarre strutture: “Lì si dissecca il luppolo” fu la risposta materna.
In realtà, non si tratta di una gita, o di un ritorno in luoghi cari, ma di una necessità: c’è bisogno di soldi e, come tanti, si fa la stagione tra il luppolo.
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Ruth, nella più completa ingenuità infantile, confida a un suo amico, Bobby, figlio della signora Warton: “Stiamo andando a vivere in una tenda, selezioneremo piccoli fiori verdi tutto il giorno: non è divertente?”. Nel frattempo, per far capire che si tratta di un duro lavoro, una donna si rinfresca con della menta, unico ristoro in quelle lunghe giornate.
Bobby non dev’essere molto sveglio se, vedendo un campo imbiondito dall’orzo, esclama: “Oh, guarda, quanti gamberetti gialli crescono in questo latifondo. Non è buffo?”. Ovviamente segue ilarità generale. Tra l’altro, il ragazzino viene definito con termini cari a chi s’intende di birra: infatti è pale (pallido) ma tutto sommato stout (corpulento).
Nasce una piccola comunità di madri e figli, un sollievo per questi hoppers, definiti rudi e dalle maniere grossolane; in questa compagine di povertà, la presenza di Ruth fa da collante e si distingueva per modi particolarmente urbani (veniva da Londra, lei).
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Adulti e bambini si recano a lavorare di buon mattino. Ruth viene avviata al lavoro dalla signora Martin ma, nonostante tutte le buone intenzioni, non riesce a lavorare più di otto ore al giorno sotto il sole cocente. Così la ragazzina si adoprava inizialmente con mani ben disposte, ma percepisce lo scoramento attorno a sé: nonostante tutta la fatica, il guadagno non è sufficiente.
La ragazzina fa amicizia anche con bambini di sei e otto anni, tutti coinvolti a passare le giornate estive a sgranare coni di luppolo per pochi quattrini.
Nonostante tutto, Ruth è molto felice in the hop gardens: ogni sabato pomeriggio, un prete gentile visita il villaggio degli operai, annunciando che la domenica sta arrivando e ricordando che li aspetterà a messa. In effetti, la domenica è l’occasione per conoscere o ri-conoscere gente: la madre di Ruth ritrova vecchi amici del marito.
Ruth, abituata alla città, è incantata dalla campagna: tra alveari, latte appena munto, giardini con meli e peri. Così aiuta la madre nel lavoro, ma l’intensità della fatica è tanto ingente da sfiancare la donna, tra caldo e sforzi eccessivi. Sempre più debole, la madre lascia il lavoro alla giovane figlia che trova occasione, selezionando coni di luppolo, per chiacchierare con un coetaneo: Jack, ragazzo che si premura di aiutarla e di starle vicino. Pur vivendo in una più che decorosa fattoria, Jack, figlio di un marinaio, ha il forte desiderio di andare per mare.
“Non ho una ragazza – dice lui – e i ragazzi non possono sempre stare attaccati alla gonna della mamma. Sento che il mare è il posto che fa per me”.
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Ruth controbatte ricordando che anche a Londra c’è tanto verde: passeri sulle case, parchi alberati, anatre nei laghetti: ma non ci sono né giardini né campi di luppolo belli come quelli del Kent.
La lunga chiacchierata termina con un atto di galanteria di Jack: si reca a riscuotere la paga per Ruth e la madre. Non serve più la scanzonata buffoneria di Bobby e di suo fratello, autoproclamatisi “real hoppers”, la tragedia è stemperata in poche righe: la madre di Ruth è morta.
La ragazzina è accolta nella fattoria dei Brown, la famiglia di Jack. Così Ruth coglie l’occasione di andare per mare con l’amico (e il padre di lui). Farà poi ritorno in Kent dopo aver visitato le Orcadi e Copenaghen. Come va a finire? Si rivedranno tutti: Ruth, Bobby e i piccoli amici per trascorrere le vacanze estive tra i luppoli. Cresceranno, qualcuno troverà lavoro in città, ma le estati saranno sempre in Kent. E in Kent, l’autrice lascia presagire che i giovani amanti: Ruth e Jack, passeranno giorni felici sotto lo stesso tetto.
Foto concesse daBirra Gaetano Pasqui – Forlì.